Литмир - Электронная Библиотека

«Non capisco,» ammise Svengaard. Fissò Igan, sentendosi debole, battuto, incapace di controbattere la forza di quelle parole, di quelle idee.

«Dimentico che lei non è della Centrale,» disse Igan. «Gli Optimati identificano se stessi in base a quelle poche emozioni che decidono di provare. Sono Decisionisti, Emotivi, Cinici, Edonisti ed Effeti. Per arrivare all’edonismo passano attraverso una fase cinica. Ma i membri della Tuyere perseguono già il proprio piacere personale, e questo non è un buon segno.»

Igan studiò Svengaard, soppesando l’effetto provocato dalle proprie parole. Si trovava di fronte a una creatura che si elevava a malapena rispetto al livello mentale medio della Gente. Era un uomo medievale. Per lui, la Centrale e gli Optimati costituivano il primum mobile che controllava il sistema celeste. Oltre la centrale si stendeva l’empirea dimora del Creatore… e per gli Svengaard di quel mondo esisteva poca differenza tra un Optimate e il Creatore. Erano entrambi più in alto della luna, e totalmente privi di difetti.

«Dove possiamo fuggire?» chiese Svengaard. «Non possiamo nasconderci da nessuna parte. Loro controllano le forniture di enzimi. L’istante stesso in cui uno di noi entrerà in uno dei Dispensatorii Farmaceutici, sarà la fine.»

«Abbiamo le nostre fonti di approvvigionamento,» replicò Igan.

«Ma perché volete me?» domandò Svengaard. Contino a fissare i legacci.

«Perché lei è un individuo speciale,» spiegò Igan. «Perché Potter la vuole al suo fianco. Perché lei sa dell’embrione dei Durant.»

L’embrione, pensò Svengaard. Ma qual è il significato di quell’embrione? Tutto sembra ruotare intorno ad esso.

Sollevò gli occhi, incontrò lo sguardo di Igan.

«Lei trova difficile considerare gli Optimati nel modo in cui glieli ho descritti,» commentò Igan.

«Sì.»

«Sono una piaga,» dichiarò Igan. «Sono una malattia che affligge l’intera umanità.»

Svengaard rabbrividì per l’amarezza che aveva percepito nella voce dell’altro.

«Saul ha cancellato l’esistenza di migliaia di persone, Davide quella di decine di migliaia, ma gli Optimati hanno cancellato il nostro futuro,»

Un uomo grande e grosso si avvicinò al tavolo, si fermò voltando le spalle a Svengaard.

«Ebbene?» chiese. Anche se aveva pronunciato una sola parola, fu chiarissimo che la sua voce aveva un inquietante tono d’urgenza. Svengaard tentò di osservare il suo volto, ma non ci riuscì a causa dei legacci che lo bloccavano. Per lui l’uomo rimase un’ampia schiena coperta da una giacca grigia.

«Non lo so,» rispose Igan.

«Non abbiamo più tempo,» disse il nuovo venuto. «Potter ha terminato il suo lavoro.»

«Con quale risultato?» chiese Igan.

«Lui dice che l’operazione ha avuto successo. Ha usato un’iniezione di enzimi per accelerare il ristabilimento della madre. Tra poco sarà in grado di spostarsi.» Con una mano massiccia l’uomo indicò dietro la spalla, verso Svengaard. «Che ne facciamo di lui?»

«Lo porti con sé,» disse Igan. «Cosa sta facendo la Centrale?»

«Ha ordinato l’arresto di tutti i bioingegneri.»

«Così presto? Hanno preso anche il Dottor Hand?»

«Sì, ma lui ha scelto la porta nera.»

«Ha costretto il suo cuore a fermarsi,» commentò Igan. «Era l’unico modo. Non possiamo permetterci che uno di noi venga interrogato. In quanti siamo rimasti?»

«Sette.»

«Compreso Svengaard?»

«Con lui siete in otto.»

«Per il momento terremo Svengaard sotto sorveglianza,» disse Igan.

«Stanno iniziando a far evacuare il loro personale da Seatac,» annunciò l’uomo.

Svengaard riusciva a vedere soltanto una metà del viso di Igan, coperto parzialmente dal nuovo venuto, ma quella metà mostrava chiaramente un’espressione preoccupata, riflessiva. L’unico occhio visibile fissò Svengaard per un istante, poi guardò altrove.

«È chiaro,» disse Igan.

«Sì, stanno per distruggere la megalopoli.»

