«Andate via!» urlò, da sopra la spalla. «Passate per i tetti, se necessario!» Fugacemente si chiese se Iselle sarebbe riuscita ad arrampicarsi, con indosso gli abiti di gala, ma non poté neppure girarsi per vedere se il suo ordine era stato seguito, perché il suo avversario si era ripreso e lo stava incalzando. Quei bravacci — o soldati o qualsiasi cosa fossero — indossavano abiti da comuni cittadini, senza colori o stemmi che li identificassero, probabilmente per infiltrarsi in città in piccoli gruppi, mescolandosi alla folla di quel giorno di festa.
Dy Cembuer attaccò un avversario, ma un violento colpo di risposta lo raggiunse al braccio rotto, con un impatto che lo fece impallidire e ricadere all’indietro con un grido soffocato. In quel momento, un soldato svoltò l’angolo e prese a correre verso l’arcata. Nel notare che portava i colori baociani, verde e nero, per un momento Cazaril provò un impeto di speranza… Ma poi riconobbe in lui il corrotto capitano delle guardie di Teidez. A quanto pareva, stava diventando sempre più esperto nell’arte del tradimento.
Nel vedere Cazaril, il capitano baociano ritrasse le labbra in un ringhio e serrò la spada con maggior determinazione, andando ad affiancarsi al compagno contro cui il Castillar già stava combattendo. Cazaril avrebbe voluto chiudere il cancello, ma non aveva né il tempo né le mani libere per farlo. Per di più, l’avversario di dy Cembuer era caduto attraverso la soglia, bloccandola. Cazaril, però, non osava neppure indietreggiare, perché quella strettoia costringeva gli avversari ad affrontarlo uno per volta, ed era il punto migliore per una difesa a oltranza. La mano gli si stava già intorpidendo per le vibrazioni che ogni impatto sulla lama trasmetteva all’impugnatura, e il ventre era contratto dai crampi, ma ogni suo respiro affannoso garantiva un altro passo alla fuga di Bergon, Iselle e Betriz. Un passo, due passi, cinque… Dov’era dy Tagille? Nove passi, undici… Quanti altri aggressori sarebbero giunti oltre a quelli? La sua lama staccò un pezzo di mascella al primo avversario, che barcollò all’indietro con un grido di dolore. Ma ciò permise al capitano di attaccare da un’angolazione migliore. Cazaril notò che aveva ancora al dito l’anello con lo smeraldo donatogli da Dondo, che scintillava a ogni movimento della spada. Quaranta passi, cinquanta…
Cazaril stava lottando in preda a un’esaltazione che nasceva dal terrore, così pressato dalla necessità di difendersi da non avere il tempo di riflettere sui pericoli sovrannaturali connessi, per esempio, a un affondo, in seguito al quale il demone della morte avrebbe potuto strappargli l’anima dal corpo e portarla via insieme con quella della sua vittima morente. Il suo mondo si era ristretto in modo sorprendente e lui non desiderava uscire vittorioso da quella giornata o da quello scontro, e neppure salvarsi la vita. Per lui contavano soltanto i passi dei suoi protetti in fuga, e ognuno di essi era una piccola vittoria. Sessanta passi… Accorgendosi che stava perdendo il conto, ricominciò da capo. Uno. Due. Tre…
Adesso probabilmente morirò, si disse. Morire due volte però non sarebbe servito ad annullare la maledizione, e ciò fece divampare nel suo animo una rabbia folle. Non posso morire abbastanza! Il suo braccio, ormai stanco, tremava: per difendere quel cancello ci sarebbe voluto uno spadaccino, non un segretario, ma la veglia privata della Royesse aveva coinvolto soltanto una manciata di nobili. Possibile che nessuno stesse arrivando alle sue spalle per dargli aiuto? Anche i servitori più anziani avrebbero potuto afferrare qualche oggetto e scagliarlo contro i nemici… Ventidue…
Prossimo allo sfinimento, Cazaril si chiese se non era il caso d’indietreggiare attraverso il cortile, e se i fuggiaschi avevano già salito le scale. La frenetica occhiata che si gettò alle spalle fu un errore, perché gli fece perdere il ritmo: con uno stridio metallico, la lama del baociano gli strappò la spada dalla mano ormai formicolante e la fece schizzare sulle pietre, dove prese a ruotare su se stessa. Poi il baociano gli assestò un violento spintone all’indietro, allontanandolo dall’arcata e facendolo cadere supino. Subito dopo, una mezza dozzina di uomini oltrepassò il portone, al seguito del capitano, sparpagliandosi per il cortile e, nel passare accanto a Cazaril, un paio di loro, più prudenti ed esperti, gli assestarono un calcio per accertarsi che non si rialzasse. La loro identità rimaneva ancora ignota, ma non c’erano dubbi su chi li avesse mandati.
