Литмир - Электронная Библиотека
A
A

— Salve — gridò il Vecchio Ebreo, e proseguì indignato la sua marcia. Dopo pochi passi si fermò e si voltò indietro. — Non è necessario che ti mostri così offeso — disse. — Sono passati cinque anni da quando ti sei disturbato a venire qui per l'ultima volta, "vecchio amico". Ah!

— Dunque è così! — mormorò l'abate. Smontò di sella e rincorse il Vecchio Ebreo. — Benjamin, Benjamin, avrei voluto venire… ma non ho potuto.

L'eremita si fermò. — Ecco, Paulo, visto che sei qui…

Improvvisamente scoppiarono a ridere e si abbracciarono.

— Va bene, vecchio brontolone — disse l'eremita.

— Io sarei un brontolone?

— Bene, anch'io sto diventando bisbetico, credo. L'ultimo secolo è stato molto duro, per me.

— Ho sentito che getti pietre contro i novizi che vengono in questa zona per il digiuno quaresimale nel deserto. È vero? — E guardò l'eremita con ironico rimprovero.

— Getto soltanto ciottoli.

— Miserabile Vecchio Ebreo!

— Suvvia, suvvia, Paulo. Uno di loro, una volta mi scambiò per un mio lontano parente… che si chiamava Leibowitz. Credeva che fossi stato mandato per portargli un messaggio… o qualcuno dei vostri buoni a nulla lo credette. Non voglio che questo accada di nuovo, quindi getto ciottoli contro i novizi, qualche volta. Ah! Non voglio più essere scambiato per quel mio parente, perché lui non appartiene più alla mia famiglia.

Il prete assunse un'espressione perplessa. — Ti scambiò per chi? Per San Leibowitz? Suvvia, Benjamin! Stai andando troppo oltre!

Benjamin ripeté la frase in una cantilena ironica: — Mi scambiò per un mio lontano parente… che si chiamava Leibowitz, quindi adesso getto ciottoli contro i novizi.

Don Paulo era molto perplesso. — San Leibowitz è morto da dodici secoli. Come poteva… — Si interruppe e guardò fisso il vecchio eremita. — Suvvia, Benjamin, non ricominciamo con quella favola. Tu non puoi avere milleduecento…

— Sciocchezze! — interruppe il Vecchio Ebreo. — Non ho detto che questo accadde dodici secoli fa. Fu soltanto sei secoli fa. Molto tempo dopo la morte del tuo santo; ecco perché è stato così assurdo. Naturalmente, i vostri novizi erano molto più devoti, a quei tempi, e più creduli. Credo che quello si chiamasse Francis. Poveraccio. Fui io a seppellirlo, più tardi. E dissi a quelli di Nuova Roma dove dovevano scavare, se volevano trovarlo. Ecco in che modo avete riavuto la sua carcassa.

L'abate fissò il vecchio a bocca spalancata, mentre si dirigevano verso il pozzo, guidando il cavallo e la capra. Francis? si chiese. Francis. Poteva essere il Venerabile Francis Gerard dello Utah, forse… al quale un pellegrino aveva rivelato un tempo l'ubicazione dell'antico rifugio nel villaggio, così affermava la storia… ma questo era avvenuto prima che lì sorgesse il villaggio. E circa sei secoli prima, sì, e… e adesso quel vecchio imbroglione sosteneva di essere stato lui, quel pellegrino? Qualche volta si chiedeva dove mai Benjamin avesse attinto una sufficiente conoscenza della storia dell'abbazia per inventarsi simili fole. Forse dal Poeta.

— Questo, naturalmente, fu durante la mia precedente carriera — proseguì il Vecchio Ebreo. — E forse quell'errore era comprensibile.

— Precedente carriera?

— Vagabondo.

— E come puoi pretendere che io creda a queste sciocchezze?

— Hmmm-hnnn! Il Poeta mi crede.

— Senza dubbio! Il Poeta non crederebbe mai che il Venerabile Francis abbia incontrato un santo. Questo sarebbe superstizione. Il Poeta preferirebbe credere che abbia incontrato te… sei secoli fa… Una spiegazione del tutto naturale, eh?

