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«Rhiannon!» gridava la folla. «Rhiannon! Rhiannon, il Liberatore!»

Non era più il Maledetto, almeno per quei Sark. E per la prima volta, Carse comprese appieno la misura e l’intesità dell’odio che quel popolo provava nei confronti degli alleati che Garach gli aveva imposto.

S’mcarnminò verso il palazzo, insieme a Boghaz e a Ywain, e capì, con un senso di meraviglia e di timore, cosa significava sentirsi un dio. Entrarono nei corridoi freschi e silenziosi, nella riposante, quieta penombra, e trovarono quel luogo diverso, come se un’ombra oscura ne fosse uscita per sempre. Ywain si fermò, davanti ai portali della sala del trono, e parve ricordare solo allora che Garach era morto, e che era lei la regina di Sark.

Si rivolse a Carse, dicendo:

«Se i Re del Mare ci attaccheranno, ora…»

«Non lo faranno… fino a quando non avranno scoperto cosa sia accaduto. E ora, dobbiamo cercare subito Rold, se è ancora vivo.»

«È vivo,» disse Ywain. «Dopo che i Dhuviani, con la loro scienza mentale, tolsero a Rold tutto ciò che’egli conosceva, mio padre lo rinchiuse in una segreta, pensando di usarlo come ostaggio da scambiare con me.»

E finalmente trovarono il Signore di Khondor, incatenato in una profonda segreta, nei sotterranei del palazzo. Era lacero ed emaciato e sfinito per i patimenti subiti, ma il suo spirito era indomito; egli trovò la forza per alzare il capo, e gridare il suo disprezzo, quando Carse e Ywain entrarono nella sua cella.

«Demone,» disse. «Traditore. Alla fine, tu e la tua strega siete venuti per uccidermi?»

Allora Carse si affrettò a narrargli la storia di Caer Dhu e di Rhiannon, e vide mutare lentamente l’espressione di Rold, dalla più nera disperazione a una gioia attonita, e incredula.

«La tua flotta è all’ancora al largo di Sark, al comando di Barbadiferro,» concluse Carse. «Sei disposto a portare ai Re del Mare la notizia di quanto è accaduto, e a convincerli a venire qui, per parlamentare?»

«Sì,» esclamò Rold. «Lo farò, per gli dèi!» Fissava ancora Carse, attonito, scuotendo lentamente il capo. «Questi ultimi giorni sono stati uno strano sogno, fatto di eventi incredibili e di follia! E ora… pensare che sarei stato felice di ucciderti subito, là, nella caverna dei Sapienti… pensare che l’avrei fatto con le mie mani!»

Questo era accaduto poco dopo l’alba. Verso mezzogiorno, il concilio dei Re del Mare era già riunito nella sala del trono, con Rold alla loro testa. Accanto al Re di Khondor c’era Emer, che non aveva voluto rimanere a Khondor, quando la flotta era partita per quella che avrebbe dovuto essere un’ultima, disperata impresa.

Tutti sedevano intorno a un lungo tavolo. Ywain era seduta sul trono, e Carse era in piedi, in disparte. Il suo volto era duro e stanco, e nei suoi occhi c’era ancora una traccia della presenza straniera che lo aveva dominato poche ore prima.

Fu lui a parlare, in tono di comando:

«Non c’è più bisogno di fare la guerra, ora. Il Serpente è perito, e senza la sua potenza Sark non potrà più opprimere i suoi vicini. Le città soggette, come Jekkara e Valkis, saranno liberate. L’impero di Sark non esiste più.»

Nell’udire questo, Barbadiferro balzò in piedi, gridando:

«Allora, questa è per noi l’occasione di distruggere per sempre Sark!»

Altri Re del Mare si alzarono a loro volta, per gridare il loro assenso a questa proposta; tra di loro, si udì più forte di tutte la voce di Thorn di Tarak. La mano di Ywain s’irrigidì sull’elsa della spada.

Carse fece un passo avanti, e i suoi occhi lampeggiavano di collera.

«Io ho detto che ci sarà la pace! Devo forse chiamare Rhiannon, per dare maggiore forza alle mie parole?»

Tacquero, intimoriti da quella minaccia, e Rold ordinò loro di sedersi, e di tenere a freno la lingua.

«Già troppo sangue è stato sparso, e siamo stanchi di guerre e di rovine,» disse in tono fermo agli altri re del Mare. «E per l’avvenire, potremo incontrarci con Sark da pari a pari. Io sono il Signore di Khondor, e dico che Khondor vuole la pace!»

