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— È rimasta ferma per due minuti, signora. Posso esserle di aiuto?

— Oh, sì — disse subito Theresa al fluttuante. — Ho bisogno… voglio noleggiare un aereo privato. Con un pilota. Per arrivare in Nuovo Messico.

— Il nostro servizio noleggio di aerei charter può essere contattato da qualsiasi terminale per la clientela, signora. Se posso aiutarla per qualcos’altro…

— Ma non so come si fa!

— Mi scusi, signora, ma devo attivare un programma di autodiagnosi. — La robocamera ronzò dolcemente. — La mia programmazione non mostra alcun errore nel funzionamento sensoriale. Lei è un adulto modificato geneticamente?

— Sì. Io… io sono adulta. Ma non so comunque come usare un terminale per la clientela. — Riuscì a sentire il rossore che le infiammava il volto.

— Vuole che le proponga una dimostrazione del sistema?

— Oh, sì, grazie.

La robocamera la condusse a una fila di terminali. Theresa fu in grado di riconoscere un analizzatore di retina. Si avvicinò docilmente contro lo schermo finché una voce profonda e gradevole le disse: — Benvenuta all’aeroporto di Manhattan Est, signorina Aranow. Numero di volo desiderato?

La robocamera chiese: — Servizio noleggio aerei, per favore.

— Certo — rispose il sistema.

Sul terminale apparve una fila di scritte. Theresa si sentì arrossire di nuovo: leggeva lentamente. La robocamera domandò ancora: — Dove desidera andare, signorina Aranow? E quando desidera partire?

— In Nuovo Messico. Vicino a Taos. E voglio partire subito. Con… con un… — Come si faceva a chiedere un pilota che non incutesse troppa paura? Theresa indietreggiò di un passo.

— Il terzo requisito di volo non è stato compreso. Ripetere prego — invitò il terminale per la clientela.

— Volare con qualcuno di sicuro!

— Tre piloti con patente di sicurezza tripla-A sono disponibili nei prossimi trenta minuti per voli interni. Si applica tariffa d’urgenza. Le mostriamo i curriculum di volo. Desidera mettersi in comunicazione verbale con uno dei tre?

I curriculum di volo consistevano in altre scritte dai caratteri piccolissimi. Però c’erano anche le foto: tre volti attraenti, modificati geneticamente. Ma, chissà perché, non sembravano Muli. No, ovviamente non potevano esserlo, quelli erano tecnici. — Quella. La donna. Una comunicazione verbale, sì.

Il pilota apparve subito in linea. Sembrava sulla trentina, un volto forte, senza trucco, tutta la sua bellezza nei tratti decisi e austeri. Anche la sua voce era ferma e austera. — Signorina Aranow? Desidera un pilota per un volo immediato nel Nuovo Messico?

— Sì. No. Io… non so.

L’immagine del pilota si sporse in avanti, esaminando l’immagine di Theresa. — Lei non lo sa?

— No. Sì, voglio dire, lo so. Non devo andare, non ho bisogno di un pilota. È stato un errore. — Si allontanò dal terminale indietreggiando. La voce forte e calma la fermò.

— Signorina Aranow, il fluttuante che si trova accanto a lei la condurrà direttamente al mio aereo. Possiamo decollare subito. Se non si sente bene, le invierò un robot-accompagnatore.

— No, io… sto bene. Arrivo.

Fissò lo sguardo sul fluttuante, costringendosi a guardare quello e niente altro. Soltanto una palla grigia, non faceva paura, doveva solo seguirla senza pensare, come avrebbe fatto Cazie.

No, Cazie non l’avrebbe fatto. Cazie sarebbe volata per conto suo fino al Nuovo Messico.

Benissimo, basta Cazie, non poteva essere Cazie, ma aveva bisogno di essere qualcun altro perché lei, Theresa, non sarebbe riuscita a fare tutto da sola, si sentiva già scivolare nel panico. Chi poteva essere? Conosceva a mala pena altre persone oltre Leisha e Cazie.

E Jackson. "Prendi un neurofarmaco, Tessie." Benissimo, era Theresa sotto l’effetto di un neurofarmaco. Era una persona chimicamente calma, una persona che credeva che il mondo avesse un senso.

— Salve, signorina Aranow. Io sono il pilota di prima classe Jane Martha Olivetti.

