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Carse odiava i Dhuviani, ma era certo che nel mondo mai fosse esistito, nel cuore di un uomo, un odio così terribile come quello che avvertiva ora nella mente di Rhiannon.

Garach cominciò a gemere. Gemendo e piangendo a un tempo, si ritrasse, per sfuggire agli occhi ardenti dell’uomo che torreggiava sopra di lui. Un po’ correndo, un po’ muovendosi a quattro zampe, come un animale, fuggì via, esplodendo in una rauca, aspra risata da folle.

E ridendo come un folle, egli fuggì verso l’anello oscuro, e la morte lo accolse, e, in un terribile silenzio, lo fece cadere raggrinzito, vuoto, orribile sul pavimento della sala.

L’energia silenziosa continuava a espandersi, pulsando, a espandersi sempre più lontano, passando attraverso il metallo e la carne e la roccia, annerendo svuotando, uccidendo, inseguendo gli ultimi figli del Serpente che fuggivano attraverso i corridoi bui di Caer Dhu, uccidendoli fino all’ultimo. Non ci furono più armi a fiammeggiare inutilmente contro di essa. Nessuno sollevò contro di essa braccia sottili, serpentine, nel futile tentativo di respingere la morte incombente.

Infine, l’energia oscura giunse a contatto con il Velo che racchiudeva la nera città del Serpente. Carse se ne accorse, dalla breve reazione della ruota al contatto con quell’altra, misteriosa energia lontana. E allora, Rhiannon fece fermare la ruota.

Ci fu, allora, un periodo di mortale silenzio, un’immobilità completa, totale, mentre i tre che erano i soli rimasti in vita nella città rimanevano fermi, silenziosi, troppo scossi e storditi anche soltanto per respirare.

E infine, la voce di Rhiannon parlò di nuovo.

«Il Serpente è morto. Che la sua città… e le mie armi, che hanno arrecato tanto male a questo mondo… siano distrutte insieme dai Dhuviani.»

Abbandonò la ruota di cristallo, e cercò un altro strumento, quello fatto di sbarre e aste metalliche tozze e intrecciate.

Sollevò quel piccolo oggetto nero, e premette una molla segreta, e dal tubo di piombo sistemato al centro delle sbarre e delle aste uscì una scintilla, una scintilla di luce troppo intensa per essere sopportata dagli occhi umani.

Fu solo una minuscola scintilla abbagliante, che andò a colpire una parete. Ma cominciò a crescere. Pareva nutrirsi degli atomi della roccia, come la fiamma si nutre della legna. E come l’incontrollabile fuoco di un incendio, cominciò a propagarsi sulle pareti sciogliendo e raggrinzendo la roccia, avvicinandosi ai tre che, in silenzio, già si erano ritirati fino all’imboccatura del corridoio. La terribile fiamma toccò la ruota di cristallo, e l’arma che aveva distrutto il Serpente venne a sua volta consumata.

Una reazione a catena, quale nessuno scienziato nucleare della Terra aveva osato perfino immaginare, una reazione a catena che poteva rendere instabili, come gli elementi radioattivi di numero più alto, gli atomi dei metalli, e dei cristalli, e della pietra.

Rhiannon disse:

«Venite.»

Percorsero i corridoi vuoti, deserti e oscuri, in silenzio, e dietro di loro lo strano fuoco magico divampava, sempre più terribile, e il grande salone centrale venne inghiottito da una voragine famelica di fiamma, trovando una rapida, inesorabile distruzione.

L’antica conoscenza di Rhiannon guidò Carse fino al centro vitale della città, il ganglio del Velo, una stanza che si trovava vicino ai grandi portali; e là il terrestre, sotto la volontà di Rhiannon, regolò i comandi, in modo che la rete scintillante venisse spenta per sempre.

Allora uscirono dalla cittadella, e percorsero la strada antica e polverosa e sconnessa, fino al molo dove era ormeggiata la chiatta nera.

Gitanti là, si voltarono, per guardare lo spettacolo di distruzione che si svolgeva alle loro spalle.

Dovettero proteggersi gli occhi, perché la strana, spaventosa fornace che consumava Caer Dhu aveva qualcosa, in sé, del fuoco terribile del Sole. Il fuoco si era diffuso avido tra le antice rovine, e aveva trasformato il centro in una torcia che illuminava tutto il cielo, cancellando le stelle, rendendo fievoli e pallide le due lune basse, rischiarando di un livido bagliore il lontano orizzonte.

