«Ovviamente,» disse Svengaard. «Qualunque cosa succeda, si è trattato di un intervento magistrale!»
Intervento magistrale! pensò con sarcasmo Potter. Cosa direbbe questo sciocco se gli rivelassi cosa ho ottenuto? Un embrione fertile. Un Totale. Lo uccida, mi direbbe. Non avrà bisogno di enzimi e potrà generare. Non ha un difetto… neppure uno. Lo uccida, mi direbbe. È uno schiavo fedele. L’intera triste storia dell’ingegneria genetica potrebbe trovare la sua giustificazione in quest’unico embrione. Ma l’istante dopo che alla Centrale avranno terminato di visionare il nastro, l’embrione verrà distrutto.
Eliminatelo, diranno… poiché non amano usare parole come "uccidere" o "morte".
Potter si chinò sul microscopio. L’embrione era bellissimo, sia pure nella sua terribilità.
Potter arrischiò un’altra occhiata all’infermiera addetta al computer. La donna si girò, con la mascherina abbassata, incontrò il suo sguardo, sorrise. Era un sorriso d’intesa, furtivo, il sorriso di una cospiratrice. Poi sollevò un braccio per tergersi il sudore dalla fronte. La manica sfiorò un pulsante. Uno stridio acuto, metallico, provenne dalla console del computer. L’infermiera si voltò di scatto verso l’apparecchiatura, rantolò, «Oh, mio Dio!» Le sue mani volarono sulla tastiera, ma il nastro continuò a scorrere sibilando attraverso il meccanismo di trasporto. La donna si voltò, tentò di togliere la copertura trasparente della console di registrazione. Le grandi bobine giravano follemente.
«Si è guastato!» esclamò l’infermiera.
«È bloccato su CANCELLARE!» gridò Svengaard. Balzò accanto all’infermiera, tentò anche lui di rimuovere la copertura, che si incagliò nelle scanalature.
Come se fosse immerso in una trance, Potter rimase a guardare mentre l’ultimo tratto del nastro passava in un lampo sulle testine e iniziava a riavvolgersi sull’altra bobina.
«Oh, Dottore, abbiamo perso la registrazione!» gemé l’infermiera.
Potter concentrò la sua attenzione sul piccolo monitor dell’infermiera. Avrà seguito attentamente l’intervento? si chiese. Qualche volta osservano queste operazioni passo passo… e le infermiere addette ai computer la sanno lunga. Se ha osservato tutto, si farà fatta una buona idea di quel che è successo. O almeno avrà sospettato qualcosa. La cancellazione del nastro: ma si è davvero trattato di un incidente? Posso accettare una spiegazione del genere?
L’infermiera si voltò e affrontò il suo sguardo. «Oh, Dottore, sono così mortificata,» si scusò.
«Nessun problema, infermiera,» disse Potter. «Adesso in quell’embrione non c’è nulla di speciale, a parte il fatto che vivrà.»
«Non ci siamo riusciti, eh?» chiese Svengaard. «Devono essere stati i mutageni.»
«Sì,» disse Potter. «Ma senza di essi sarebbe morto.»
Poi fissò l’infermiera. Non ne era sicuro, ma pensò di aver scorto un’espressione di profondo sollievo apparire sul volto della donna.
«Preparerò una registrazione verbale dell’intervento,» disse Potter. «Per un embrione di questo tipo, dovrebbe essere più che sufficiente.»
E pensò, Quand’è che inizia una cospirazione? Forse ne sto iniziando una?
Be’, in caso affermativo c’era ancora tanto da fare. Nessun occhio esperto avrebbe più potuto guardare l’embrione attraverso l’oculare del microscopio, senza diventare un membro della congiura… o un traditore.
«Abbiamo ancora il nastro della sintesi proteica,» disse Svengaard. «Per comparazione, potremo ottenere i fattori chimici, e i tempi.»
Potter pensò a quel nastro. Poteva rivelarsi pericoloso? No: conservava i dati sulle sostanze usate durante l’intervento… ma non su come erano state usate.
«Andrà bene lo stesso,» disse. «Sì, andrà bene.» Indicò lo schermo. «L’intervento è terminato. Potete interrompere il circuito video diretto e far accompagnare i genitori in sala d’aspetto. Sono davvero spiacente di non aver potuto fare di più, ma l’embrione diverrà un essere umano in piena salute.»
