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«Il barbaro non mi domò affatto! Mi ha baciata, e io gli lasciai godere quel bacio, in modo da poter lasciare il mio marchio sul suo viso per sempre.»

Carse annuì, ironico.

«E per un momento, anche tu hai avuto piacere. Tu sei una donna, Ywain, malgrado la corta tunica che indossi, e la tua armatura. E una donna riconosce sempre l’uomo che può diventare il suo padrone.»

«Lo pensi davvero?» mormorò lei.

Ora si era avvicinata a lui, e le sue labbra rosse erano socchiuse, come quell’altra volta… tentatrici, deliberatamente provocanti.

«Lo so,» le disse.

«Se tu fossi soltanto il barbaro, e niente altro,» mormorò lei, «Potrei saperlo anch’io.»

Ora la trappola era addirittura palese. Carse attese, lasciando che il silenzio si addensasse tra loro, carico di attesa e di tensione. Poi le disse, freddamente:

«Sono certo che lo capiresti. Comunque, ora io non sono il barbaro, ma il tuo signore Rhiannon! Ed è tempo di dormire.»

La osservò, provando un cupo divertimento, mentre lei si ritraeva, sconcertata, e forse per la prima volta in vita sua, completamente incapace di affrontare una situazione. Sapeva di avere dissipato il dubbio che lei aveva provato nei suoi confronti… almeno per il momento.

Le disse:

«Puoi ritirarti nella cabina interna.»

«Sì, Signore,» rispose lei, e questa volta non c’era ombra d’ironia nella sua voce.

Si voltò, e attraversò lentamente la cabina. Aprì la porta della cabina interna, e si fermò bruscamente sulla soglia, con la mano appoggiata al battente, ed egli vide apparire sul suo volto un’espressione di disgusto e di odio e di infinito disprezzo.

«Perché esiti?» le chiese.

«Nella cabina è rimasto l’odioso fetore del Serpente,» disse lei. «Preferisco dormire sul ponte.»

«Queste sono parole strane, Ywain. S’San era il tuo consigliere, il tuo amico. Io sono stato costretto a ucciderlo, per salvare la vita al barbaro… ma certamente Ywain di Sark non può detestare i suoi alleati!»

«Non i miei… quelli di Garach!» Si voltò, e si mise di fronte a lui, e vide che la collera provocata dalla sua sconfitta le aveva fatto dimenticare ogni traccia di prudenza.

«Rhiannon o non Rhiannon,» gridò, «Dirò quello che penso da anni. Io odio i tuoi striscianti allievi di Caer Dhu! Li disprezzo e li detesto, con tutto il mio cuore… e ora puoi uccidermi, se vuoi!»

E uscì fuori, sul ponte, sbattendo la porta dietro di sé.

Carse rimase seduto, immobile, dietro il tavolo. Stava tremando, un tremito convulso, inarrestabile, nato dalla tremenda tensione nervosa, e sapeva che tra poco si sarebbe versato del vino, e che quel vino lo avrebbe aiutato a dominare il suo corpo. Ma in quel momento era sbalordito, nello scoprire quanta felicità gli aveva dato il sapere che anche Ywain odiava Caer Dhu.

Verso mezzanotte il vento cadde, e per ore e ore la galera avanzò con la sola spinta dei remi, muovendosi molto più lentamente del normale, perché nella fossa dei rematori la ciurma era diminuita, avendo perduto tutti gli ex-schiavi Khond che ne avevano completato il numero, e che erano rimasti a Khondor.

All’alba, la vedetta avvistò quattro minuscoli punti all’orizzonte, punti che erano gli scafi di quattro imbarcazioni, navi da guerra che venivano da Khondor.

Capitolo XVI

LA VOCE DEL SERPENTE

Carse era in piedi sul ponte, insieme a Boghaz. Era già giorno. La bonaccia continuava, non soffiava un alito di vento, e le snelle navi di Khondor erano già abbastanza vicine per potere essere viste dal ponte.

Boghaz disse:

«Se continuiamo a questa velocità, ci avranno raggiunti prima di sera.»

«Sì.» Carse era preoccupato. Con una ciurma così ridotta, la galera non poteva sperare di distanziare i Khond con la sola forza dei remi. E l’ultima cosa al mondo che Carse desiderava era quella di venire costretto a combattere contro gli uomini di Barbadiferro. Sapeva che sarebbe stato impossibile… e avrebbe distrutto il mito dell’invincibile Rhiannon.

