«Dovremo controllare l’incartamento dell’embrione?» volle sapere l’agente.
Brancola ancora nel buio, si disse Potter. Rispose, «Come desidera. Molto presto preparerò un nastro con il resoconto verbale sull’intervento; probabilmente sarà tanto accurato quanto quello visivo. Può anche attendere che sia pronto per poi analizzarlo, prima di decidere.»
«Lo farò,» disse l’agente.
Svengaard aveva allontanato il microscopio dalla vasca. Potter si rilassò leggermente. Nessuno avrebbe potuto dare un’occhiata casuale, ma pericolosa, all’embrione.
«Immagino che tutte queste precauzioni non siano servite a nulla,» disse Potter. «Mi dispiace, ma i genitori hanno insistito per osservare.»
«Meglio precauzioni dieci volte più numerose, che una coppia di genitori che sa troppo,» replicò l’agente. «Come mai il nastro è stato cancellato?»
«Un incidente,» rispose Potter. «L’equipaggiamento era usurato. Tra breve, le forniremo il rapporto tecnico.»
«Eviti di citare nel rapporto l’incoveniente,» disse l’agente. «Mi basterà la comunicazione verbale. Ora Allgood deve mostrare ogni rapporto alla Tuyere.»
Potter si permise un cenno pieno di comprensione. «Non si preoccupi.» Gli uomini che lavoravano per la Centrale conoscevano bene quelle cose. Ciascuno tentava di celare agli Optimati particolari che avrebbero potuto turbarli.
L’agente si guardò intorno, commentò, «Qualche giorno non avremo più bisogno di tutta questa segretezza. E per me sarà sempre troppo presto.» Si voltò.
Potter lo guardò andar via, pensando a quanto superbamente quell’agente si adattasse allo svolgimento dei compiti che la sua professione richiedeva. Un esemplare perfetto, con un solo difetto: una mente troppo fredda, troppo incline alla logica, dotata di insufficiente immaginazione, impreparata ad esplorare le strade del caso.
Se mi avesse torchiato, sarei crollato, confessando tutto, rifletté Potter. Avrebbe dovuto essere più curioso sull’incidente. Ma noi tendiamo ad emulare i nostri padroni, perfino nei loro difetti.
Potter iniziò ad avere maggiore fiducia nel successo della sua inattesa avventura. Si voltò per aiutare Svengaard a sbrigare gli ultimi particolari, chiedendosi, Come faccio a sapere che l’agente ha creduto alla mia spiegazione? Quella domanda non fu accompagnata da alcuna sensazione di disagio. So che mi ha creduto, ma perché l’ha fatto?
Poi comprese che la propria mente aveva assorbito informazioni sui geni — il funzionamento interno delle cellule e le loro manifestazioni esteriori — per tanti di quegli anni che quella mole di dati si era fuso in un superiore livello di comprensione. Ormai era capace di intuire le reazioni condizionate dalla manipolazione genetica, anche in base ad indizi involontari.
Posso leggere nella mente delle persone!
Fu una rivelazione sconvolgente. Potter si guardò intorno, osservò le infermiere che stavano terminando di smontare le apparecchiature. Quando i suoi occhi si posarono sull’addetta al computer, lui seppe che la donna aveva cancellato deliberatamente il nastro. Non ebbe più alcun dubbio su quel particolare.
CAPITOLO QUARTO
Lizbeth e Harvey Durant uscirono mano nella mano dall’ospedale, dopo il colloquio sostenuto con i due dottori, Potter e Svengaard. Sorridevano e facevano ondeggiare allegramente le loro mani intrecciate come bambini in vacanza — e in un certo senso lo erano.
La pioggia del mattino era stata fatta cessare e le nuvole si erano spostate verso est, al di sopra delle alte cime che torreggiavano sulla Megalopoli di Seatac. Il cielo era di un azzurro ceruleo, e un sole capriccioso vi navigava alto.
