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Eppure, se voleva rendere sicuro il suo popolo non c’era scelta.

Sentì le mani di Will sulle spalle. — Jenny, è il momento. — Pensò che il marito avesse già pronunciato quelle parole ma che lei, all’improvviso, non riuscisse a ricordarle. Non aveva sentito il terminale. Per un momento la stanza si offuscò. Chiuse gli occhi.

— Trenta secondi — contò il terminale nell’angolo. Jennifer si costrinse ad aprire gli occhi. Lo schermo si era illuminato. Nessuna telecamera montata su mezzi telecomandati, quella volta. Il monitor nascosto si trovava a un chilometro e mezzo di distanza e mostrava soltanto un paesaggio desolato e vuoto, e, zoomando, il debole scintillio di uno scudo a energia-Y. No, non uno scudo a energia-Y ma qualcosa di completamente diverso, progettato da geni, mai duplicato da nessuno, da nessuna parte. Qualcosa in cui nessun mezzo telecomandato sarebbe mai riuscito a penetrare.

— Venti secondi.

Le mani di Will le si serrarono sulle spalle. Lei pensò di togliersele di dosso ma, per qualche motivo, non riuscì a muoversi. Non riusciva a pensare. La sua mente, quel meccanismo di precisione, era soffocata dalla confusione, vaporizzata dai nuovi dati che Caroline Renleigh le aveva riferito su Selene. Selene, dove la traditrice Miranda si nascondeva al mondo.

Sua nipote Miranda. La figlia di Richard. Richard, suo figlio, che aveva scelto di sostenere il tradimento di Miranda contro sua madre. Richard, che era lì con Miranda.

— Dieci secondi.

Non ricordava Richard da piccolo. Lei era molto giovane, coinvolta nella creazione del Rifugio e non ancora addestrata a ricordare ogni cosa. Ricordava l’infanzia di Miranda. Miranda, con gli occhi scuri e i capelli neri, scompigliati, che rideva alle stelle mentre lei la teneva in braccio davanti alla finestra di quella stessa stanza. Miranda.

"Miri…"

— No! — urlò Jennifer, e il suo grido annullò la voce calma del terminale nell’angolo.

— È finita, Jenny — disse dolcemente Will. — È finita. — Jennifer, però, piangeva, singhiozzva così violentemente da riuscire a sentire a mala pena il sistema aggiungere: — Operazione Nuovo Messico completata. — In seguito, si sarebbe rammaricata di avere singhiozzato e di essersi fatta vedere da Will. Era una disgrazia per la sua disciplina, ma ormai piangeva come una piccola di due anni perché le cose non dovevano essere così, le scelte non dovevano essere tanto dure. Le terribili scelte di guerra.

"Miri…"

Will l’abbracciò come se fosse una bambina impaurita e nonostante i singhiozzi, il rammarico e la sua imperdonabile debolezza si rese conto che quell’uomo, con la sua odiata delicatezza, poteva ancora fare molto per lei, che se lo sarebbe tenuto ancora vicino.

14

La luce sul volto svegliò Theresa che gridò.

Un momento dopo ricordò dove si trovava. Afflosciata sul sedile presso la finestra, in fondo all’atrio del piano superiore. Dalla notte precedente? Da tutta la notte? Aveva voluto sedersi soltanto un minuto, guardare il parco, fuggire dal suo studio per un po’.

Dolorosamente, cercò di sbloccare il corpo dal sedile angusto. Le faceva male la schiena, sentiva il collo irrigidito, provava un terribile sapore in bocca. Da quanto tempo non dormiva, prima della sera precedente? Da quanto tempo non mangiava? Aveva perso il conto. Jackson non tornava a casa da giorni. Theresa era rimasta da sola, chiusa a chiave nello studio, a guardare i notiziari e stampare immagini da appendere alle pareti. Immagini di bambini nonCambiati morenti, di adulti che combattevano selvaggiamente gli uni contro gli altri per inesistenti siringhe del Cambiamento, di incursioni per saccheggiare coni-Y, mobili e terminali, di enclavi violate in Oregon, New Jersey, Wisconsin. Theresa aveva guardato tutto.

