«Quel dottor Potter è stato meraviglioso,» commentò Lizbeth.
Mentre parlavano, le loro mani intrecciate si muovevano esercitando con le dita le lievi pressioni e movimenti del codice segreto di conversazione che li classificava come Corrieri dell’Associazione Clandestina dei Genitori.
«Ci stanno ancora sorvegliando,» comunicò Harvey.
«Lo so.»
«Svengaard è inutile per noi: uno schiavo del potere.»
«Senza dubbio. Sai, non sapevo che l’addetta al computer fosse una dei nostri.»
«Anche tu te ne sei accorta?»
«Potter la stava guardando, quando lei ha fatto scattare l’interruttore.»
«Pensi che quelli della Sicurezza se ne siano accorti?»
«Assolutamente no. Erano troppo occupati a sorvegliare noi.»
«Forse non è una di noi,» ipotizzò Harvey. E poi disse ad alta voce, «È un giornata bellissima, vero? Prendiamo il sentiero fiorito.»
Lizbeth gli rispose con le dita, «Pensi che quell’infermiera sia un’Accidentale?»
«Può essere. Forse si è accorta di ciò che Potter aveva ottenuto e sapeva che c’era soltanto un modo per salvare l’embrione.»
«Allora qualcuno dovrà contattarla immediatamente.»
«Con molta catela, però. Potrebbe rivelarsi emotivamente instabile… neurotica.»
«E Potter?»
«Dobbiamo mandargli subito qualcuno dei nostri. Avremo bisogno di aiuto, se vogliamo far uscire di lì l’embrione.»
«Se accetterà, avremo dalla nostra parte nove chirurghi della Centrale,» gli fece notare Lizbeth.
«Se accetterà,» replicò Harvey.
La moglie lo fissò con un sorriso che celava alla perfezione la preoccupazione che l’aveva improvvisamente assalita. «Hai qualche dubbio?»
«È solo che, mentre lo leggevo, lui stava facendo lo stesso con me.»
«Oh, sì,» replicò Lizbeth. «Ma era lento… in confronto a noi.»
«Me ne sono accorto. Era come se fosse un dilettante alla sua prima volta, come se acquistasse maggiore confidenza man mano che procedeva.»
«Non è stato addestrato,» disse la moglie. «Questo è ovvio. Temevo che avessi letto in lui qualcosa che mi era sfuggito.»
«Penso che tu abbia ragione.»
In tutto il parco la luce del sole aveva trasformato il pulviscolo atmosferico in innumerevoli colonne che si alternavano agli alberi. Lizbeth osservò quella scena mentre rispondeva, «Non c’è alcun dubbio, caro. Potter è un Naturale, ha sviluppato per caso questo talento. Capita, lo sai, deve essere così. Nulla può impedirci di comunicare.»
«Questo non impedisce che loro ci provino.»
«Sì,» ammise Lizbeth. «Oggi non hanno fatto altro, quando ci sorvegliavano in quella sala. Ma gente che pensa in maniera meccanica non riuscirà mai a indovinare che le nostre armi sono le persone e non le cose.»
«È il loro punto debole più grave,» confermò Harvey. «La Centrale ha scavato i solchi genetici con la logica… e la logica continua a renderli sempre più profondi. Adesso sono così profondi che non si riesce più a vedere l’esterno.»
«E l’universo sterminato che ci sta chiamando,» segnalò lei.
CAPITOLO QUINTO
Max Allgood, il capo della Sicurezza, salì i gradini in plasmeld del palazzo dell’Amministrazione precedendo di poco i due bioingegneri che l’accompagnavano, come si addiceva a colui che dirigeva il rapido e terribile braccio esecutivo degli Optimati.
Il sole del mattino alle spalle del terzetto proiettò le loro ombre sugli angoli e le superfici del bianco edificio.
Furono inghiottiti dalla penombra argentea del portico d’ingresso, dove scese una barriera per l’inevitabile controllo. Sensori sensibilissimi li scrutarono, in cerca di microrganismi ostili.