Tossendo, Cazaril si girò su un fianco in tempo per vedere dy Jironal varcare a grandi passi il cancello, nella scia di un’altra mezza dozzina di uomini, e superare dy Cembuer che era ancora a terra, piegato su se stesso coi denti serrati per il dolore. Ma Iselle e Bergon si erano messi in salvo, risalendo magari una scala riservata alla servitù o passando per i tetti? Per gli Dei, bisognava soltanto sperare che non avessero ceduto al panico, barricandosi nelle loro stanze…
«Martou!» tuonò Cazaril, sollevandosi sulle ginocchia, scorgendo dy Jironal che si dirigeva verso le scale della galleria, dove un gruppetto dei suoi uomini lo stava aspettando.
«Tu!» esclamò dy Jironal, girandosi di scatto, come se fosse stato attaccato all’estremità di una fune. In risposta a quel movimento, il capitano baociano e un altro soldato afferrarono subito Cazaril per le braccia, piegandogliele dietro la schiena e alzandolo.
«Sei arrivato troppo tardi!» gridò Cazaril. «Il matrimonio è stato celebrato e consumato, e adesso non c’è modo di annullarlo. Chalion possiede Ibra, al prezzo più basso mai pagato, e tutta la nazione celebra questa fortuna. Iselle è la Figlia della Primavera, la delizia degli Dei, non puoi vincere contro di lei. Arrenditi! Salva la tua vita e quella dei tuoi uomini!»
«È sposata?» ringhiò dy Jironal. «Se necessario, la renderò vedova. È una pazza traditrice, la prostituta di Ibra, è maledetta e non intendo permetterle di continuare ciò che sta facendo!» Giratosi di scatto, tornò ad avanzare verso le scale.
«Sei tu la prostituta, Martou! Tu hai venduto Gotorget in cambio del denaro roknari che io avevo rifiutato, e hai venduto me come schiavo sulle galee per impedirmi di parlare!» urlò Cazaril, scoccando occhiate frenetiche ai soldati, che adesso esitavano. Dentro di sé, continuava a contare i passi. Cinquantacinque, cinquantasei, cinquantasette… «Questo bugiardo vende i suoi uomini. Seguitelo, e rischiate di essere traditi la prima volta che lui sentirà odore di profitto!»
Dy Jironal tornò a girarsi ed estrasse la spada. «Adesso ti chiuderò la bocca, miserabile stolto!» sibilò. «Tenetelo fermo.»
Un momento, no…
I due uomini che trattenevano Cazaril si spostarono leggermente di lato, sgranando gli occhi, nel vedere dy Jironal che avanzava roteando la spada per vibrare un possente fendente a due mani.
«Mio signore… è un assassinio», balbettò l’uomo che teneva Cazaril per il braccio sinistro. Poi lui e il compagno bloccarono il fendente inteso a decapitarlo.
Senza darsi per vinto, dy Jironal cambiò l’attacco a metà del movimento della spada, trasformandola in un basso e violento affondo cui impresse tutto il peso e la forza che gli venivano dalla sua ira.
L’acciaio trapassò il broccato di seta, la pelle e i muscoli, affondando nel ventre di Cazaril, che venne quasi sollevato da terra dalla violenza dell’impatto.
Tutt’intorno scese il silenzio. La spada stava scivolando nel suo corpo con la lentezza di una perla che affondasse nel miele, e in maniera altrettanto indolore. Davanti a lui, il volto arrossato di dy Jironal era immobilizzato in una maschera di furia, e gli uomini che lo trattenevano si tenevano discosti da lui, la bocca aperta in un muto grido di sorpresa.
Con un ululato di trionfo che soltanto Cazaril poté sentire, il demone della morte fluì lungo la lama della spada, lasciandola incandescente al suo passaggio, e raggiunse la mano di dy Jironal, seguito da una specie di melassa nera, ululante di angoscia, che era l’essenza di Dondo. Crepitanti scintille biancazzurre si diffusero intorno al braccio destro di dy Jironal, avviluppandolo come edera e risalendo poi ad avvolgere tutto il suo corpo. Lentamente, la testa di dy Jironal s’inclinò all’indietro. Quando l’anima venne strappata dal corpo, una voluta di fuoco bianco gli scaturì dalla bocca, mentre i capelli si rizzavano e gli occhi dilatati ribollivano di una luce bianca. La spada che lui ancora stringeva in pugno si mosse sotto il suo peso, facendo sfrigolare intorno alla propria lama la carne di Cazaril. Poi bianco, rosso e nero vorticarono sino a fondersi, sgorgando all’esterno senza una direzione particolare. Le percezioni di Cazaril vennero aspirate sulla scia di quel ciclone, verso l’alto e fuori del suo corpo, come una colonna di fumo. Tre anime e un demone, vincolati tra loro, giunsero così al cospetto di un’azzurra Presenza…