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— Lo renderebbe trasmissibile al di fuori del corpo umano e quindi contagioso.

— In altre parole, invece di dovere respirare il virus che viene distrutto dal Depuratore Cellulare, ma non prima di avere innescato una reazione a catena di animine naturali…

— Invece di doverlo respirare, il virus diventerebbe trasmissibile da persona a persona. Potrebbe sopravvivere sulla pelle, sul vestiario, sui capelli, nelle pieghe del corpo…

— Per quanto tempo? — chiese Jennifer.

— Non si sa. Almeno qualche giorno. E in questa forma potrebbe penetrare nel corpo attraverso punture sulla pelle od orifizi: una persona infettata potrebbe infettarne altre. Per qualche giorno. Questo non avveniva con i precedenti sviluppi. Ogni virus non respirato nel primo attacco moriva nel giro di qualche minuto o, se inspirato, veniva distrutto comunque dal Depuratore Cellulare.

Jennifer non permise al proprio volto di mostrare lo sconcerto che provava. — Ma, Chad, è proprio quello che intendevamo raggiungere fin dal principio, no? La seconda modalità di trasmissione che Strukov dovrebbe fornirci è proprio quella: trasmissione tramite contatto umano. Perché lo consideri un problema?

— Perché se il virus muta naturalmente prima che Strukov sia pronto a rilasciare la sua forma trasmissibile, non saremo più in grado di controllarne la diffusione. Il modello di veicolo di diffusione è stato progettato accuratamente per evitare di attirare l’attenzione scientifica o militare il più a lungo possibile. Noi non saremmo più in grado di controllare la situazione.

— Non lo siamo già più — disse Jennifer. — La Kelvin-Castner Pharmaceuticals si è casualmente imbattuta in un sito di Vivi dove effettuavamo il test. Lo sai.

— Vero. Ma non stanno interessando la CDC o Brookhaven. Quanto meno non ancora. In secondo luogo, non appena il virus diventerà trasmissibile all’esterno del corpo, strutture come la Kelvin-Castner potranno studiarne le proteine originali e non soltanto gli effetti collaterali sul cervello. Quello darà loro una grossa spinta avanti nella ricerca di un vaccino o perfino di un antidoto.

— Ma tu avevi detto che sarebbe stato molto difficile trovarli, perfino dopo che il virus fosse stato reso trasmissibile…

— Oh, lo sarà — confermò Chad. — Ma noi non vogliamo dare nessuna possibilità ai Dormienti. Terzo, se il virus può mutare in questo modo, con un 38,72 per cento di probabilità, e io l’ho scoperto solo accidentalmente, cosa altro è in grado di fare? E Strukov lo sa?

— Tu non dirglielo — rispose in fretta Jennifer. — E non porgli domande in proposito. Non c’è modo di sapere se la sua risposta corrisponderebbe al vero.

Chad annuì. Jennifer, riflettendo, studiò il pannello trasparente che aveva sotto i piedi. Le stelle, fredde, distanti e nitide… ma da vicino, rammentò a se stessa, erano intricate aggregazioni frutto di violente collisioni.

— Voglio che il resto della squadra sia messo al corrente, Chad. Comunque hai fatto bene a dirlo prima a me e a distruggere le simulazioni. — Il Rifugio aveva i propri giovani pirati informatici. Di solito, Jennifer ne era contenta. Rappresentavano la successiva generazione di scienziati informatici e, quanto più ingegnosa era la loro tecnica, tanto meglio. Ma non quella volta. — Dobbiamo studiare un nuovo programma di diffusione. Molto più rapido.

— I peruviani saranno in grado di accelerare la produzione del macchinario?

— Non so. È quella la vera difficoltà. — Strukov, Jennifer ne era sicura, poteva gestire qualsiasi modifica di piani, per quanto lo riguardava. — Ci farò lavorare Robert e Khalid.

— Benissimo — commentò Chad. Jennifer si accorse che l’uomo si era calmato. La calma di lei lo aveva contagiato, proprio come era tenuta a fare.

Chad le tenne aperta la porta della sala conferenze ma Jennifer scosse la testa. — Resterò qui per qualche tempo.

Chad annuì e chiuse la porta.

Jennifer lanciò un’occhiata al pannello bordato sul pavimento. La Terra stava apparendo alla vista. Nuvole sull’Oceano Pacifico. Così bello, così traditore, così moralmente malato. Ma così bello.

