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«Jaxart aveva ragione, Boghaz.» disse poi, sommessamente, ma in modo che il grasso Valkisiano potesse udirlo. «Ywain tiene nascosto qualcosa là, nella cabina interna.»

Con una traccia d’irritazione nella voce, Boghaz rispose:

«Credi che gli amori di Ywain mi interessino, nella situazione in cui ci troviamo? Per me, potrebbe tenere un reggimento di amanti, nella sua cabina.»

Continuarono a remare in silenzio per qualche tempo, ciascuno immerso nei suoi pensieri, ciascuno curvo sul remo. Poi Carse ruppe improvvisamente quel silenzio con una domanda:

«Chi sono i Dhuviani?»

Per un istante, Boghaz si voltò a fissarlo, pur continuando a remare. I suoi occhietti si erano spalancati per la sorpresa.

«Ma da dove vieni in realtà, amico?» chiese poi, lentamente.

«Già te l’ho detto… vengo da un paese molto lontano, al di là del Shun.»

«Deve trattarsi di un paese molto lontano davvero, se là non avevi mai sentito parlare di Caer Dhu e del Serpente maledetto!»

Boghaz tacque ancora per qualche minuto, poi, continuando a remare, sì strinse nelle spalle.

«Ora sono convinto più che mai che tu stia giocando qualche tuo gioco complicato, per chissà quale scopo recondito. Tutta questa pretesa ignoranza… ma in fondo, io non ho nulla da perdere. E posso assecondarti, se preferisci.» Dopo qualche altra bracciata, sbuffando, il grasso Valkisiano continuò, «Saprai almeno che da un’epoca immemorabile esistono sul nostro mondo dei popoli umani, e, insieme a essi, dei popoli non del tutto umani, gli Halfling. Tra i popoli umani, primeggiava il grande popolo dei Quiru, maestri di ogni scienza e di ogni dottrina; la loro fama è stata tramandata nel corso delle epoche, tanto che ancora oggi essi vengono onorati come superuomini.

«Ma fin dal passato immemorabile sono esistiti anche gli Halfling… le razze che hanno un aspetto quasi umano, ma che non discendono dallo stesso ceppo dell’uomo. I Nuotatori, a esempio, che discendono dalle creature del mare, e i Celesti, che discendono dalle creature alate… e i Dhuviani, che discendono dal serpente.»

Un brivido gelido percorse il corpo di Carse. Perché mai tutto questo, che lui udiva ora per la prima volta, gli sembrava già conosciuto e familiare? Perché quelle parole evocavano echi di strani ricordi, di strani sentimenti, in lui? Certamente lui non aveva mai udito, prima di quel giorno, la storia di quell’antica evoluzione marziana, di quelle razze di ceppo intrinsecamente alieno che si erano evolute, fino ad assumere superficialmente un aspetto quasi umano. Anche se ne aveva gli esempi sotto gli occhi… i Nuotatori e i Celesti… per lui si trattava di qualcosa di nuovo, di qualcosa che era andato perduto, su Marte, tranne che, forse, nell’eco remotissima di qualche impossibile leggenda. Se gli avessero parlato di quelle cose qualche giorno prima, la mente di Carse, la mente dell’archeologo e dello studioso, si sarebbe ribellata a un’ipotesi così fantastica e così assurda, sull’ancestrale passato del pianeta rosso. No, non aveva mai udito niente di simile, in passato… ma era proprio vero? O forse lui già sapeva tutto questo?

«I Dhuviani furono sempre industriosi e saggi, come il serpente dal quale essi discendono,» stava dicendo Boghaz, ansando. «Così grande era la loro abilità, così sincero appariva il loro desiderio di conoscere, che essi convinsero Rhiannon dei Quiru a insegnar loro una parte della sua antica scienza.

«Una parte, ma non tutto! Eppure, ciò che essi appresero fu sufficiente a far sì che essi potessero rendere inespugnabile la loro nera città di Caer Dhu, e potessero anche intervenire, di quando in quando, con le loro armi scientifiche, facendo dei Sark, i loro alleati, la nazione umana dominante del nostro mondo.»

«E fu questo il peccato di Rhiannon?» domandò Carse.

«Sì, fu questo il peccato del Maledetto, che nel suo orgoglio aveva osato sfidare gli altri Quiru, i quali l’avevano ammonito a non rivelare neppure una piccola parte dei suoi poteri ai Dhuviani. E fu per questo peccato che gli altri Quiru condannarono Rhiannon, e lo rinchiusero in una tomba segreta, prima di lasciare il nostro mondo. Almeno, così dice la leggenda.»

