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— Che cosa dice, lì dietro?

— Hmmm-hnnn! — cantilenò l'eremita, rifiutando di rispondere. — Ma fatti più vicino, non puoi leggere in quel modo.

— C'è il muro che me lo impedisce.

— Non è sempre stato così, forse?

Il prete sospirò. — Sta bene, Benjamin, so che è ciò che hai avuto l'ordine di scrivere all'ingresso e sulla porta della tua casa. Ma soltanto tu potevi pensare di mettere quella scritta a faccia in giù.

— Con la faccia verso l'interno — corresse l'eremita. — Finché vi sono tende da riparare, in Israele… ma non cominciamo a punzecchiarci, finché non ti sarai riposato. Ti porterò un po' di latte, e tu mi dirai del visitatore che ti preoccupa.

— C'è del vino nella mia borsa, se ne vuoi — disse l'abate, lasciandosi cadere, con sollievo, su un mucchio di pelli. — Ma preferirei non parlare del Thon Taddeo.

— Oh! Lui!

— Hai sentito parlare del Thon Taddeo? Dimmi, come mai tu riesci sempre a conoscere tutto e tutti senza allontanarti da questa collina?

— Io vedo e sento — disse enigmatico l'eremita.

— Dimmi cosa ne pensi di lui?

— Non l'ho mai visto. Ma credo che sarà un dolore. Un dolore di parto, forse, ma un dolore.

— Dolore di parto? Credi davvero che avremo un nuovo Rinascimento, come afferma qualcuno?

— Hmmm-hnnn.

— Smettila di fare il misterioso, Vecchio Ebreo, e dimmi la tua opinione. Devi averne una. L'hai sempre. Perché è così difficile ottenere la tua confidenza? Non siamo amici, forse?

— In certi campi, in certi campi. Ma tra me e te vi sono alcune differenze di idee.

— E cos'hanno a che vedere le nostre differenze di idee con il Thon Taddeo e con un Rinascimento che entrambi vorremmo vedere? Il Thon Taddeo è uno studioso secolare, e piuttosto lontano dalle nostre differenze di idee.

Benjamin scrollò eloquentemente le spalle. — Differenze di idee, studiosi secolari — echeggiò, sputando le parole come se fossero semi di mela. — Anch'io sono stato definito uno studioso secolare in varie epoche, da certa gente, e qualche volta sono stato arso vivo, lapidato e impalato, per questo.

— Ma tu non sei mai… — Il prete si interruppe, corrugando severamente la fronte. Ancora quella pazzia. Benjamin lo fissava sospettoso, e il suo sorriso era diventato freddo. Adesso, pensò l'abate, mi guarda come se io fossi uno di Loro… chiunque siano stati quei "Loro" senza forma che lo hanno spinto qui, in solitudine. Arso vivo, lapidato e impalato? O il suo "io" significava "noi", come nella frase "io, il mio popolo"?

— Benjamin… io sono Paulo. Torquemada è morto. Io nacqui settanta e più anni or sono. E presto morirò. Ti ho voluto bene, vecchio, e quando tu mi guardi, vorrei che vedessi Paulo del Pecos e niente altro.

Benjamin ondeggiò, per un momento. Gli occhi gli si inumidirono. — Qualche volta… dimentico…

— E qualche volta dimentichi che Benjamin è soltanto Benjamin, e non tutto Israele.

— Mai — scattò l'eremita, con gli occhi che lampeggiavano di nuovo. — Da trentadue secoli, io… — Si interruppe e serrò strettamente le labbra.

— Perché? — sussurrò l'abate, quasi intimorito. — Perché prendi su te solo il fardello di un intero popolo e del suo passato?

Gli occhi dell'eremita lampeggiarono un breve avvertimento; ma poi deglutì, con un suono gutturale e si nascose la faccia fra le mani. — Tu peschi in acque cupe.

— Perdonami.

— Il fardello… mi è stato imposto da altri. — E alzò il capo, lentamente. — Dovrei rifiutare di portarlo?

Il prete trattenne il respiro. Per qualche tempo non si udì altro suono che il rumore del vento. C'era un tocco di divinità in quella follia! pensò Don Paulo. La comunità ebrea era molto dispersa, in quei tempi. Forse Benjamin era sopravvissuto ai suoi figli, ed era diventato, in qualche modo, uno sbandato. Un vecchio israelita poteva vagabondare per anni senza incontrare altri della sua razza. Forse, nella sua solitudine, aveva acquisito la silenziosa convinzione che lui era l'ultimo, l'uno, il solo. Ed essendo l'ultimo, aveva cessato di essere Benjamin, ed era diventato Israele. E sul suo cuore aveva fondato la storia di cinquemila anni, non più remota, ma divenuta la storia della sua stessa vita. Il suo "io" era l'equivalente del "noi" imperiale.