Venne colta dall’improvviso desiderio di vedere nuovamente la tomba di Tony Indivino, sui monti Allegheny dello stato di New York. Tony Indivino che lei aveva amato da giovane e che da allora non aveva amato più. Tony, ucciso dai Dormienti, ma non prima di avere concepito l’idea del Rifugio, il porto sicuro per tutti loro.

Jennifer annullò il pensiero. Tony era morto. Ciò che era morto non esisteva più: a quello che non esisteva più non doveva essere concesso controllare i viventi, nemmeno per un momento. Consentirlo significava cadere in sentimenti sdolcinati e improduttivi.

Tony era morto. Nessuna persona morta era importante per Jennifer.

"Nessuno."

— Dovresti leggere i rapporti — disse Will. — Almeno una volta.

— No — rispose Jennifer. Si allontanò di più dal suo corpo, nel letto. — E ti avevo chiesto di non tirare più fuori l’argomento.

— So quello che mi avevi chiesto — rispose Will, pacato.

— Allora ti prego di rispettare la mia richiesta.

Will si sollevò su un gomito e la guardò. — Stai gestendo il progetto del neurofarmaco, Jennifer. Questo significa che dovresti essere al corrente di ogni fattore. Gli effetti dell’operazione a La Solana rappresentano un fattore. La squadra FBI-CIA ha determinato che la bomba proveniva dalle Montagne Rocciose, come ci aspettavamo. Stanno analizzando ogni molecola di materia, lassù. Quanto meno dovresti monitorare i rapporti che ho trafugato.

Jennifer scese dal letto. In un singolo fluido movimento si infilò una vestaglia austera e chiara. Lasciò la stanza.

— Jennifer! — la chiamò Will, e lei sentì la rabbia, quella disdicevole rabbia che indeboliva Will come membro del progetto, come alleato. Come uomo. — Jennifer, non puoi continuare a fingere che l’operazione a La Solana non sia accaduta!

Sì, era accaduta, pensò Jennifer, chiudendo la porta della camera da letto per escludere la voce di Will. Tempo passato. Era superato. Non c’era più alcun motivo per pensarci. Quello che era passato non era più reale, ormai, di quello che non era mai esistito. Non c’era alcuna differenza.

Il piccolo salotto, ogni abitazione personale al Rifugio era piccola… era buio. — Accendere luci — disse Jennifer. Non le piaceva troppo il buio. A volte le sembrava di scorgere una figura ai margini delle stanze buie, un corpo basso e tozzo con un ammasso di ispidi capelli scuri trattenuti da un nastro rosso. La figura non era reale, ovviamente. Non esisteva.

Di conseguenza, non era mai esistita.

18

Theresa stette molto male. Se fosse stata Cambiata, tuttavia, sarebbe stata ancora peggio. Jackson scoprì di non riuscire ad apprezzare l’ironia della cosa.

Theresa era stata esposta a 240 rad. Non appena Jackson era giunto trafelato dalla Kelvin-Castner al loro appartamento, gliene aveva assorbite il più possibile. Non l’aveva mandata in ospedale: le enclavi non avevano più ospedali degni di tale nome. Non erano necessari.

Jackson aveva ordinato la strumentazione di cui aveva bisogno tramite un canale di emergenza: era arrivato tutto all’appartamento insieme con lui. Theresa era in preda a un attacco isterico.

— Sst, Tessie, andrà tutto bene. Tieni duro, tesoro, va tutto bene, devi aiutarci per quanto puoi.

— Morte! — continuava a gridare Theresa. — Morte… morte… morte…

— No, non morirai. Sst, Tessie, calmati… — Ma non riuscì a tranquillizzarla.

— Dalle un sedativo — disse Vicki, faticando per trattenere le braccia di Theresa che mulinavano. — Jackson, è meglio.

Lui lo fece. A quel punto lui e Vicki si misero a lavorare sul corpo inerme di Theresa. Lui le pompò via il contenuto dello stomaco e inviò tubuli robotici specializzati per la pulizia lungo l’esofago e i bronchi, nel retto, nel naso e nelle orecchie, nella vagina e attraverso le retine. Lui e Vicki le sfregarono ogni centimetro di pelle con un composto chimico. Vicki tagliò i lunghi capelli chiari di Theresa e le rasò la peluria. In quel momento, Jackson lasciò la stanza. Si portò nel corridoio e picchiò i pugni contro la parete.

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