Allgood sopportò l’esame con una pazienza scaturita dall’abitudine e studiò i suoi compagni — Boumour e Igan. Lo divertiva il pensiero che lì dentro tutti dovevano abbandonare i loro titoli. Nessun dottore era ammesso ad entrare in quell’edificio. Lì dovevano essere chiamati farmacisti. Il titolo di "dottore" suscitava negli Optimati una spiacevole inquietudine. Essi sapevano che i dottori esistevano, ma solo per prendersi cura dei semplici, della Gente. Nella Centrale si evitava di usare la parola "dottore", sostituita da un eufemismo, e del resto nessuno utilizzava parole come morte o uccidere, e neppure alludeva al fatto che una macchina o una qualsiasi struttura potessero usurarsi. Soltanto i nuovi Optimati nel loro periodo di apprendistato e i semplici di aspetto giovanile prestavano servizio in Centrale, sebbene alcuni semplici fossero stati mantenuti in servizio dai loro padroni per periodi considerevoli.
Boumour e Igan superarono entrambi l’esame, anche se il volto di Boumour, appuntito e simile a quello di un elfo, lo faceva sembrare più anziano di quanto fosse in realtà. Era un uomo massiccio, dalle spalle poderose. Al suo confronto, Igan appariva snello e fragile, con il mento lungo e una bocca piccola e stretta. Gli occhi di entrambi avevano il colore di quelli degli Optimati: un azzurro penetrante. Probabilmente erano quasi-Optimati. La maggior parte dei dottori-farmacisti della Centrale lo erano.
I due apparivano a disagio sotto gli occhi di Allgood, ed evitavano il suo sguardo. Boumour iniziò a parlare a bassa voce con Igan, con una delle sue mani, appoggiata sulla spalla dell’altro, che aveva iniziato a muoversi nervosamente. Il movimento della mano di Boumour sulla spalla di Igan parve familiare ad Allgood, che provò la sensazione di aver già visto in precedenza qualche cosa del genere, in qualche altro posto. Ma non riuscì a ricordare dove.
L’esame continuò, e Allgood ebbe l’impressione che durasse più a lungo del solito. Spostò la propria attenzione allo scenario che circondava l’edificio. Era stranamente pacifico, in pieno contrasto con l’atmosfera della Centrale, e Allgood lo sapeva.
Comprese che la possibilità che aveva avuto di accedere agli archivi segreti e perfino ai vecchi libri gli aveva fornito una conoscenza sulla Centrale fuori dal comune. Il feudo degli Optimati si stendeva per parecchi chilometri in un territorio che un tempo aveva costituito parte del Canada e degli Stati Uniti settentrionali. Occupava una zona approssimativamente circolare di settecento chilometri di diametro; contava duecento piani sotterranei. Era una regione in cui erano ubicati molteplici centri di controllo: controllo metereologico, controllo genetico, controllo dei batteri, controllo degli enzimi… controllo degli esseri umani.
In quel piccolo angolo del complesso, il cuore dell’intera Amministrazione, i dintorni erano stati trasformati in un giardino all’italiana, con tocchi di tinte pastello. Gli Optimati erano persone capaci di spianare una montagna per puro capriccio. Nel territorio della Centrale la natura era stata addomesticata, derubata della sua pericolosa selvatichezza. Anche quando gli Optimati modellavano un panorama, in esso mancava quell’elemento drammatico egualmente assente nelle loro vite.
Spesso Allgood rifletteva su quella caratteristica. Aveva visto dei film di epoche precedenti l’avvento degli Optimati e si era reso conto delle differenze. La meticolosa raffinatezza della Centrale gli sembrava in rapporto con gli onnipresenti triangoli rossi che indicavano i Dispensatorii Farmaceutici in cui gli Optimati conservavano le preziose scorte d’enzimi.
«Ci stanno mettendo troppo tempo o è solo una mia impressione?» chiese Boumour. Aveva una voce dal tono ricco, quasi baritonale.
«Pazienza,» rispose Igan. La sua era una voce da tenore.
«Sì,» disse Allgood. «La pazienza è la migliore alleata di un uomo.»
Boumour guardò il capo della Sicurezza, studiandolo, riflettendo. Allgood non era tipo da perdersi in chiacchiere; quando parlava, aveva sempre qualche scopo in mente. Era lui, e non gli Optimati, la minaccia maggiore per la Congiura. Era totalmente dalla parte dei suoi padroni: un burattino perfetto. Perché oggi ci ha ordinato di accompagnarlo qui? si chiese Boumour. Sa qualcosa? Ci denuncerà?