— G-g-guarda qui — disse Tony. Miri non rispose per quarantacinque secondi, il che significava che si trovava a un punto cruciale nella costruzione di una stringa-pensiero, e la stringa che le parole di Tony aveva avviato si annodava solamente alla periferia. Tony aspettò allegramente. Era generalmente allegro, e Miri riusciva solo raramente a individuare stringhe nere fra gli edifici di pensiero che il fratello tracciava per lei sul suo olovisore. Era il progetto del ragazzino: creare una mappa degli schemi di pensiero dei Super, Aveva iniziato con una frase: "Nessun adulto può arrogarsi automaticamente qualche diritto sulla produzione di altri: la debolezza non costituisce un diritto morale rispetto alla forza". Tony aveva passato settimane a trarre, da dodici Super, ogni stringa e stringa incrociata evocata da quella frase, inserendo Ognuna di esse in un programma che aveva elaborato personalmente.
Era stato un lavoro lento. Jonathan Markowitz e Ludie Calvin, i più giovani Super nell’esperimento, avevano perso la pazienza a causa della lentezza balbettante e opaca delle parole pronunciate, ed erano scappati per ben due volte dalle tartassanti sedute con Tony. Le stringhe di Mark Meyer erano state talmente bizzarre che il programma si era rifiutato di riconoscerle come valide finché Tony non aveva riscritto determinate sezioni della codifica. Nikos Demetrios aveva mostrato stringhe chiare e aveva cooperato con entusiasmo, ma nel bel mezzo dell’interrogatorio aveva preso freddo, era stato in isolamento per tre giorni ed era tornato indietro con stringhe talmente diverse dalle precedenti, per le stesse frasi, che Tony aveva gettato tutti i dati relativi a lui a causa di una contaminazione da riorganizzazione artistica.
Tuttavia aveva insistito, restando seduto all’oloterminale davanti a quello di Miri perfino più a lungo di quanto non facesse lei, agitandosi e balbettando. In quel momento, le stava sorridendo. — V-v-vieni a v-v-vedere!
Miri girò attorno alla doppia scrivania, giungendo al fianco di Tony. Lo schermo tridimensionale dell’oloterminale era stato oscurato dalla parte che dava verso di lei. Quando finalmente riuscì a vedere i risultati preliminari, Miri restò a bocca aperta dalla contentezza.
Era un modello delle sue stringhe per la frase campione di Tony, ogni concetto rappresentato da un piccolo grafico per i termini concreti, da parole per gli astratti. Linee rilucenti in vari colori tracciavano riferimenti incrociati di primo, secondo e terzo livello. Lei non aveva mai visto una rappresentazione altrettanto completa di ciò che le accadeva nella mente. — È b-b-bellissimo!
— Le t-t-tue sono c-c-c-compatte — disse Tony. — E-eleganti.
— C-c-conosco quella s-s-struttura! — Miri si rivolse allo schermo biblioteca. — A-a-accendere t-terminale. Aprire b-b-biblioteca. B-b-banca terrestre. C-c-cattedrale di C-Chartres, F-f-francia, r-r-rosone. Mostrare i-i-immagine.
Lo schermo baluginò dell’intricato disegno della vetrata del Tredicesimo secolo. Tony lo esaminò con l’occhio critico di un matematico. — N-n-no… n-n-non proprio u-u-uguale.
— Ma lo s-s-s-sento così — disse Miri, e la vecchia frustrazione la assalì, producendo zoppicanti stringhe a spirale nella sua mente: c’era qualche collegamento essenziale fra il rosone e il modello su computer di Tony che non era ovvio, ma era lì, in qualche modo, ed era di una tremenda importanza nascosta. Il suo pensiero però non riusciva a esprimerlo. Mancava qualcosa nelle sue stringhe di pensiero, era sempre mancato.
Tony disse: — G-g-guarda J-j-jonathan. — Il modello del pensiero di Miri svanì e apparve quello di Jonathan. Miri restò nuovamente a bocca spalancata. — Ma c-c-come fa a p-p-p-pensare in q-q-questo modo!
A differenza di quello di Miri, il modello di Jonathan non aveva una forma simmetrica e sembrava un’ameba irregolare, con stringhe che sfrecciavano in tutte le direzioni, esaurendosi oppure tornando improvvisamente indietro da bizzarre connessioni che Miri non riuscì a comprendere subito. Come faceva la battaglia di Gettysburg a collegarsi con la costante di Hubble? Presumibilmente Jonathan lo sapeva.