«Uno Sterile?» gli chiese Svengaard.
«È troppo presto per azzardare conclusioni,» replicò Potter. Guardò l’infermiera addetta al computer. Era infine riuscita a rimuovere la copertura e a fermare i nastri. «Ha una qualche idea su ciò che ha causato il guasto?»
«Probabilmente la rottura di un solenoide,» ipotizzò Svengaard.
«Quest’equipaggiamento è molto vecchio,» disse l’infermiera. «Ho chiesto molte molte che venisse sostituito, ma sembra che non siamo molto in alto nella lista di priorità.»
E la Centrale ha una naturale ritrosia ad ammettere che qualsiasi cosa possa usurarsi, pensò Potter.
«Sì,» disse poi. «Bene, sono convinto che ora otterrà ciò che aveva chiesto.»
Qualcun altro l’ha vista mentre faceva scattare quell’interruttore? si chiese Potter. Tentò di ricordare dove stavano guardando tutti coloro che erano nella stanza al momento dell’incidente, timoroso che un monitor della Sicurezza avesse potuto tenere l’infermiera sotto sorveglianza. Se la Sicurezza si è accorta di quel che ha fatto, è spacciata. E anch’io sono finito.
«Il rapporto del tecnico sulle riparazioni effettuate dovrà essere accluso all’incartamento che riguarda questo caso,» disse Svengaard. «Presumo che lei…»
«Me ne occuperò io, Dottore,» lo tranquillizzò l’infermiera.
Voltandosi, Potter ebbe l’impressione che lui e la donna avessero appena finito di avere una conversazione silenziosa, sottintesa. Si accorse che il grande schermo era grigio e vuoto; i Durant non stavano più osservando. Se fanno parte dell’Associazione dei Genitori Clandestini, potrebbero rivelarsi utili. Bisogna fare qualcosa per quest’embrione. La cosa migliore sarebbe di portarlo fuori di qui… ma come?
«Mi occuperò io dei dettagli finali,» disse Svengaard. Iniziò a controllare i sigilli della vasca, i monitor delle funzioni vitali, poi cominciò a smontare il generatore di mesoni.
Qualcuno deve parlare con i genitori, rifletté Potter.
«I genitori saranno delusi,» commentò Svengaard. «Di solito conoscono il motivo per cui viene chiamato uno specialista… e probabilmente nutrivano grandi speranze.»
La porta che dava sulla stanza dei preparativi si aprì, e nel laboratorio entrò un uomo che Potter riconobbe come un agente della Sicurezza della Centrale. Era biondo, con un viso rotondo e lineamenti che si tendeva a dimenticare cinque minuti dopo averli visti. L’uomo attraversò la stanza e si fermò di fronte a Potter.
Per me è la fine, si chiese Potter. Poi si sforzò di chiedere con voce ferma, «Cosa mi dice dei genitori?»
«Sono puliti,» rispose l’agente. «Niente dispositivi camuffati, una conversazione normale… terribilmente banale, ma normale.»
«Neppure una minima traccia di altro?» chiese Potter. «Non potrebbero avervi giocato lo stesso senza far uso di strumenti?»
«Impossibile!» replicò brusco l’altro.
«Il Dottor Svengaard pensa che il padre abbia un istinto di protezione troppo accentuato, e che la madre possegga un istinto materno materno troppo sviluppato.»
«Le registrazioni d’archivio dicono che è stato lei a modellarli,» ribatté l’agente.
«È possibile,» concesse Potter. «Qualche volta bisogna concentrarsi sui difetti più grossi e trascurare quelli meno importanti, pur di salvare l’embrione.»
«E oggi, ha per caso trascurato qualcosa?» domandò l’agente. «Mi è parso di capire che il nastro è stato cancellato… un incidente.»
Sospetta qualcosa? si chiese Potter. L’entità del pericolo, il suo coinvolgimento personale in quella faccenda minacciarono di sopraffare la sua mente. Dovette compiere uno sforzo sovrumano per conservare un tono di voce calmo, quasi noncurante.
«Ovviamente tutto è possibile,» rispose. Si strinse nelle spalle. «Ma non credo che sia successo niente di strano. Salvando l’embrione, abbiamo perso lo schema genetico da Optimate, ma qualche volta succede. Non possiamo vincere sempre.»