Anche la strada che scendeva al molo cominciò a bruciare, una lingua sempre più lunga di fuoco, tra le canne oscure della palude.

Allora Rhiannon sollevò di nuovo la sua arma nera. Dal tubo uscì, questa volta, un minuscolo, fievole corpuscolo di luce, non una scintilla, un corpuscolo che volò veloce verso la lingua fiammeggiante che si faceva sempre più vicina.

Allora le fiamme parvero esitare, si affievolirono, poi cominciarono a impallidire, e si spensero.

Il magico fuoco di una reazione atomica misteriosa, che Rhiannon aveva provocato, ora veniva combattuto e soffocato da una reazione contraria, che ne annullava l’effetto… qualcosa che sfuggiva alla comprensione di Carse, qualcosa che apparteneva a regni inesplorati di conoscenza, a fenomeni di reazione nucleare che gli scienziati della Terra neppure potevano sognare.

Presero i lunghi pali, e spinsero la chiatta lontana dalla riva, sulle acque luminescenti, e l’irradiazione tremante, alle loro spalle, parve tremare, e si spense. E allora la notte calò di nuovo intorno, tenebrosa e profonda, e di Caer Dhu non rimase che vapore e cenere fumante.

La voce di Rhiannon parlò di nuovo:

«È fatto!» disse. «Ho redento il mio peccato.»

Il terrestre sentì allora la completa, immensa stanchezza dell’essere che si trovava dentro di lui; sentì che egli si ritirava, lasciando libero il suo corpo e la sua mente da quello strano, terribile possesso.

E poi, egli fu di nuovo Matthew Carse.

Capitolo XIX

IL GIUDIZIO DEI QUIRU

Il mondo intero sembrava silenzioso e immoto, nell’alba, mentre la nera imbarcazione discendeva lungo l’estuario, dirigendosi a Sark. Nessuno parlava, tra loro, e nessuno si volgeva a guardare la grande cortina di vapori biancheggianti, una nuvola che continuava a salire, lenta e maestosa, nel cielo alle loro spalle.

Carse si sentiva stordito, prosciugato di ogni emozione. Si era lasciato dominare, e usare, dalla tremenda collera di Rhiannon, ed era come se un’energia possente lo avesse in parte consumato… non riusciva ancora a sentirsi lo stesso uomo che era stato prima dell’esperienza. Sapeva che qualcosa, della potenza e della collera di Rhiannon, era rimasto sul suo volto, perché gli altri due cercavano di evitare il suo sguardo, e né Boghaz, né Ywain, ruppero il silenzio frusciante della notte che ormai si stemperava nel chiarore dell’aurora.

E anche la grande folla riunita sui moli di Sark era silenziosa. Pareva che il popolo si trovasse là da molto tempo, per guardare in direzione di Caer Dhu; e anche ora, con l’ardore tremendo della sua distruzione già impallidito e scomparso dal cielo, la folla stava fissando con volti bianchi e spaventati il cielo nella direzione ove un tempo si era trovata la nera fortezza del Serpente.

Carse guardò più oltre, al di là della rada. Le lunghe navi di Khondor erano ferme, con le vele calate dagli alberi maestri, e Carse capì che quel terribile incendio nel cielo aveva spaventato e intimorito perfino i Re del Mare, inducendoli a rimandare l’attacco.

La nera chiatta toccò infine l’attracco di pietra del palazzo. La folla si fece avanti, ansiosa, quando Ywain scese a terra, e un clamore di voci si levò da ogni dove, voci ansiose e nel medesimo tempo stranamente soffocate.

Ywain parlò alla folla.

«Caer Dhu e il Serpente non esistono più… entrambi sono stati distrutti dalla potenza del Signore Rhiannon!»

Istintivamente, lei si rivolse a Carse, e gli occhi di tutti i presenti, in quella immensa folla, si volsero a guardare il terrestre, mentre la notizia faceva rapidamente il giro della folla, in un brusio che aumentò, fino a trasformarsi, d’un tratto, in un immane grido di giubilo e di gratitudine, che parve salire fino al cielo.

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