Tony disse: — Q-q-questi sono gli u-u-unici due che ho s-s-sviluppato f-f-finora. Il m-m-mio sarà il p-p-p-prossimo. Poi il p-programma li so-sovrapporrà e c-c-cercherà dei p-p-principi di c-c-comunicazione. Un g-g-giorno, M-miri, oltre alla in-incoraggiante scienza della c-c-comunicazione, p-p-potremo usare i t-t-terminali per parlare a v-v-vicenda s-senza questo f-fottuto 1-linguaggio m-monodimensionale!
Miri lo guardò con amore: quello era un lavoro che offriva un vero contributo alla comunità. Be’, forse un giorno lo sarebbe stato anche il suo. Stava lavorando a neurotrasmettitori sintetici per i centri della parola nel cervello. Sperava un giorno di riuscirne a creare uno che, a differenza di quelli trovati fino a quel momento dagli scienziati, non producesse effetti collaterali, inibendo la balbuzie. Allungò una mano e accarezzò la grossa testa di Tony che ballonzolava e tremava sul collo largo.
Joan Lucas piombò nel loro laboratorio senza bussare. — Miri! Tony! Il campo giochi è aperto!
Miri licenziò immediatamente i neurotrasmettitori e la scienza della comunicazione. Il campo giochi era aperto! Tutti i bambini, Normali e Super, avevano aspettato quel momento per settimane. Lei afferrò Tony per la mano e si mise a caracollare dietro Joan. All’esterno Joan, con le sue gambe lunghe e agili, la distanziò facilmente, ma nessun bambino al Rifugio aveva bisogno di indicazioni per arrivare al nuovo campo giochi. Bastava soltanto alzare lo sguardo.
Nel nucleo del mondo cilindrico, ancorato con resistenti cavi sottili, il pallone di plastica gonfiato fluttuava sull’asse della stazione orbitale. La gravità, lì, era così scarsa da tendere alla caduta libera, quanto meno per i bambini. Miri e Tony si stiparono nell’ascensore che li portò in alto, infilarono guanti e pianelle di velcro e si misero a strillare deliziati quando vennero catapultati dentro la bolla immensa. L’interno era attraversato da montanti in plastica rosa traslucida, tutti fortemente elastici, dotati di nicchie opache per potervisi nascondere, con sacche e tunnel che terminavano a mezz’aria. Tutto era punteggiato da maniglie gonfiate e morbide e da strisce di velcro. Miri si lanciò a capofitto nell’aria, volò attraverso una stanza di plastica e si tuffò all’indietro, andando a sbattere contro Joan. Tutt’e due le ragazzine scoppiarono a ridere e fluttuarono lentamente verso il basso, tenendosi strette a vicenda e strillando quando Tony e un bambino che non conoscevano presero a sfrecciare sopra le loro teste.
Le stringhe di Miri si incresparono nella sua mente con teorie del caos, immagini mitiche, angeli, flitter, Icaro, la relazione di accelerazione, Orville Whrigt, astronauti mercuriani, mammiferi palmati, la velocita di fuga e le relazioni muscoli-forza-peso. Con estremo piacere.
— Vieni qui dentro — le gridò Joan al di sopra degli strilli. — Ho un segreto da confidarti! — Afferrò Miri, la cacciò in una nicchia trasparente sospesa e si stipò insieme con lei. All’interno c’era un po’ meno rumore.
Joan disse: — Miri, pensa: la mia mamma è incinta!
— M-m-magnifico! — esclamò Miri. Gli ovuli della madre di Joan erano di tipo r-14, difficili da penetrare perfino in vitro. Joan aveva tredici anni: Miri sapeva che aveva desiderato una sorellina o un fratellino con la stessa tenacia con cui Tony desiderava una Litov-Hall auto-am. — Sono c-c-così f-f-felice!
Joan la abbracciò. — Sei la mia migliore amica, Miri! — Repentinamente, si lanciò fuori dalla nicchia, — Prendimi!
Miri non ci sarebbe mai riuscita, ovviamente. Era troppo goffa, al confronto con l’agilità da normale di Joan, ma non importava. Si scaraventò dietro l’amichetta, strillando con gli altri semplicemente per il gusto di fare rumore, mentre sotto di lei il mondo continuava a ruotare in uno schema di idrocampi, cupole e parchi belli quanto stringhe.