«Questo è un posto tranquillo e pacifico. Qui la mia presenza non crea problemi a nessuno.»
C’erano altri uomini coraggiosi quanto Palli, e alcuni erano anche più forti di lui, ma era stata la sua intelligenza a renderlo il luogotenente preferito di Cazaril, quando si trovavano a Gotorget. A Palli era sempre bastato un solo indizio per cominciare a districare un enigma… E infatti, d’un tratto, socchiuse gli occhi nella tenue luce delle candele e sussurrò: «Dy Jironal? È stato luì? Per i cinque Dei, che cosa puoi mai avergli fatto?»
«Non credo che si sia trattato di una questione personale», replicò Cazaril, a disagio. «Penso invece che sia stato un piccolo, facile favore… fatto a qualcuno.»
«Allora sono due gli uomini che conoscono la verità. Per gli Dei, Caz, chi sono?» Cazaril comprese che Palli avrebbe continuato a indagare: ormai non poteva più tornare indietro e nascondergli la verità. Magari, però, dandogli sufficienti informazioni, si sarebbe convinto a tacere. «Chi ti può odiare così tanto?» continuò. «Sei sempre stato il più conciliante tra gli uomini, eri addirittura famoso per il modo in cui rifiutavi i duelli, lasciando che gli attaccabrighe facessero una ben meritata figura da stolti… Tutti conoscevano la tua abilità nel riappacificare le persone e nell’ottenere nei trattati le condizioni più favorevoli. Non ti sei mai lasciato coinvolgere da nessuna fazione… Per l’inferno del Bastardo, non hai mai neppure avuto l’abitudine di fare scommesse! Un piccolo, facile favore! Cosa può aver mai generato un simile, implacabile odio proprio nei tuoi confronti?»
«Ritengo sia stata la paura», rispose Cazaril, massaggiandosi la fronte che cominciava a dolere, e non per il vino bevuto a cena.
Sul volto di Palli si dipinse un’espressione di stupore.
«Se si dovesse venire a sapere che sei al corrente di tutto, Palli, loro avranno paura anche di te», continuò Cazaril. «Non voglio vederti coinvolto in questo pasticcio, quindi promettimi che lascerai perdere.»
«Se si tratta di un timore così grave, il fatto stesso che hai parlato con me sarà sufficiente a rendermi sospetto, e la loro paura, unita alla mia ignoranza dei fatti… Per gli Dei, Caz! Non mi mandare in battaglia alla cieca!»
«Non voglio mandare mai più nessuno in battaglia!» esclamò Cazaril con tale slancio da indurre l’amico a sgranare gli occhi per la sorpresa. Poi, d’un tratto comprese qual era il modo più ovvio per usare la curiosità stessa di Palli contro di lui, e aggiunse: «Se ti dirò quello che so, e come faccio a saperlo, sei disposto a darmi la tua parola di lasciar perdere? La tua parola, bada bene! Sei disposto a promettere che non indagherai, che non accennerai alla cosa neppure a me, che non lascerai cadere velate insinuazioni e che non affronterai l’argomento neppure in maniera indiretta…»
«Come tu stai facendo adesso?» commentò Palli.
«Infatti», annuì Cazaril, con un verso che era in parte una risata e in parte un gemito di dolore.
«Mercante… Tu dunque vuoi che compri un maiale chiuso in un sacco senza neppure farmelo prima vedere?» lo accusò scherzosamente Palli, appoggiandosi al muro.
«Oink», mormorò Cazaril.
«Dannazione… E va bene, comprerò il tuo maiale. Del resto, non è mai successo che tu ci abbia guidati su un terreno infido o in un’imboscata, quindi sono pronto a fidarmi della tua capacità di giudizio… nella misura in cui tu ti fidi della mia discrezione. Su questo, hai la mia parola.»
Cazaril sospirò, costretto suo malgrado ad ammirare quell’abile contrattacco verbale. «Benissimo», assentì. Rimase in silenzio per qualche istante, assaporando quella resa reciproca e mettendo ordine nei pensieri, mentre si chiedeva da dove poteva cominciare. Ma si trattava di eventi che aveva esaminato e riesaminato, nella sua mente, fino a ordinarli in maniera tale da trarne ormai una storia quanto mai chiara e coerente, anche se non l’aveva mai raccontata a nessuno prima di allora. «Non c’è molto da dire», esordì. «Ho incontrato per la prima volta Dondo dy Jironal quattro… No, cinque anni fa, quand’ero al seguito di dy Guarida in quella piccola guerra di confine contro il folle principe roknari Olus, quello che aveva l’abitudine di seppellire i nemici fino alla vita negli escrementi e di bruciarli vivi, e che poi è stato assassinato circa un anno più tardi dalle sue stesse guardie del corpo.»