Presi tra la minaccia di Carse e la decisione di Rold, i Re del Mare si arresero, uno dopo l’altro. Allora parlò, Emer:

«Gli schiavi dovranno essere tutti liberati… uomini e Halfling.»

Carse assentì.

«Sarà fatto.»

«E,» disse Rold, «C’è un’altra condizione.» Guardò Carse, e nei suoi occhi si leggeva una determinazione incrollabile. «Ho detto che noi vogliamo la pace con Sark… ma non con un Sark governato da Ywain, neppure se tu facessi muovere contro di noi cinquanta Rhiannon!»

«Sì!» ruggirono i Re del Mare, guardando Ywain con occhi crudeli. «Questa è anche la nostra parola!»

Ci fu un breve silenzio, e poi Ywain si alzò dal trono, con un’espressione orgogliosa e triste a un tempo.

«Questa condizione è accettata,» disse. «Non ho alcun desiderio di regnare su un Sark domato, e privo del suo impero. Io ho odiato il Serpente quanto l’avete odiato voi, e forse ancora di più… ma è ormai troppo tardi, per me, perché mi accontenti di essere regina di un insignificante villaggio di pescatori. Il popolo può scegliersi un altro sovrano.»

Scese dal palco del trono, voltando loro le spalle, e andò a fermarsi davanti a una finestra all’estremità opposta della sala, una finestra che dominava la rada e il porto.

Carse si rivolse ai Re del Mare:

«Allora, è convenuto.»

Ed essi risposero:

«È convenuto.»

Emer, il cui sguardo penetrante non s’era mai staccato da Carse, da quando era iniziata la riunione, si alzò e venne al suo fianco, ora, e posò una mano su quella del terrestre.

«E in tutto questo, dov’è il tuo posto?» domandò, dolcemente.

Carse la guardò, confuso.

«Non ho ancora avuto il tempo di pensarci.»

Ma ora doveva pensarci. Se ne rendeva conto. E lui non sapeva cosa fare.

Fino a quando egli avesse portato in sé l’ombra di Rhiannon, quel mondo non lo avrebbe mai accettato come un uomo simile agli altri. Certo, avrebbe potuto coprirlo di onori, ma nulla di più, e l’incombente, oscuro terrore del Maledetto sarebbe rimasto. Troppi secoli d’odio s’erano addensati intorno a quel nome.

Sì, Rhiannon aveva redento il suo delitto, eppure, malgrado ciò, e fino a quando Marte avesse vissuto, egli sarebbe stato ricordato come il Maledetto.

E, come per rispondere a questa muta domanda, per la prima volta dopo la distruzione di Caer Dhu l’oscuro invasore parve riscuotersi, e il suo pensiero si fece udire, parlando a Carse, dai recessi della mente.

«Ritorna nella Tomba, e io ti lascerò libero, perché allora potrò seguire i miei fratelli. Dopo, tu sarai libero. Posso guidarti di nuovo lungo la strada che hai percorso, facendoti ritornare nel tuo tempo, se lo desideri. Oppure potrai rimanere qui.»

E Carse non riusciva ancora a trovare una risposta.

Quel verde e sorridente Marte gli piaceva. Ma, guardando i Re del Mare che stavano attendendo la sua risposta, e poi guardando alle loro spalle, al di là delle finestre, là dove si stendevano le fumiganti paludi e il Mare Bianco, egli capì che non era quello il suo mondo, che non avrebbe mai potuto trovarsi compiutamente in esso, che mai avrebbe potuto appartenergli davvero.

E infine parlò, e, parlando, si accorse che Ywain si era voltata, e lo stava fissando, nell’ombra.

«Emer e gli Halfling sapevano che io non vengo da questo mondo. Io sono venuto dallo spazio e dal tempo, lungo la strada che è celata per sempre nella Tomba di Rhiannon.»

Fece una pausa, per lasciare loro il tempo di afferrare il significato delle sue parole, e notò che non parevano stupiti. Dopo tutto quello che era accaduto, erano disposti a credere qualsiasi cosa, su di lui, anche cose al di là delle loro capacità di comprensione.

Carse disse, stancamente:

«Un uomo appartiene al mondo nel quale è nato. Perciò, io ritornerò al mio.»

Malgrado le proteste formali, capì che i Re del Mare erano sollevati, da quelle parole.

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