"Sono venuto a portare testimonianza della distruzione dei mondi." La citazione era stata trovata da Thomas. Theresa l’aveva fissata finché la vista non le si era annebbiata. Poi aveva guardato ancora un po’ i notiziari. Quindi aveva fissato il messaggio sul suo sistema, il messaggio che non sarebbe dovuto essere lì:

HO VISTO LE IMMAGINI DEI BAMBINI VIVI. LEI DEVE TROVARE MIRANDA SHARIFI E FARE SÌ CHE CI FORNISCA ALTRE SIRINGHE DEL CAMBIAMENTO. LEI È UN MULO, HA TUTTI QUESTI SOLDI, LEI, E PUÒ ARRIVARE A MIRANDA IN MODI CHE NOI NON POSSIAMO, NOI…

Il messaggio era stato dettato, ovviamente, ma Theresa aveva chiesto a Thomas di scriverlo. Poi era rimasta a fissarlo, senza dormire, per tutti i giorni passati da quando Jackson non era più rientrato a casa. Inizialmente aveva finto che il messaggio fosse un errore, un’interferenza, uno delle migliaia di messaggi che le persone preparavano in tutto il mondo da trasmettere a Selene e finito nel suo sistema personale per qualche bizzarro errore nella Rete. Ma anche se poteva cercare di convincersene, Theresa sapeva di non essere tanto pazza da crederci veramente.

Peccato.

Il messaggio era di quella ragazza che Jackson aveva portato a casa, la ragazza Viva con il bambino reso timido dai neurofarmaci, ed era indirizzato proprio a Theresa. Jackson voleva sempre che lei affrontasse i fatti: quelli erano i fatti. Il messaggio era per lei.

Ovviamente non significava che lei dovesse farne qualcosa.

Aveva fissato il messaggio e distolto lo sguardo, gli ologrammi dei notiziari con i bambini morenti e aveva distolto lo sguardo, le pareti del suo studio e aveva distolto lo sguardo, per due giorni. O tre. Finché la notte precedente aveva pensato improvvisamente che se non fosse uscita da quella stanza sarebbe impazzita "sul serio". Sarebbe diventata ancora più pazza. Era arrancata fino al sedile presso la finestra e aveva guardato giù, verso il parco illuminato per la notte, e su, verso la cupola dell’enclave e le stelle, quindi aveva cominciato a singhiozzare fino a non riuscire più a fermarsi. Per nessun motivo, nessun motivo al mondo.

"Prendi un neurofarmaco" disse Jackson nella sua mente. "Tessie, è una questione biochimica, non sei obbligata a sentirti così."

— Fottiti — disse Tessie a voce alta, per la prima volta in vita sua, e ricominciò a piangere.

No. Anche quello bastava. Doveva riprendersi, fare un bagno, mangiare qualcosa. Doveva tornare nello studio. I bambini stavano morendo, i neonati venivano martoriati e sfigurati da orribili malattie, le madri come quella Lizzie tenevano in braccio i figli che si contorcevano dal dolore. Perché non riusciva a dimenticarsene? Altre persone lo facevano! Toglierselo dalla testa, soltanto, restare fuori da quello stupido studio.

"Prendi un neurofarmaco, Tessie."

— Signorina Aranow — fece Jones — ha un messaggio a priorità assoluta.

— Di’ che sono morta.

— Signorina Aranow?

Poteva trattarsi soltanto di Jackson. Non doveva preoccuparlo. Lei non doveva… non poteva…

— Signorina Aranow?

— Di’ che sto arrivando, Jones.

Theresa scese dal sedile presso la finestra. Le girava la testa. Si appoggiò contro la parete finché la vista non le si schiarì, sentì le ginocchia tremare. Cercò di stabilizzarle e accettò la chiamata in bagno, dove non avrebbe dovuto inviare la sua immagine. Non era Jackson.

— Tess? Dov’è il video? — Cazie, dall’aspetto fresco e austero con il suo vestito nero.

— Sono appena uscita dalla doccia. — Cazie sapeva che a Theresa non piaceva mostrare il proprio corpo.

— Oh, mi dispiace. Ascolta, dov’è Jackson?

— Non è con te? — chiese Theresa.

— Sai benissimo che non è con me: lo sento dal tuo tono di voce. Non giocare con me, Tess. Dove ha portato quei Vivi?

— Io non… quali Vivi?

Il volto di Cazie mutò. Quella, pensò Theresa, doveva essere la faccia che vedeva Jackson quando lui e Cazie litigavano: zigomi alti e pronunciati che sporgevano dalla pelle, sguardo duro quanto il pavimento di marmo che Theresa aveva sotto i piedi nudi: la ragazza indietreggiò leggermente verso il lavandino.

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