Theresa era già arrivata. L’aereo le si profilava di fianco, anche se lei non ricordava di avere preso la carrozza magnetica dell’aeroporto da Manhattan Est o di avere attraversato il campo di volo. Solo in quel momento si accorse che quello non era protetto o, quanto meno, lo era soltanto parzialmente: quel clima era autentico. Un freddo vento di aprile. Rabbrividì mentre saliva sull’aereo del pilota Olivetti.

— Ci sono cerotti tranquillanti nella scatola verde in quella reticella — disse il pilota con voce calma. — Endorbacio nella rossa, HalluFun nella gialla, DormiBen nella marrone.

Theresa guardò con struggimento la scatoletta marrone. Tuttavia la maggior parte dei cerotti, le aveva detto Jackson, erano preparati per corpi Cambiati. L’aveva ammonita a non usare mai niente che non fosse adattato alla sua chimica nonCambiata.

— No, grazie. Soltanto… soltanto una coperta. — Stava tremando anche se l’aereo era riscaldato.

Da qualche parte, sopra le colline ancora ricoperte di neve, Theresa si addormentò naturalmente. Si svegliò quando il pilota le disse: — Signorina Aranow, ci troviamo a Taos. Vuole atterrare qui o in un campo di atterraggio privato?

— Lei sa dove si trova il campo di atterraggio per… per La Solana? Dove viveva un tempo Leisha Camden?

Il pilota Olivetti si voltò sul sedile e fissò Theresa. — Ovvio. Molti turisti e reporter ci andavano in continuazione. E poi, persone che vogliono parlare con Richard Sharifi perché invii dei messaggi a sua figlia. Ma non le servirà a nulla andare lì: Richard Sharifi non esce mai. Al massimo otterrà il solito messaggio registrato.

Theresa chiuse gli occhi. Cosa si era messa in testa? Era logico che non fosse la prima a cercare di contattare Miranda tramite La Solana. Ci aveva già provato tutto il mondo: politici, persone importanti e via dicendo. Se Richard Sharifi non aveva parlato con loro, perché doveva farlo con Theresa Aranow? Era proprio pazza.

Cosa avrebbe fatto Cazie?

— Ormai siamo qui — disse al pilota. — Vada a La Solana.

Il pilota scrollò le spalle e diede le coordinate all’aereo.

Theresa vide la tenuta ben prima che la raggiungessero. Un pallido semi-ovoide azzurro che brillava nel deserto, privo di tratti caratteristici e perfetto come un uovo di pettirosso. Terry Mwakambe, il più dotato dei fisici applicativi di Miranda Sharifi, aveva programmato quello scudo per Leisha. Non c’era nulla di simile da alcuna altra parte della Terra, se non all’isola abbandonata di Huevos Verdes, dove Miranda aveva creato le siringhe del Cambiamento.

Lo scudo non era di energia-Y, ma di qualcos’altro. Theresa non sapeva di cosa si trattasse. Si estendeva sotto terra come nell’aria. Nulla che avesse un contenuto di DNA non registrato nelle banche dati della sicurezza poteva attraversare la cupola azzurra: niente uccelli, niente vermi, niente microbi. Né ci passava nulla che non fosse accompagnato da un DNA che "fosse" registrato nelle banche dati: niente missili, robot o rocce. Lo scudo teneva fuori anche tutte le radiazioni, a parte qualcuna: nulla se non un’arma nucleare poteva distruggere quello scudo.

Theresa si incamminò dall’aereo verso l’uovo di pettirosso semisepolto. Il sole del deserto le colpì il capo scoperto. Un debole vento agitava l’incredibile ammasso di oggetti accumulati contro lo scintillante azzurro. Pile di olocassette. Una bambola. Una bandiera americana a brandelli. Fiori di plastica, fazzoletti insanguinati, il cranio sbiancato dal sole di un animale, strumenti da scasso contorti e piegati. E una piccola bara sigillata. Theresa sentì lo stomaco rivoltarsi. Era soltanto simbolica o la cassa conteneva il corpo di un bambino nonCambiato, morto di una malattia che poteva essere curata da altre siringhe del Cambiamento?

Una sezione della parete azzurra scintillava: era uno schermo enorme, un quadrato di tre metri. Mostrava l’immagine di un uomo sulla quarantina ma che Theresa sapeva avere settantasette anni. Gli occhi scuri sopra la folta barba nera apparivano stanchi.

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