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Di colpo, Potter si mosse di scatto, si fece largo tra i bambini. Il suo compagno stava correndo verso l’altro lato della fontana.

Schruille arrischiò un’occhiata verso Calapine, scoprì che la donna stava sbirciando attraverso le dita.

Un grido acuto proveniente dallo schermo attirò nuovamente la sua attenzione verso di esso.

Il compagno di Potter si era trasformato in un essere orribile, i cui vestiti erano caduti, e sul cui petto sorgeva un bulbo latteo, che irradiò una luce intensissima.

Lo schermo divenne nero, poi la scena ricomparve, questa volta ripresa da una diversa angolazione.

A Schruille bastò un rapido sguardo per accertarsi che Calapine aveva abbandonato ogni finzione di coprirsi gli occhi: ora fissava direttamente lo schermo. Anche Nourse lo stava guardando, attraverso il prisma montato sulla spalliera del trono.

La figura sullo schermo emise un altro raggio di luce. Lo schermo divenne nero ancora una volta.

«È un Cyborg,» spiegò Schruille. «È giusto che ne siate informati.»

La scena riapparve, questa volta ripresa da un’altezza maggiore e da un’angolazione nuovamente differente. Lo scontro che si svolgeva nel canyon di plasmeld era ormai portato avanti da dei moscerini, ma non era difficile trovare l’epicentro dell’azione. Raggi di luce accecante saettavano da una figura acquattata al centro della piazza. Aeromobili esplodevano e precipitavano ridotte in mille pezzi.

Un veicolo della Sicurezza scese in picchiata alle spalle del Cyborg. Un pulsante raggio di luce coerente scaturì dall’aeromobile e scavò un solco fumante lungo il lato di un edificio. Il Cyborg ruotò di scatto su se stesso, sollevò una mano, da cui scaturì un dito azzurro che parve estendersi all’infinito. Il dito incontrò il velivolo in picchiata e lo spezzò in due. Una delle metà urtò contro l’edificio, rimbalzò e investì il Cyborg.

Una palla di fuoco di un giallo spaventosamente intenso prese il posto della piazza. Un istante dopo, una fortissima esplosione scosse l’intera zona.

Schruille sollevò lo sguardo e si accorse che tutti i sensori video erano attivati e brillavano di un rosso intenso.

Calapine si schiarì la gola. «Potter è entrato in quell’edificio sulla destra.»

«È tutto qui quello che hai da dire?» le chiese Schruille.

Nourse fece ruotare il suo trono e fissò con ira Schruille.

«Non è stata un’esperienza interessante?» gli domandò Schruille.

«Interessante?» ripeté Nourse.

«Viene chiamata guerra,» disse Schruille.

Il volto di Allgood riapparve sullo schermo, fissandoli con velata intensità.

Naturalmente è curioso di osservare la nostra reazione, pensò Schruille.

«Tu conosci le nostre armi, Max?» gli chiese.

«Tutto questo parlare di armi e di violenza mi disgusta,» annunciò Nourse. «A cosa ci serve?»

«Perché possediamo delle armi, se non intendiamo utilizzarle?» proseguì Schruille. «Max, conosci la risposta a questa domanda?»

«Conosco le vostre armi,» rispose Allgood. «Sono l’ultima difesa della vostra incolumità personale.»

«Certo che abbiamo delle armi!» gridò Nourse. «Ma perché dobbiamo…»

«Nourse, controllati,» lo esortò Calapine.

Nourse si rilassò sul suo trono, con le mani che ne stringevano spasmodicamente i braccioli. «Controllarmi

«Esaminiamo i nuovi sviluppi della situazione,» continuò Schruille. «Sappiamo che i Cyborg esistono. Fino a questo momento, hanno eluso il nostro controllo. Evidentemente hanno la possibilità di entrare nei nostri computer e di manipolare i dati che ci forniscono, inoltre godono dell’appoggio di membri della Gente. E poi abbiamo scoperto che posseggono un braccio armato capace di sacrificare… ho detto sacrificare un membro per il bene degli altri.»

Nourse lo fissò ad occhi spalancati, mentre rifletteva su quelle parole.

«E noi abbiamo dimenticato completamente come si fa ad essere brutali.»

«Puah!» esclamò Nourse.