Una folla di persone, in ordine sparso di marcia, stava attraversando il parco che si stendeva dall’altro lato della strada: si trattava ovviamente dei lavoratori di qualche fabbrica o di un gruppo di lavoro impegnato negli esercizi fisici obbligatori. Erano uguali uno all’altro, e solo qualche occasionale tocco di colore mitigava la loro uniformità: una sciarpa arancione sulla testa di una donna, un panciotto giallo indossato da un uomo, lo scarlatto di un feticcio della fertilità che pendeva da un cerchietto d’oro al lobo di un’altra donna. Un uomo indossava un paio di scarpe verde vivo.
Quei patetici tentativi di affermare la propria individualità in un mondo in cui l’uniformità era inscritta nel codice genetico fecero breccia nelle difese emotive di Lizbeth. Distolse il viso, per evitare che quella scena le cancellasse il sorriso dalle labbra, e chiese: «Dove andiamo?»
«Hmmm?» Harvey la fece fermare, e attesero che il resto del gruppo li superasse.
Tra i marciatori, dei volti si girarono per osservare con invidia Harvey e Lizbeth. Tutti sapevano perché i Durant erano lì. L’ospedale, la cui enorme mole in plasmeld si ergeva alle spalle della coppia, il fatto che fossero insieme, l’abbigliamento, i sorrisi… tutto contribuiva a indicare che erano in permesso di procreazione dai rispettivi lavori.
Ogni individuo in quella folla sperava disperamente in quella medesima scappatoia dalla monotonia quotidiana in cui erano tutti imprigionati. Gameti fertili, permesso di procreazione: quello era il sogno di tutti. Perfino coloro che sapevano di essere Sterili speravano ancora, alimentando le fortune di ciarlatani e fabbricanti di feticci.
Non hanno un passato, rifletté Lizbeth, ricordandosi di colpo un’osservazione comune a tutti i filosofi della Gente. Sono tutti senza passato, e hanno soltanto la speranza del futuro a cui aggrapparsi. In una qualche epoca, il nostro passato è svanito nelle tenebre; sono stati gli Optimati e i loro ingegneri genetici a cancellarlo.
Di fronte a quel pensiero, anche il permesso di procreazione perdeva il suo fascino speciale. I Durant potevano anche non essere costretti a svegliarsi in fretta e a separarsi per recarsi al lavoro, ma erano egualmente senza passato… e in un istante avrebbero potuto perdere il loro futuro. Il bambino che si stava formando nella vasca dell’ospedale… poteva ancora essere una parte di loro in alcuni piccoli particolari, ma i bioingegneri l’avevano cambiato. L’avevano tagliato fuori dal suo passato.
Lizbeth ricordò i propri genitori, il senso di estraneità che aveva provato nei loro confronti, la percezione di differenze che anche i legami di sangue erano incapaci di attenuare.
Erano i miei genitori soltanto in parte, pensò. Loro lo sapevano… e anch’io lo sapevo.
E allora iniziò a provare un senso di estraneità nei confronti del figlio non ancora completamente formato, un’emozione che sottolineva ancora di più le necessità del momento. A cosa serve ciò che stiamo facendo? si chiese. Ma conosceva bene la risposta: far cessare per sempre quell’amputazione continua del passato.
L’ultimo volto invidioso li aveva superati. La folla divenne una selva di schiene in movimento, contraddistinte da qualche chiazza di colore. Girarono l’angolo e scomparvero.
Anche noi abbiamo girato un angolo, senza alcuna possibilità di tornare indietro? si chiese Lizbeth.
«Andiamo a piedi alla metropolitana,» disse Harvey.
«Attraverso il parco?» chiese lei.
«Sì,» rispose Harvey. «Pensa: dieci mesi.»
«E poi potremo portare nostro figlio a casa,» disse Lizbeth. «Siamo davvero fortunati.»
«Dieci mesi — sembrerà un periodo di tempo lunghissimo,» disse Harvey.
Lizbeth gli rispose mentre attraversavano la strada ed entravano nel parco. «Sì, ma potremo vederlo ogni settimana, quando lo trasferiranno nella vasca grande… e mancano soltanto tre mesi.»
«Hai ragione,» ammise Harvey. «Saranno trascorsi prima di quanto pensiamo. E fortunatamente non è uno specialista o nient’altro. Potremo allevarlo in casa. Il nostro orario di lavoro verrà ridotto.»