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Pensò che, se davvero Ywain teneva nascosto il suo amante, nella cabina socchiusa, doveva trattarsi di un amante molto strano. Ma non ebbe il tempo per abbandonarsi a ipotesi o fantasticherie; la voce dura di lei lo riportò alla realtà. Ywain lo fissò, penetrante, implacabile, e Carse pensò, come nel momento in cui l’aveva vista per la prima volta, che non aveva mai visto degli occhi come quelli. Poi lei si rivolse a Scyld, e ordinò:

«Dimmi tutto… tutto quello che sai.»

Con aria inquieta, pallidissimo, il soldato raccontò l’intera storia a Ywain, con voce tremante, e con frasi incerte, incomplete. Allora Ywain si rivolse a Boghaz.

«E tu, grassone. Come hai avuto la spada?»

Boghaz sospirò profondamente, e indicò Carse, con un cenno del capo.

«Da lui, Altezza. È un’arma bellissima, e io sono un ladro di professione.»

«Un’arma bellissima, hai detto. L’hai rubata solo per questo motivo? Non c’era altro?»

Il volto di Boghaz era un modello di sorpresa e d’innocenza.

«Per quale motivo avrei dovuto volerla? Io non sono un soldato, e non amo la violenza. E poi, c’erano la cintura e il collare… potete vedere voi stessa, Altezza, che si trattava di cose molto belle, e certamente preziose. Molti sarebbero stati disposti a pagare un buon prezzo, per averli.»

Era impossibile capire, dall’espressione di Ywain, se lei credeva o meno alle parole del grasso Valkisiano. Il suo volto era impassibile, e rimase tale, anche quando si voltò verso Carse.

«Dunque, la spada apparteneva a te?»

«Sì.»

«Dove l’hai presa?»

«L’ho comprata da un mercante.»

«Dove?»

«Nelle terre del nord, al di là del Shun.»

Ywain sorrise.

«Tu menti.»

Carse rispose, con voce stanca:

«Io sono entrato in possesso della spada onestamente,» …e, in un certo senso, questo era vero… «E non m’importa che tu creda o no alle mie parole.»

Quella fessura, quella minuscola, impercettibile fessura che appariva nella parete, là dove si apriva la porticina interna, pareva irriderlo. Avrebbe voluto spalancare quella porta, vedere che cosa si nascondeva là, ascoltando ogni parola, vigile e attento nell’ombra. Voleva vedere che cosa produceva quell’odore odioso, nauseante.

Eppure, gli pareva quasi che non ce ne fosse bisogno. Eppure, gli pareva quasi di saperlo già.

Incapace di dominarsi oltre, il rozzo Scyld domandò, impetuosamente:

«Perdonami, Altezza!… ma perché tanta agitazione per una spada?»

«Tu sei un soldato valoroso, Scyld,» rispose lei, pensierosa. «Ma sotto molti aspetti, eccelli anche per la tua ignoranza. Non hai pulito questa spada?»

«Oh, certo, Altezza! E in quali condizioni era ridotta!…» Diede un’occhiata disgustata a Carse. «Non è questo il modo di tenere una spada. Sembrava quasi che egli non l’avesse toccata da anni.»

Ywain posò la mano sull’elsa della spada, e sul gioiello fumoso che riverberava pigramente nel chiarore delle torce. Carse vide che quella mano tremava. Poi ella disse lentamente, sommessamente:

«Avevi ragione, Scyld. Nessuno l’aveva toccata, da anni. Nessuno l’aveva toccata, dal giorno in cui colui che l’ha creata, Rhiannon, venne rinchiuso nella sua tomba, per espiare i suoi peccati.»

Il volto di Scyld diventò bianco come quello di un fantasma. Per un istante, egli non manifestò alcuna espressione, alcuna reazione. Poi, lentamente, spalancò gli occhi e la bocca, e fissò la spada, e dalle sue labbra uscì una sola parola, un bisbiglio sommesso e impaurito che pareva una maledizione, o una preghiera.

Lentamente, egli ripeté:

«Rhiannon!»

Capitolo VIII

LA PRESENZA NEL BUIO

Lo sguardo di Ywain non si staccava dal volto di Carse, anche mentre la donna si rivolgeva a Scyld.

«Quest’uomo conosce il segreto della Tomba di Rhiannon, Scyld. Non può essere diversamente, perché egli possiede la spada.»

