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— Ehi, Pat!

Non vi fu alcuna immediata risposta dall'anticamera, ma dopo pochi secondi un monaco dalla barba rossa aprì la porta e, dopo aver guardato gli armadi a muro, il pavimento coperto di fogli e l'espressione dell'abate, ebbe ancora il coraggio di sorridere.

— Che succede, Magister meus? Non vi piace la nostra tecnologia moderna?

— Non particolarmente! — insorse Zerchi. — Ehi, Pat!

— È fuori, Monsignore.

— Frate Joshua, non siete capace di aggiustare questo ordigno? Davvero?

— Davvero… No, non ne sono capace.

— Devo spedire un radiogramma.

— È un vero peccato, Padre Abate. Non posso fare neppure questo. Ci hanno portato via la radio a galena e hanno chiuso a chiave l'ufficio.

— Chi è stato?

— La Difesa Interna di Zona. Tutti i trasmettitori privati devono cessare le trasmissioni.

Zerchi ritornò alla sua seggiola e vi si lasciò cadere. — Un allarme difensivo. Perché?

Josha alzò le spalle. — Si parla di un ultimatum. È tutto quello che so, ad eccezione di quello che mi hanno detto i contatori di radiazioni.

— Continuano a salire?

— Continuano a salire.

— Chiamate Spokane.

Prima di sera, si levò il vento carico di polvere. Il vento passò sopra la mesa e sulla cittadina di Sanly Bowitts. Spazzò la campagna circostante, strappando rivoli di sabbia dagli orli sterili. Gemette contro le mura di pietra dell'antica abbazia e contro le mura di vetro e di alluminio delle costruzioni più recenti aggiunte all'abbazia. Oscurò il sole che si arrossava con il terriccio del suolo, e mandò diavoli di polvere a correre sull'asfalto dell'autostrada a sei corsie che separava l'antica abbazia dalle costruzioni moderne.

Sulla strada secondaria che a un certo punto fiancheggiava l'autostrada e conduceva dal monastero alla città, attraverso un quartiere residenziale, un vecchio mendicante vestito di tela da sacco si fermò ad ascoltare il vento. Il vento portava da sud il rombo esplosivo delle esercitazioni missilistiche. I missili d'intercettamento terra-spazio venivano lanciati verso orbite-bersaglio da una base di lancio lontana, nel deserto. Il vecchio guardò il debole disco rosso del sole, mentre si appoggiava al bastone e mormorava, a se stesso e al sole: — Cattivo augurio, cattivo augurio…

Alcuni bambini stavano giocando nel cortile pieno di erba incolta di una casupola al di là della strada laterale; i loro giochi procedevano sotto la sorveglianza muta ma onniveggente di una donna nera e rugosa che fumava una pipa piena d'erba sulla veranda e proferiva di tanto in tanto qualche parola di consolazione o di rimostranza a uno o all'altro dei giocatori piangenti che si presentava come querelante davanti al tribunale della nonna, sulla veranda della casupola.

Ben presto, uno dei bambini notò il vecchio vagabondo che se ne stava ritto in mezzo alla strada, e subito si levò alto un grido: — Guarda, guarda! Il vecchio Lazar! La zia dice che è il vecchio Lazar, quello che è stato risuscitato dal Signore Gesù! Guarda! Lazar! Lazar!

I bambini si accalcarono alla staccionata malconcia. Il vecchio vagabondo li guardò burbero per un momento, poi proseguì il cammino. Un ciottolo saltellò sul suolo, ai suoi piedi.

— Ehi, Lazar!

— La zia dice, quello che il Signore Gesù ha risuscitato resta vivo! Guardatelo! Già! Sta ancora cercando il Signore che l'ha risuscitato. La zia dice…

Un altro sasso saltellò dietro il vecchio, che tuttavia non si voltò. La vecchia annuì, assonnata. I bambini ritornarono ai loro giochi. La tempesta di polvere si fece più forte.

Dalla parte opposta dell'autostrada, rispetto alla vecchia abbazia, sul tetto di uno dei nuovi edifici di alluminio e di vetro, un monaco stava misurando il vento. Lo misurava con un arnese aspirante che inghiottiva l'aria polverosa e soffiava il vento filtrato alla presa di un compressore. Il monaco non era più giovane, ma non era ancora anziano. La sua corta barba rossa sembrava carica di elettricità, perché attirava ragnatele volanti e vortici di polvere; ogni tanto se la grattava, irritato, e una volta spinse il mento nell'estremità del tubo aspirante; il risultato lo fece brontolare in modo colorito, dopodiché si fece il segno della croce.

