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La suora la osservò attentamente. — Pochissime persone appartengono effettivamente a quest’ordine, signorina Aranow.

— Io sì — disse Theresa, e le sembrò di non avere mai parlato con una tale sicurezza in vita sua. Era passato, allora: l’incertezza, la sensazione di essersi persa, la terribile paura. Soprattutto la paura. Dell’estraneo, dell’alieno, del diverso. Passato. Era a casa.

Sorella Anne sorrise: per Theresa, quel sorriso si fuse con la maestà della musica, divenne la musica.

— Penso che sia così. Vuole sottoporsi adesso ai test del sangue e cerebrospinali preliminari?

Theresa ricambiò il sorriso. — Test?

— Da usare come base eventuale per i neurofarmaci studiati appositamente per lei.

— I miei… cosa?

— Creiamo una miscela personale per ogni postulante, ovviamente. Il nostro laboratorio, che condividiamo con i Gesuiti di Sarnac Lake, è uno dei migliori al mondo. Il prodotto per lei eguaglierà qualsiasi cosa disponibile a Boston, Copenaghen o Brasilia, per ogni finalità.

Theresa disse, legnosa: — Io non prendo neurofarmaci.

— Certo non ne ha mai presi come questi. Per questo scopo, con questo risultato. Non ancora.

— Non ne prendo affatto. — Si sentì sopraffare dalle vertigini che soffocarono anche la musica. Allungò le mani alla ricerca dello schienale della sedia.

— Capisco — rispose Sorella Anne. — Proprio come è nonCambiata. Ma Theresa, questa non è la stessa cosa. I neurofarmaci presi per la grande gloria di Dio… Che cosa aveva capito quando le ho detto che noi mettiamo da parte l’egotismo della percezione? Quella è una funzione cortico-talamica.

— Non so che cosa avevo capito — bofonchiò Theresa. Le vertigini si fecero più intense. Si aggrappò allo schienale della sedia.

— I nostri neurofarmaci modificano le attività nel tratto mammillotalamico, nelle aree di associazione corticali e nel nucleo dorsomediano, niente di diverso dalla modificazione biochimica ottenuta con preghiere frenetiche o digiuni in altre epoche. Non facciamo altro che abbattere le barriere neurali per ottenere livelli potenziati di attenzione, percezione e integrazione di svariati stati consci. Per meglio conoscere e glorificare Dio.

— Adesso devo andare — boccheggiò Theresa. La stanza turbinava e le si chiuse la gola. Non riusciva a respirare. Non c’era aria…

— Ma, figliola mia…

— Io devo… andare! Mi… dispiace!

Arrancò attraverso la porta aperta della stanza. I vespri le si innalzavano attorno, più forti, mentre lei barcollava alla cieca lungo il corridoio: gloriosi, ferventi, struggenti. Theresa si gettò contro la porta del convento: non si voleva aprire. Non poteva darle un ordine vocale di apertura. Ansimando, picchiò contro il legno, finché qualcuno che lei non riuscì a vedere attraverso quella turbinante confusione, qualcuno alle sue spalle, le aprì il battente e lei cadde dall’altra parte.

La porta si richiuse, interrompendo la musica.

Quando fu nuovamente in grado di respirare, Theresa restò a lungo seduta nell’aeromobile. Decollò, quindi, dirigendosi a sud.

La prima tribù in cui si imbatté aveva trovato alloggio per l’inverno nei resti di un paese di Vivi pre-Guerre del Cambiamento. I tre edifici integri mostravano i tipici colori graditi ai Vivi: fucsia, menta e rosso acceso. Dietro l’edificio rosso si estendeva un’immensa tela di plastica pesante sopra il terreno consumato: un’area di alimentazione. Oltre, giaceva una pila di macchinari rotti, scooter, robot e quelle che sembravano tubature per l’acqua. Le persone, rese piccole e non minacciose dall’altitudine dell’aeromobile, smisero di muoversi e sollevarono gli sguardi, schermandosi gli occhi con le mani contro il freddo sole invernale. Theresa non riuscì a vedere i loro volti.