S’interruppe, e quando riprese a parlare, la sua voce fu soltanto un sussurro lieve, un mormorio che pareva esprimere i pensieri più riposti dell’anima.

«Si tratta di un segreto pericoloso. Così pericoloso che io vorrei quasi…»

Di nuovo s’interruppe, questa volta bruscamente, come se l’improvviso timore di avere detto troppo l’avesse pervasa. Era soltanto un effetto della fantasia di Carse, oppure Ywain aveva lanciato una rapida occhiata in direzione della porta socchiusa?

Fu solo un momento. Riprendendo il suo tono imperioso e arrogante, lei si rivolse a Carse.

«Ti concedo un’altra occasione, schiavo,» disse. «Dov’è la Tomba di Rhiannon?»

Ostinatamente, Carse scosse il capo.

«Io non so niente,» disse, e si appoggiò alla spalla di Boghaz, perché la stanchezza e la sofferenza e le emozioni stavano giocando un gioco crudele su di lui, e temeva di scivolare nell’incoscienza da un momento all’altro. Dei sottili rivoletti rossi, nei quali sudore e sangue si mescolavano, erano discesi lungo il suo corpo, e già avevano macchiato il tappeto che copriva il pavimento della cabina. Il volto di Ywain pareva lontanissimo, e danzava davanti ai suoi occhi stanchi, celato in parte da una nebbia color del crepuscolo.

Scyld disse, con voce aspra:

«Dallo a me, Altezza. Ci penserò io a farlo parlare.»

«No. Ormai è in uno stato tale che i tuoi metodi potrebbero ucciderlo… e per ora, non voglio che muoia. Prima dovrà rivelare il suo segreto. Devo riflettere.»

Pensierosa, guardò prima Carse, poi Boghaz, poi di nuovo il terrestre.

«A quanto pare, non amano molto remare. Benissimo. In questo caso, togli dal loro remo il terzo schiavo. Obbliga questi due uomini a remare per tutta la notte, senza aiuto. E di’ a Callus di frustare quello grasso due volte ogni clessidra, cinque colpi per volta.»

Boghaz gemette.

«Pietà, Altezza, pietà!» implorò. «Ti ho già detto tutto quello che so. Parlerei, se sapessi qualcosa di più, lo giuro!»

Lei alzò le spalle.

«Forsi dici la verità. In questo caso, le frustate ti indurranno a fare del tuo meglio, per persuadere il tuo compagno a parlare.» Si rivolse di nuovo a Scyld. «E di’ anche a Callus di annaffiare con acqua di mare quello alto, quando gli sembrerà necessario.» I suoi denti bianchissimi lampeggiarono, rivelati da un sorriso crudele. «L’acqua di mare è nota per le sue proprietà curative.»

Scyld rise.

Ywain gli fece cenno di andarsene.

«Provvedi aftinché i miei ordini siano eseguiti con ogni cura, ma ricorda bene che questi due uomini non devono in nessun caso morire. Quando saranno pronti a parlare, portali qui da me.»

Scyld salutò militarmente, e ricondusse i suoi prigionieri al loro posto, nella fossa dei rematori. Jaxart fu slegato dal remo, e condotto verso un altro banco, custodito da quattro robusti soldati; e per Carse, da quel momento, ricominciò l’incubo angoscioso delle ore notturne.

Boghaz era scosso, e il suo enorme corpo tremava. Urlò di dolore, con tutta la forza dei suoi polmoni, quando ricevette i suoi cinque colpi di scudiscio, e poi, quando la prima punizione fu terminata, mormorò all’orecchio di Carse, in tono ansioso:

«Maledetto il momento in cui i miei occhi hanno visto la tua dannata spada! Ci farà finire a Caer Dhu… e che tutti gli dei abbiano misericordia di noi, allora!»

Carse scoprì i denti, in quello che fu il pallido fantasma di im sorriso.

«A Jekkara parlavi molto diversamente.»

«A Jekkara ero un uomo libero, e i Dhuviani erano molto lontani.»

Nell’udire quel nome, qualcosa si contrasse, nelle profondità più segrete della mente di Carse… una specie di palpito nascosto, che fece fremere tutto il suo corpo. Disse, con voce strana, soffocata:

«Dimmi, Boghaz, cos’era quell’odore, nella cabina?»

«Odore? Io non ho sentito niente.»

È strano che lui non abbia sentito niente, pensò Carse, Quando per poco quell’odore non mi ha fatto impazzire. Ma forse sono già impazzito. Forse la prova è stata troppo dura, per me.

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