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Lizzie si svegliò in una stanzetta spoglia, non più grande di due metri e mezzo per un metro e venti, con pareti di cemespugna prive di finestre. Tre pareti. Si sedette sul letto, che era solo una piattaforma sporgente da un muro e cercò la parete mancante. Una donna le era seduta dirimpetto su una sedia. Dietro la donna, con un’uniforme blu, si allungava un corridoio privo di segni salienti.

— Salve — disse la donna. Era bella come Vicki: modificata geneticamente. Capelli neri, occhi scuri, pelle bianca come la neve. La quarta parete, comprese Lizzie, era uno scudo a energia-Y.

— Lei si trova nel quartier generale della Sicurezza di Manhattan Est, Patterson Protect Corporation, legalmente appaltatrice. Io sono l’agente Foster. Lei è Elizabeth Francy ed è stata presa per effrazione e violazione di domicilio, due reati penali. Vorrebbe dirmi come ha fatto a penetrare nell’enclave?

Lizzie tastò la tasca. L’occhio color porpora era sparito, quindi significava che l’agente Foster sapeva com’era entrata. Lizzie la fissò in silenzio.

— Signora Francy, non mi sembra che lei capisca. Manhattan Est è proprietà privata. La Patterson Protect è autorizzata a trattare questioni di polizia intra-enclave. Possiamo interessare anche il Dipartimento di Polizia di New York, se lo decidiamo. L’irruzione con scasso è un reato penale. E l’omicidio è un reato da pena capitale. — Sollevò l’occhio di Tish. — La Patterson Protect può usare, e lo farà, sieri della verità come da autorizzazione legale.

— Non ho ucciso nessuno! Ho bisogno di vedere subito una persona. Il dottor Jackson Aranow. Devo dirgli una cosa molto importante!

— Dottor Jackson Aranow — ripeté il poliziotto e restò seduta in silenzio. Lizzie immaginò che un sistema le comunicasse informazioni all’auricolare. Un istante dopo, la donna disse: — Perché lei…

La porta che si trovava in un punto imprecisato del corridoio alle spalle di lei si spalancò. Passi di corsa. Apparve un ragazzo, non più di quattordici anni, vestito con la stessa uniforme: sul colletto portava la targhetta INTERNO. Il suo volto mostrava sbalordimento ed eccitazione. — Agente Foster! Venga presto, il notiziario…

— Daniel — fece il poliziotto con voce inespressiva.

— …dice che…

— "Daniel."

— …qualcuno ha fatto saltare in aria il Rifugio con una bomba atomica!

Lentamente, l’agente Foster si alzò. Seguì il ragazzo lungo il corridoio, ma non prima che Lizzie notasse una parata di espressioni in sequenza sul suo volto: shock, riflessione, piacere.

"Hanno fatto saltare in aria il Rifugio."

Lizzie balzò giù dalla piattaforma-letto. Le gambe non le cedettero, qualunque fosse stato il neurofarmaco utilizzato dal robot-poliziotto, non aveva lasciato effetti. Passò le mani sullo scudo a energia-Y che formava la quarta parete della cella. Nessuna apertura. Nessun macchinario da quella parte. Nessun modo per uscire.

"Hanno fatto saltare in aria il Rifugio." Chi? Perché? Con tutti gli Insonni dentro? Poteva essere stata Miranda Sharifi, in guerra con sua nonna. Ma perché in quel momento? Poteva avere connessioni con il neurofarmaco della paura in qualche modo?

Non aveva alcun senso.

E Lizzie era stanca di congetturare. Stanca, infuriata, impaurita. Di arrivare a New York a piedi per cercare Vicki e il dottor Aranow. Di essere attaccata da Vivi, Muli e robot. Di essere minacciata di arresto per omicidio. Perfino di trafugare dati. Era una madre. Il suo posto era a casa con suo figlio. Non appena avesse trovato Vicki, il dottor Aranow o chiunque a cui mollare quella patata bollente in mano, era precisamente lì che sarebbe tornata.

— Ehi! — gridò Lizzie, incerta. Non rispose nessuno. L’agente Foster non tornò.

Lizzie cominciò a recitare tutti i codici standard vocali, per vedere se riusciva a farsi rispondere in qualche modo da un sistema dell’edificio. Non accadde nulla.

Si accomodò in attesa.