Il motore del compressore tossì e si spense. Il monaco spense la macchina aspirante, ne staccò il tubo e la trascinò attraverso la terrazza verso l'ascensore. Mucchietti di polvere si erano accumulati negli angoli. Chiuse la porta e premette il bottone della discesa.

Nel laboratorio, posto all'ultimo piano, guardò l'indicatore del compressore, che indicava MASSIMO NORMALE, poi chiuse la porta, si tolse l'abito, ne scosse la polvere, l'appese a un attaccapanni e vi passò sopra il tubo dell'aspiratore. Poi si avvicinò alla profonda vasca d'acciaio all'estremità del banco del laboratorio, aprì il rubinetto dell'acqua fredda e la lasciò salire fino al livello 200 BROCCHE. Cacciò la testa nell'acqua, si lavò il fango dalla barba e dai capelli. Era piacevolmente gelata. Sgocciolando e sputacchiando, guardò la porta. La probabilità che arrivasse qualche visitatore proprio in quel momento era molto ridotta. Si tolse la biancheria, entrò nella vasca e vi si accomodò con un sospiro tremulo.

Improvvisamente la porta si aprì. Suor Helene entrò con in mano un vassoio di provette nuove. Sconvolto, il monaco balzò in piedi.

— Frate Joshua! — strillò la suora. Mezza dozzina di provette si sfracellarono sul pavimento.

Il monaco ricadde a sedere, facendo schizzare l'acqua tutto intorno sul pavimento. Suor Helene balbettò, squittì, scaraventò il vassoio sul banco e fuggì.

Joshua schizzò fuori dalla vasca e infilò l'abito senza asciugarsi e senza indossare la biancheria. Quando arrivò sulla porta, Suor Helene era già fuori del corridoio… probabilmente era già fuori dell'edificio, a metà strada verso la cappella delle sorelle, a fianco della strada laterale. Mortificato, il monaco si affrettò a completare il suo lavoro.

Vuotò il contenuto dell'aspiratore e raccolse in una fiala un campione della polvere. Poi portò la fiala al banco da lavoro, mise in testa una cuffia, e mise la fiala davanti a un contatore di radioattività mentre consultava l'orologio e ascoltava.

Il compressore aveva un contatore inserito. Joshua premette un pulsante con la scritta AZZERAMENTO. L'indicatore dei decimali riscattò vertiginosamente a zero e ricominciò a contare. Il monaco lo fermò dopo un minuto e si scrisse il totale sul dorso della mano. Era soprattutto aria comune, filtrata e compressa: ma c'era una zaffata di qualcosa d'altro.

Chiuse il laboratorio per la pausa pomeridiana. Scese nell'ufficio del piano sottostante, trascrisse il dato su un grafico appeso a una parete, ne osservò la preoccupante ascesa, poi sedette alla scrivania e girò l'interruttore del visifono. Fece il numero alla cieca, senza smettere di guardare il grafico. Lo schermo lampeggiò, l'audio sibilò, e il visore si mise a fuoco sulla spalliera di una sedia vuota, posta dietro una scrivania. Dopo pochi secondi un uomo scivolò sulla sedia e guardò nel visore.

— Qui l'Abate Zerchi — grugnì l'abate. — Oh, frate Joshua. Stavo per chiamarla. Stavate facendo il bagno?

— Sì, Monsignor Abate.

— Potreste almeno arrossire!

— Sto arrossendo.

— Bene, sullo schermo non risulta. Ascoltatemi. Da questa parte dell'autostrada c'è una scritta, proprio davanti alle nostre porte. L'avrete notata, naturalmente. Dice "Le Donne Non Possono Entrare Per Non…" e così via. L'avete notata?

— Sicuro, Monsignore.

— Fate il bagno da questa parte della scritta.

— Certamente.

— Fate penitenza per aver offeso il pudore della sorella. Anche se voi non ne avrete. Immagino che non riusciate neppure a passare vicino al bacino dell'acqua potabile senza saltarvi dentro, nudo come un neonato, per fare una nuotatina.

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