Ma anch'io sono un membro di una unicità, pensò Don Paulo, una parte di una congregazione e di una comunità. Anche i miei sono stati disprezzati dal mondo. Eppure per me la distinzione fra l'individuo e la nazione è chiara. Per te, vecchio amico, in un certo senso è diventata oscura. Un fardello imposto sulle tue spalle, da altri? E tu lo hai accettato? Quanto deve pesare? Quanto peserebbe, per me? Vi mise sotto le spalle e tentò di sollevarlo, per saggiarne la massa: io sono un monaco e un sacerdote cristiano, e perciò sono responsabile davanti a Dio delle azioni e dei gesti di ogni monaco e di ogni sacerdote che ha respirato ed ha camminato sulla Terra dopo Cristo, come lo sono dei miei stessi atti.

Rabbrividì, cominciò a scuotere il capo.

No, no. Quel fardello spezzava la spina dorsale. Era troppo pesante perché un uomo potesse portarlo, ad eccezione di Cristo. Essere maledetto per una fede era già un fardello abbastanza grave. Sopportare le maledizioni era possibile, ma allora… accettare l'illogicità che stava dietro quelle maledizioni, l'illogicità che chiamava un individuo a rispondere non solo per se stesso ma anche per ogni membro della sua razza o della sua fede, per ogni loro azione come delle sue stesse azioni? Accettare anche questo?… come stava tentando di fare Benjamin?

No, no.

Eppure, la Fede di Don Paulo gli diceva che c'era quel fardello, c'era sempre stato fino dal tempo di Adamo… e quel fardello era imposto da un malvagio che gridava beffardamente "Uomo!" all'uomo. "Uomo!" e chiamava ciascuno a rendere conto delle azioni di tutti, fino dal principio; un fardello imposto a ogni generazione prima ancora che uscisse dal grembo materno, il fardello della colpa del peccato originale. Lascia che gli sciocchi ne discutano. Gli stessi sciocchi accettavano con grande orgoglio l'altra eredità… l'eredità di una gloria, di una virtù, di un trionfo, di una dignità ancestrale che li rendevano "coraggiosi e nobili in virtù del diritto di nascita", senza protestare che, personalmente, non avevano fatto nulla per meritare quell'eredità, oltre ad essere nati dalla razza dell'Uomo. Le proteste erano riservate per il fardello ereditario che li rendeva "colpevoli e fuorilegge per diritto di nascita", e contro quel verdetto si sforzavano di chiudersi le orecchie. Quel fardello, in verità, era pesante. E la sua stessa Fede gli diceva che quel fardello gli era stato tolto dalle spalle ad opera di Uno la cui immagine pendeva da una croce sugli altari, sebbene l'impronta di quel fardello fosse ancora lì. Quell'impronta era un giogo molto leggero, paragonato al peso pieno della maledizione originale. Non riusciva a indursi a dirlo al vecchio, poiché il vecchio sapeva già che lui lo credeva. Benjamin stava cercando Un Altro. E l'ultimo Vecchio Ebreo sedeva solo su di una montagna e faceva penitenza per Israele e aspettava il Messia, e aspettava, e aspettava, e…

— Dio ti benedica perché sei un pazzo coraggioso. E anche un pazzo molto saggio.

— Hmmm-hnnn! Un pazzo molto saggio! — lo scimmiottò l'eremita. — Ma tu ti specializzi sempre in paradossi e misteri, non è vero, Paulo? Se qualcosa non può essere in contraddizione con se stessa, allora non ti interessa neppure, non è così? Tu devi trovare la Trinità nell'Unità, la vita nella morte, la saggezza nella follia. Altrimenti basterebbe il senso comune!

— Sentire la responsabilità è saggezza, Benjamin. Pensare di poterla sopportare da solo è follia.

— Non pazzia?

— Un po', forse. Ma una pazzia coraggiosa.

— E allora ti rivelerò un piccolo segreto. Ho sempre saputo che non posso sopportarla, fin da quando Lui mi resuscitò. Ma stiamo parlando della stessa cosa?

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