Passò un’ora. Ma non sarebbe tornato nessuno per interrogarla? Non era rimasto più nessuno a New York? E se quelli che avevano fatto saltare in aria il Rifugio avessero scaricato una bomba su Manhattan Est? Be’ non lo avrebbe mai scoperto prima di essere morta. Ma se qualcuno aveva diffuso il neurofarmaco della paura anche lì? I poliziotti se ne sarebbero andati a casa tranquillamente, impauriti per ogni novità, lasciandola a marcire in una cella?

Tutto lì dentro era sintetico. Non c’era nulla di consumabile.

Ma doveva esserci un robot che le portasse qualcosa da mangiare, dell’acqua. Un posto per pisciare. Esaminò il foro sul pavimento.

Trascorse stancamente un’altra ora. Lizzie cercò di pensare con lucidità, di pianificare. Benissimo, se non fosse arrivato nessuno e non fosse successo niente quando lei avesse contato fino a cento… d’accordo, duecento.

Tempo scaduto.

— Uhhhh! — strillò Lizzie. Si afferrò qualche pelo nelle narici e tirò forte. Le fece un male terribile. Il muco cominciò subito a fluirle dal naso, il cuore prese a batterle forte e sentì che il volto arrossiva. Strappò altri peli del naso e le lacrime iniziarono a scenderle sulle guance mentre il naso colava. Cominciò quindi a respirare ansimando velocemente e poco profondamente, finché non sentì che iperventilava. Si accasciò sul pavimento in cemespugna.

— Si richiede assistenza medica — disse la cella. — Schema respiratorio anormale. Pressione sanguigna in rialzo di quaranta punti su trenta, battito cardiaco uno-trenta, la scansione cerebrale mostra…

Un’unità medica fluttuò attraverso lo scudo-Y. Era di un tipo che lei non aveva mai visto prima, nemmeno quando nei paesi dei Vivi c’erano unità mediche. Un piccolo braccio con un cerotto sfrecciò verso di lei: un altro tranquillante. Lizzie balzò sulla piattaforma-letto, afferrò l’unità medica e la tirò su verso di sé, sollevandola da terra per bloccarla in modo che nessuno dei bracci robotici la raggiungesse. Sperò che l’allarme inviato dall’unità al sistema dell’edificio non avesse persone attorno che lo sentissero.

— Apri una comunicazione medica! — strillò lei e recitò il codice all’associazione medica del dottor Aranow, proprio come lo aveva trafugato dal suo sistema personale. Dio, doveva aprirsi! Quell’affare era un’unità medica, no? Doveva essere connesso con la struttura ufficiale.

— Comunicazione ufficiale medica aperta — disse tranquillamente una voce femminile. — Sto registrando. Dica pure, dottor Aranow.

— Mi colleghi col sistema di casa mia!

— Questa unità non è abilitata. Lei ha aperto un collegamento ufficiale medico con un canale per la registrazione. Proceda, prego.

— Stramaledizione! — strillò Lizzie. E se l’unità avesse attivato delle difese fisiche? Cominciò a snocciolare i codici di sovrapposizione di sicurezza trafugati da diversi sistemi governativi, sperando che uno aprisse il canale che pensava fosse possibile aprire… "doveva" essere possibile; perfino i collegamenti ufficiali dei Muli avevano delle porte di servizio perché un sistema fosse usato diversamente da come era stato programmato.

— Collegamento aperto — disse la voce femminile e, un istante dopo, si sentì una voce maschile: — Sì, dottor Aranow?

Jones. Il sistema di casa del dottor Aranow. Lizzie trasse un profondo respiro per calmarsi.

— Jones, dica al dottor Aranow che ha una chiamata d’emergenza da parte di Lizzie Francy. — Continuò a tenere l’unità medica il più lontano possibile, anche se quella aveva smesso di cercare di applicarle cerotti tranquillanti. — La signora Lizzie Francy.

— Il dottor Aranow non è disponibile, al momento. Vuole lasciare un messaggio registrato?

— No! Non… voglio dire, ho bisogno di lui, io! Collegami col suo sistema personale!

— Mi dispiace ma questo sistema nan può farlo tramite ordini esterni. Vuole registrare un messaggio?

Non aveva un collegamento ad altissima priorità e quel robot che dispensava cerotti non aveva la possibilità di crearne uno. Allora?

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