«Se si ferisce un uomo con un’arma,» rifletté Schruille, «di chi è la responsabilità: dell’arma o di chi la impugna?»

«Spiegati meglio,» sussurrò Calapine.

Schruille indicò l’immagine di Allgood. «Ecco la nostra arma. L’abbiamo puntata innumerevoli volte, finché non ha imparato a puntarsi da sola. Non abbiamo solo dimenticato come essere brutali, abbiamo semplicemente dimenticato di essere brutali.»

«Che sconcezza!» protestò Nourse.

«Guardate,» li esortò Schruille. Indicò i sensori video, tutti attivati. «Ecco la prova che quel che dico è vero. In quale altra occasione tanti nostri pari hanno osservato il Globo?»

Alcune luci si spensero, ma si riaccesero non appena i canali vennero utilizzati da altri che desideravano osservare.

Allgood, che stava assistendo a quella scena dallo schermo, era completamente affascinato. Aveva il respiro mozzo per l’emozione, ma ignorò quel particolare. Gli Optimati che affrontavano apertamente il concetto di violenza! Dopo una vita trascorsa a baloccarsi con degli eufemismi, Allgood scoprì che quel pensiero era inaccettabile. Era successo tutto così in fretta. Ma quelli erano gli Immortali, coloro che non potevano mai sbagliare. Si chiese quali pensieri solcassero in quel momento le loro menti.

Schruille, di solito silenzioso e meditativo, fissò Allgood e disse: «Chi altro ha eluso la nostra sorveglianza, Max?»

Allgood scoprì di non riuscire a parlare.

«I Durant sono scomparsi,» disse Schruille. «Svengaard non è stato trovato. Chi altro?»

«Nessuno, Schruille, nessuno.»

«Vogliamo che siano catturati,» gli disse l’Optimate.

«Naturalmente, Schruille.»

«Vivi,» intervenne Calapine.

«Vivi, Calapine?» ripeté Allgood.

«Se è possibile,» disse Schruille.

Allgood annuì. «Obbedisco, Schruille.»

«Adesso puoi tornare al tuo lavoro,» lo congedò quest’ultimo.

Lo schermo divenne nero.

Schruille iniziò a sfiorare i controlli inseriti nel bracciolo del suo trono.

«Cosa stai facendo?» gli chiese Nourse, notando un tono petulante nella propria voce che non gli piacque per nulla.

«Elimino i programmi di filtraggio che escludono la violenza dai nostri occhi, se non come dato astratto,» spiegò Schruille. «È giunta l’ora che osserviamo come sono veramente le terre su cui dominiamo.»

Nourse sospirò. «Se lo reputi davvero necessario.»

«Io so che è necessario.»

«Interessantissimo,» commentò Calapine.

Nourse la guardò. «Cosa ci trovi di tanto interessante in quest’oscenità?»

«L’esaltazione che provo,» rispose la donna. «È questa la cosa più interessante.»

Nourse fece ruotare il trono, voltandole le spalle, poi fissò irato Schruille. Ora era assolutamente sicuro che l’altro aveva un’imperfezione della pelle sul volto — proprio vicino al naso.

CAPITOLO DODICESIMO

Per Svengaard, cresciuto in un mondo totalmente dominato dagli Optimati, l’idea che non fossero infallibili costituiva una vera e propria eresia. Tentò di escluderla dalle proprie orecchie e dalla propria mente. Non essere infallibili significava essere soggetti alla morte. Ma questo capitava solo alle classi inferiori, non agli Optimati. Come potevano non essere infallibili?

Conosceva il bioingegnere che sedeva di fronte a lui, nella pallida luce dell’alba che filtrava attraverso strette fessure nel soffitto a cupola. Quell’uomo era Toure Igan, uno dei medici d’élite della Centrale, a cui venivano sottoposti soltanto i problemi di bioingegneria più delicati e complessi.

La stanza che occupavano era un piccolo spazio ricavato tra le pareti di un condotto d’aria che serviva i sotterranei del Complesso delle Cascate. Svengaard sedeva in una poltrona piuttosto confortevole, ma aveva le braccia e le gambe legate. Passava altra gente, superando il tavolo a cui sedeva Igan. Portavano pacchi dall’aria strana, e nella maggior parte dei casi ignoravano sia Igan sia il suo compagno.

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