«No… loro direbbero "sterilizzare".»

«Ha mai sentito Allgood parlare della Gente?»

«Molte volte. Feccia della terra. Distruggerebbe l’intera regione senza battere ciglio. È tutto pronto per muoverci?»

«Più o meno.»

«L’autista?»

«È stato programmato per il percorso desiderato.»

«Faccia un’iniezione a Svengaard per tenerlo tranquillo. In viaggio non avremo tempo di occuparci di lui.»

Svengaard si irrigidì.

L’uomo si girò. Svengaard sollevò lo sguardo, fissando due occhi scintillanti, grigi, calcolatori, privi di qualsiasi emozione. Una delle mani massicce dell’uomo si sollevò, stringendo una siringa a pressione. La mano gli toccò il collo. Svengaard sussultò.

Poi fissò quel volto privo di espressione mentre la sua mente veniva avvolta da soffici nuvole. Si sentiva la gola arida, era incapace di parlare. Volle protestare, ma nessuna parola gli uscì di bocca. La sua coscienza divenne un globo sempre più piccolo concentrato su di una piccola parte del soffitto dotato di feritoie. La scena si condensò, divenne sempre più piccola, fino a trasformarsi in un occhio dalle pupille simili a feritoie che ruotava freneticamente.

Poi Svengaard precipitò in una morbida oscurità.

CAPITOLO TREDICESIMO

Lizbeth giaceva su di una panca, con Henry seduto accanto a lei che la sorreggeva. In uno spazio ristretto, una specie di cubo non molto più grande di uno scatolone da imballaggio, erano in cinque. Il vano era stato ricavato al centro del carico normale di un hovercraft da trasporto. Un solo neon, in alto, lo illuminava di una luce fievole, malata. Lizbeth vedeva Igan e Boumour seduti sulla panca di fronte, con le gambe allungate sulla figura di Svengaard, che, legato, imbavagliato e privo di sensi giaceva sul pavimento.

Harvey aveva detto che fuori era già calata la sera. Lizbeth pensò che questo significava che dovevano aver percorso un buon tratto di strada. Provava un leggero senso di nausea e l’addome le faceva male, laddove le erano stati applicati i punti. Ma il pensiero di portare dentro di sé suo figlio la dava uno strano senso di sicurezza. Inoltre provava una calda sensazione di soddisfazione. Potter le aveva assicurato che, mentre custodiva dentro di sé l’embrione, avrebbe potuto tranquillamente fare a meno di assumere enzimi. Ovviamente il medico doveva aver pensato che, una volta giunti in un luogo sicuro, l’embrione sarebbe stato rimosso dal suo corpo e rimesso in una vasca. Ma lei si sarebbe opposta. Voleva portare a termine la gravidanza. Nessuna donna l’aveva fatto per migliaia di anni, ma lei voleva farlo.

«Stiamo accelerando,» commentò Igan. «Ormai dobbiamo essere usciti dai tubi.»

«Ci saranno dei posti di blocco?» chiese Boumour.

«Senza dubbio.»

Harvey si rese conto della veridicità dell’affermazione di Igan. La velocità era aumentata? Sì… i loro corpi stavano compensando la maggiore pressione che subivano nelle curve. Il ventilatore sotto la panca di Lizbeth inviava un flusso d’aria più fresca. Il veicolo procedeva più spedito, senza più sobbalzi. Il rombo delle turbine riecheggiava fortemente nel piccolo vano, e lui percepiva nell’atmosfera l’odore di idrocarburi incombusti.

I posti di blocco? La Sicurezza avrebbe usato ogni mezzo per evitare che qualcuno riuscisse a fuggire da Seatac. Si chiese cosa sarebbe accaduto alla megalopoli. I bioingegneri avevano parlato di gas mortali liberati nell’atmosfera, di raggi sonici. Avevano affermato che la Centrale era in possesso di numerose armi. Harvey allungò un braccio per sostenere Lizbeth mentre il veicolo svoltava bruscamente.

Non sarebbe stato capace di dare un nome alla sensazione che provava sapendo che Lizbeth portava in grembo il loro figlio. Era una sensazione strana, certo non si trattava di disgusto od orrore… ma era strana. In lui si era risvegliato un riflesso istintivo, e dunque era costantemente all’erta nei confronti di eventuali pericoli che avrebbero potuto minacciare la moglie. Ma per quel momento c’era solo il vano, che odorava di sudore stantio e olio.

27
{"b":"121564","o":1}