«Ma i Dhuviani sono anch’essi una leggenda, oppure no?»

«No, che gli dei li possano maledire per sempre!» borbottò Boghaz. «I Dhuviani sono veri e concreti, e sono il motivo per cui tutti gli uomini liberi odiano i Sark, che hanno stretto una malefica alleanza con il Serpente.»

Furono interrotti dal sopraggiungere di uno schiavo, un Celeste dalle ali mozzate, che si chiamava Lorn. Era stato mandato da Callus a riempire un secchio di acqua di mare, e adesso stava ritornando, con il secchio pieno.

Questa volta, l’uomo alato parlò, e anche in quelle condizioni la sua voce serbava un poco di melodia, un poco di libera armonia, e faceva intuire quale meraviglioso canto sarebbe stata, se il Celeste avesse potuto aprire le sue ali e balzare verso il cielo.

«Sarà una prova dolorosa, straniero. Cerca di sopportarla, se ti sarà possibile… perché ti aiuterà.» Sollevò il secchio. La bianca acqua di mare, che conservava una strana, intensa luminescenza, si riversò sulla schiena e sul corpo di Carse, dandogli per qualche tempo un aspetto spettrale, rivestendolo di fiamma fredda e pulsante.

Un fiamma che pareva fredda, ma non sul corpo del terrestre.

In quel momento, Carse capì il motivo del sorriso crudele di Ywain, quando aveva impartito gli ordini a Scyld; e capì il motivo dell’aspra risata del soldato. Qualunque fosse la sostanza chimica che dava al mare quella soprannaturale, indescrivibile fosforescenza, essa poteva avere delle prodigiose proprietà curative, ma in questo caso la cura era infinitamente peggiore del male. L’acqua era come un acido corrosivo, un acido che pareva bruciare e divorare la carne, penetrando fino alle ossa. Carse chiuse gli occhi, e strinse i denti, cercando di sopportare quel nuovo, atroce dolore.

Le ore della notte passarono lente, interminabili, e dopo qualche tempo Carse sentì che il dolore diminuiva, che l’agonia si faceva un po’ meno intollerabile. Si accorse che le ferite non sanguinavano più, e l’acqua cominciava a dargli un senso di frescura. Con sua sorpresa, vide sorgere la seconda alba sul Mare Bianco, in uno spettacolo fantasmagorico di luci e colori che i suoi occhi non avevano più sperato di rivedere.

Poco dopo il sorgere del sole, dall’albero maestro giunse il grido della vedetta. I Banchi Neri erano in vista.

Attraverso il portello del remo, Carse poté scorgere una distesa vasta e tumultuosa d’acque inquiete e di spuma luminescente, uno spumeggiare pauroso che si stendeva per chilometri e chilometri. Nella schiuma rugghiante apparivano rocce e scogli, banchi rocciosi irregolari e neri artigli contorti.

«Non cercheremo certamente di passare per quell’inferno!» esclamò Carse, attonito e spaventato, alla vista di quella paurosa distesa di scogli micidiali e di schiuma impetuosa.

«È la rotta più breve per Sark,» disse Boghaz. «In quanto alla possibilità di passare attraverso i Banchi… per quale, motivo credi che ogni galera Sark porti a bordo dei prigionieri Nuotatori?»

«Me lo sono chiesto, infatti.»

«Be’, tra poco vedrai.»

Ywain apparve sul ponte, e Scyld la raggiunse immediatamente. Né l’una né l’altro si degnarono di abbassare lo sguardo sulla fossa dei rematori, e sulle due figure stanche, curve che faticavano da sole sull’enorme remo.

Immediatamente, Boghaz gemette, in tono querulo:

«Pietà, Altezza!»

Ywain non prestò alcuna attenzione a quella supplica. Si rivolse a Scyld, e impartì un ordine secco:

«Fa’ rallentare la battuta, e manda giù i Nuotatori.»

Due soldati si avvicinarono a Naram e Shallah, e aprirono le catene che serravano le caviglie e i polsi dei due Nuotatori prigionieri. Non appena furono liberi, i due schiavi corsero via. Ai loro colli c’era un collare di metallo, al quale era attaccata una lunghissima catena di filo metallico, assicurata a sua volta a un anello di ferro infisso sul ponte del castello di prua.

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