Benjamin ridacchiò, maliziosamente. Paulo lo guardò abbassare nel pozzo una logora tazza di corteccia, vuotarla nell'otre, e riabbassarla di nuovo. L'acqua era torbida e brulicante di cose vive e piuttosto incerte, come lo era il flusso dei ricordi del Vecchio Ebreo. Ma la sua memoria era veramente incerta? O si prende gioco di tutti noi?, si chiese il prete. A parte la sua illusione di essere più vecchio di Matusalemme, il vecchio Benjamin Eleazar sembrava abbastanza sano di mente, in quel suo modo bizzarro e malizioso.

— Vuoi bere? — offrì l'eremita, tendendogli la tazza.

L'abate represse un brivido, ma accettò la tazza, per non offenderlo, inghiottì in un solo sorso il liquido fangoso. — Non sei molto schizzinoso, vero? — disse Benjamin, osservandolo con aria critica. — Io non lo toccherei. — E batté una mano sull'otre. — La tengo per gli animali.

L'abate si morse le labbra.

— Sei cambiato — disse Banjamin, continuando a osservarlo. — Sei pallido come il formaggio, e sciupato.

— Sono stato malato.

— Sembri malato anche adesso. Vieni alla mia baracca, se salire non ti stanca troppo.

— Mi sentirò subito meglio. Ho avuto un piccolo disturbo, l'altro giorno, e il nostro medico mi ha ordinato di riposare. Puah! Se non stesse per arrivare un ospite importante, non vi farei caso. Ma sta per arrivare, quindi mi riposo. È molto noioso, riposarsi.

Benjamin si voltò a guardarlo con un sogghigno mentre risalivano il letto del fiume. Poi scosse la testa grigia. — Cavalcare per quindici chilometri nel deserto riposante?

— Per me è un riposo. E poi volevo vederti, Benjamin.

— Che cosa diranno gli abitanti del villaggio? — chiese in tono canzonatorio il Vecchio Ebreo. — Penseranno che ci siamo riconciliati, e questo rovinerà la reputazione di entrambi.

— La nostra reputazione non è mai stata molto quotata sul mercato, non è così?

— È vero — ammise, ma aggiunse enigmaticamente: — per il momento.

— Stai ancora aspettando, Vecchio Ebreo?

— Certamente! — insorse l'eremita.

La salita stancò l'abate. Per due volte si fermarono a riposare. Prima che raggiungessero il piccolo altipiano, Don Paulo fu in preda alle vertigini e si appoggiò al magrissimo eremita. Un fuoco gli bruciava nel petto, mettendolo in guardia contro ogni ulteriore sforzo, ma non c'era traccia della stretta irosa che l'aveva aggredito altre volte.

Un gregge di capre mutanti dalla testa azzurra si sparpagliò all'avvicinarsi del forestiero e fuggì nel labirinto. Stranamente, la mesa sembrava più verdeggiante del deserto che la circondava, sebbene non vi fosse alcuna sorta visibile di umidità.

— Da questa parte, Paulo. Alla mia magione.

La casa del Vecchio Ebreo era una sola stanza, priva di finestre e dai muri di pietra, in cui i sassi erano radi come in una staccionata, con ampi varchi attraverso i quali poteva soffiare il vento. Il tetto era un fragile intreccio di pali, quasi tutti contorti, coperto da un mucchio di paglia, di arbusti e di pelli di capra. Su una grande pietra piatta, posata su una corta colonna accanto alla porta, c'era una scritta in ebraico:

Un cantico per Leibowitz - pic_4.jpg

Le dimensioni dell'insegna e il suo apparente tentativo pubblicitario fecero sogghignare Don Paulo, che domandò: — Cosa significa, Benjamin? Attira molti clienti, quassù?

— Ah!… Cosa dovrebbe significare? Dice: Qui Si Riparano Tende.

Il prete sbuffò, incredulo.

— Benissimo, dubita pure di me. Ma se non credi a ciò che è scritto lì, non potrai credere certamente a ciò che è scritto sull'altro lato dell'insegna.

— Il lato verso il muro?

— Certo, e quale se no?

La colonna era posta vicino alla soglia, così che v'erano soltanto pochi centimetri di spazio libero fra la pietra piatta e il muro della capanna. Paulo si piegò e strinse gli occhi per aguzzare la vista. Gli occorse un po' di tempo per distinguere la scritta, ma senza dubbio c'era scritto qualcosa, sul tergo della pietra, in lettere più piccole:

Un cantico per Leibowitz - pic_5.jpg

— Non giri mai la pietra?

— Girarla? Credi che io sia pazzo? In tempi come questi?

42
{"b":"119625","o":1}