«Ah, sì, ricordo di aver sentito parlare di lui. Dicono che sia morto a testa in giù negli escrementi.»
«Sulla sua fine esistono numerose versioni. A quel tempo, comunque, lui aveva ancora il controllo delle sue forze, e Lord dy Guarida era riuscito a intrappolare il suo esercito — forse sarebbe meglio dire la sua marmaglia — sulle colline, ai confini del suo principato. Lord Dondo e io siamo stati mandati da Olus come inviati, sotto bandiera di tregua, per consegnargli un ultimatum e stabilire le condizioni per la resa e per i riscatti. Le cose non sono andate bene durante la discussione e Olus ha deciso che un messaggero era più che sufficiente per riferire le sue parole di sfida all’assemblea dei nobili di Chalion. Di conseguenza, ha messo me e Dondo l’uno davanti all’altro nella sua tenda, circondati da quattro di quelle sue mostruose guardie con la spada in pugno, e ci ha dato un’alternativa: a quello di noi che avesse decapitato il compagno sarebbe stato permesso di far ritorno presso le nostre linee; se invece ci fossimo rifiutati di stare al suo gioco saremmo morti entrambi, e le nostre teste sarebbero state rispedite indietro mediante un lancio con una catapulta.»
«Ah», fu tutto quello che Palli riuscì a dire.
«A me è stata data l’occasione di colpire per primo», continuò Cazaril, traendo un profondo respiro. «Quando ho rifiutato la spada, Olus mi ha sussurrato, con quella sua strana voce untuosa: ’Questo è un gioco in cui non potete vincere, Lord Cazaril’. ’Lo so, m’hendi’, ho risposto. ’Ma posso far perdere voi.’ Per un momento, lui è rimasto in silenzio, poi si è limitato a ridere e si è girato, offrendo la possibilità di colpire a Dondo, che a quel punto era verdastro in faccia, più simile a un cadavere che a un uomo vivo…»
Palli si agitò leggermente, ma non lo interruppe, anzi gli fece cenno di continuare.
«Una delle guardie mi ha costretto a inginocchiarmi, e l’altra mi ha preso per i capelli, in modo che appoggiassi la testa su uno sgabello. Poi… Dondo ha calato la spada.»
«Sul braccio della guardia?» chiese Palli, con voce tesa.
«No», rispose Cazaril, dopo un momento di esitazione. «All’ultimo momento, però, Olus ha insinuato la sua spada di piatto tra di noi, e la lama di Dondo è scivolata su di essa…» Nella sua mente, Cazaril sentiva l’acuto stridere del metallo sul metallo. «Me la sono cavata con un livido sul collo che è rimasto nero per un mese. Due guardie hanno tolto a forza la spada a Dondo, poi siamo stati issati entrambi sui nostri cavalli e rimandati al campo di dy Guarida. Mentre mi legavano le mani alla sella, Olus si è avvicinato e mi ha sussurrato: ’Adesso vedremo chi sarà il perdente’. Il viaggio si è svolto in assoluto silenzio, finché non siamo arrivati in vista del campo. A quel punto, Dondo si è girato verso di me per la prima volta, e ha detto: ’Se mai doveste raccontare quello che è successo, vi ucciderò’. La mia risposta è stata: ’Non vi preoccupate, Lord Dondo, a tavola racconto soltanto storie divertenti’. Adesso so che dovevo giurargli di mantenere il segreto, e tuttavia… forse neppure quello sarebbe stato sufficiente.»
«Ma lui ti deve la vita!»
«Ho visto la sua anima messa a nudo», spiegò Cazaril, scuotendo il capo e distogliendo lo sguardo. «È una cosa che non potrà mai perdonarmi. Naturalmente, mi sono ben guardato dal riferire l’accaduto, e ho pensato che la cosa fosse finita lì… fino alla caduta di Gotorget e a quello che è successo dopo. Adesso so di essere doppiamente condannato. Quanto credi che varrebbe la mia vita, se Dondo venisse a sapere non soltanto che sono vivo, ma anche che so esattamente perché sono stato venduto come schiavo sulle galee? Se non dirò e non farò nulla, evitando di ricordargli l’accaduto… Ecco, forse ormai lo ha dimenticato, e io voglio soltanto essere lasciato in pace, in questo posto tranquillo, mentre è possibile che lui abbia nuovi e più importanti nemici. Non fare mai il mio nome, a nessuno dei due dy Jironal», proseguì con voce tesa, fissando l’amico negli occhi. «Non mi nominare mai. Ricorda che non hai mai sentito questa storia e che mi conosci solo superficialmente. Palli, se nutri un po’ di affetto nei miei confronti, dimentica ogni cosa.»