«Preferiscono morire sui remi, piuttosto che lasciarci fuggire,» disse. «E quelle navi sono soltanto l’avanguardia. L’intera flotta dei Re del Mare seguirà certo a breve distanza.»

Boghaz guardò le navi inseguitrici.

«Credi che riusciremo a raggiungere Sark?»

«No… a meno che non si alzi un forte vento favorevole,» disse ctipamente Carse. «E anche in questo caso, non avremmo un margine che possa darci tranquillità. Tu conosci qualche preghiera?»

«Sono stato istruito in gioventù,» rispose Boghaz, con aria pia.

«E allora prega!»

Ma per tutta la lunghissima, torrida giornata, non ci fu nulla più di un alito leggero di brezza, che non poteva certo gonfiare le grandi vele della galera. Gli uomini sudavano, curvi sui remi. E non c’era neppure entusiasmo, nella loro azione, perché sapevano di essere intrappolati tra due mali ugualmente detestati, e di avere un demonio come capitano… e le loro forze avevano dei limiti.

Le navi di Khondor si avvicinavano sempre di più, sospinte dalla potenza dei rematori.

Nel tardo pomeriggio, quando il sole al tramonto trasformò in uno specchio d’ingrandimento gli strati più bassi dell’atmosfera, la vedetta segnalò altre navi all’orizzonte. Molte navi… l’intera armata dei Re del Mare.

Carse guardò in alto, fissò il cielo vuoto, limpido fino all’orizzonte, e provò una collera sorda, che si mescolava a un’intensa amarezza.

E poi, la lieve brezza cominciò ad acquistare forza. Le vele vennero calate, e cominciarono a gonfiarsi; e quando videro le vele tese e turgide, i rematori parvero riacquistare coraggio ed energia, e si misero a remare con rinnovato vigore. Dopo qualche tempo, Carse ordinò di tirare a bordo i remi. Il vento continuava a soffiare, sempre più forte, la galera balzò in avanti, acquistando velocità, mentre le navi Khondor non poterono fare altro che conservare la velocità già raggiunta.

Carse conosceva bene la velocità della galera. Era uno dei velieri più rapidi, con la sua grande estensione di vele; avrebbe potuto conservare il vantaggio sugli inseguitori, in quelle condizioni. Se il vento avesse tenuto.

Se il vento avesse tenuto…

I giorni che seguirono furono un susseguirsi di tensione e di speranza, di luci e di ombre, un’altalena di sentimenti e d’umori che sarebbe stata sufficiente a fare impazzire qualsiasi uomo. Carse non risparmiava i rematori, che faticavano sudando nella fossa; e ogni volta che i remi dovevano essere messi in acqua, la battuta si faceva più lenta, quando gli uomini raggiungevano il punto in cui erano esausti. E, senza alcuna compassione, Carse incitava gli uomini aspramente.

E Carse riuscì a mantenere quel ristretto margine di vantaggio che la galera vantava sull’avanguardia della flotta inseguitrice… un margine esiguo, che pareva sempre sul punto di colmarsi.

In una occasione, quando era sembrato che non vi fossero più speranze, e le prue delle navi inseguitaci erano state terribilmente vicine sulle acque quiete, si era scatenata un’improvvisa tempesta, che aveva disseminato qua e là le navi più leggere e più fragili dei Khond… ma era stata una tregua momentanea, perché le snelle prue erano riapparse dietro di loro, riprendendo ad avvicinarsi nella nuova bonaccia.

E ora, dalla galera, si poteva vedere tutto l’orizzonte punteggiato da orde di minuscole vele, un fronte che si stendeva per chilometri, in lontananza, con l’approssimarsi dell’intera, possente armata dei Re del Mare.

Le immediate inseguitaci erano salite da quattro a cinque, e infine a sette. Carse arrivò al punto di credere che non vi fosse speranza… che ormai la loro sorte fosse segnata. Perché, secondo tutte le apparenze, era impossibile che la galera potesse resistere molto più a lungo, con quell’esiguo vantaggio.

Poi, giunse un’altra giornata di bonaccia, con il mare trasformato in un bianco specchio uniforme, un tavolato d’acqua nel quale non si vedeva neppure il guizzo di un’increspatura. I rematori sudavano copiosamente, ed erano esausti, e l’unica cosa che li spingeva era la paura di cadere nelle mani dei Khond; ma non c’era la forza abituale nella loro battuta, per quanti sforzi essi compissero. La navigazione si faceva impercettibilmente, ma stabilmente, più lenta.

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