Non cercò di scendere da loro e nemmeno di ridurre l’altitudine. Abbassò piuttosto il vetro elettrico e fece cadere giù il pacco con le siringhe del Cambiamento. Sedici, tutte quelle che Jackson aveva conservato nella cassetta di sicurezza di casa. Le siringhe erano avvolte in un tessuto per abiti a fiori, non consumabile. La tela poteva anche strapparsi nell’atterraggio ma nulla avrebbe potuto rompere le siringhe di Miranda Sharifi.

I Vivi corsero verso il pacco non appena raggiunse il suolo. Theresa non aspettò. Volò a sud, verso Manhattan Est, sapendo di essere un’ipocrita. Non credeva che le siringhe del Cambiamento fossero un bene per la gente, ma le dava ai Vivi per i loro bambini. Non credeva che i neurofarmaci fossero la via verso il significato, ma le Sorelle del Cielo Misericordioso consideravano significative le loro vite mentre lei, Theresa, sentiva che la propria vita era una merda. Credeva che il dolore fosse un dono, una pietra miliare verso l’anima, ma si lasciava nutrire dai robot, coccolare da Jackson e proteggere da un sistema di sicurezza ad armi biochimiche, per non provare troppo dolore.

E, per tutto il tempo, Cazie aveva viaggiato con lei sul sedile anteriore dell’aeromobile, sprezzante, preoccupata, impaziente, amorevole e pericolosa dicendo: "ironia, Tessie. Non perdere l’ironia".

"Non ne ho mai avuta da perdere" pensò Tess e schermò i finestrini dell’aeromobile per non essere costretta a vedere fuori. Per poter tenere la testa fra le mani e chiedersi che cosa, sempre che qualcosa ci fosse, potesse ancora tentare di fare.

— Cosa hai fatto? — chiese Jackson. Parlava molto lentamente, come se le parole fossero scivolose e lui dovesse tenerle saldamente sotto controllo.

— Le ho date a una tribù di Vivi — rispose Theresa.

— Hai dato il resto delle mie siringhe del Cambiamento a una tribù di Vivi? Quale tribù?

— Non lo so. Una a caso.

— Dove?

— Non ricordo.

Jackson allacciò strette le dita delle mani. — "Perché?"

— Perché ne hanno bisogno, altrimenti i loro bambini si ammaleranno e moriranno.

— Ma, Tessie, anch’io ne avevo bisogno. Per bambini nati ai miei pazienti. Sapevi che erano le ultime siringhe che avevo?

— Sì — sussurrò lei. Non aveva mai visto suo fratello così. Così tranquillo. No, non era giusto: Jackson era sempre tranquillo. Ma non in quel modo.

— Theresa, io ho bisogno dei miei strumenti di lavoro per aiutare le persone. Ho bisogno di siringhe. Miranda Sharifi non ne fornisce più, lo sai. Ogni medico nel paese sta finendo le siringhe del Cambiamento e non può ottenerne altre. Come farò ad aiutare i miei pazienti neonati senza le siringhe?

— Puoi farlo con la medicina, Jackson. — Aveva avuto il tempo per pensare a quella risposta: si sentiva più calma di quando era arrivata a casa. Un po’ più calma. — Le persone nella nostra enclave hanno te. Quei bambini Vivi là fuori non hanno niente. E io volevo… — Si interruppe.

Jackson parlò con voce strozzata: — Tu volevi dare loro qualcosa.

— Ho bisogno di dare qualcosa a "qualcuno"! — gridò Theresa.

Jackson si voltò verso la finestra. Le voltò la schiena, guardando il parco. Theresa fece un passo verso di lui, quindi si fermò. — Non capisci, Jackson?

— Capisco — rispose lui, cosa che la fece sentire un po’ meglio anche se lui non si voltò.

— E puoi anche aiutare le persone della nostra enclave — disse Theresa. — Le puoi aiutare con quello che hai imparato a scuola. Dopo tutto sei un medico, no?

Quella volta, però, Jackson non le rispose.

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