La signora Patterson aveva detto con un buffo tono di voce: — E questa è un’analogia ragionevole. La meteora ha una relazione definibile con stazione orbitale: una naturale e inumana, l’altra costruita e umana.
Miri non era certa di cosa volessero dire tutte le parole pronunciate dalla signora Patterson. Non stava andando bene. La signora Patterson appariva spaventata e Joan completamente persa. Lei comunque si era tuffata avanti. — P-p-poi per "b-b-bambino", la p-p-prima s-s-stringa p-p-porta a "p-p-piccolo". Questo p-p-porta a "p-p-p-proteggere" come f-f-faccio io con T-tony p-p-perché lui è più p-p-p-piccolo di m-me e p-p-potrebbe farsi m-m-male se si ar-r-arrampica t-t-troppo in alto. Poi la p-p-piccola s-s-stringa p-p-porta a "c-c-comunità" p-p-perché la c-c-comunità p-p-protegge le p-p-persone, e la q-q-quarta p-p-piccola s-s-stringa d-deve p-p-portare a "p-p-persone" perché le c-c-comunità sono p-p-persone e p-p-perché era al c-c-contrario sotto "p-p-lastica" e g-g-ran parte del n-n-nostro o-o-orbitale è fatto di p-p-p-plastica.
La signora Patterson aveva ancora il buffo tono di voce. — Così alla fine di tre serie di quattro stringhe, Joan non cambiare la videata sul terminale proprio adesso, alla fine di queste tue stringhe il problema dice "meteora sta a orbitale come persone a X" e tu hai inserito "Dio".
— S-sì — aveva detto Miri, più contenta: la signora Patterson capiva! — P-p-perché un orbitale è una c-c-comunità i-i-inventata, mentre una m-m-meteora è s-s-solo r-r-roccia nuda e D-d-dio è una c-c-comunità di m-m-menti o-o-organizzate mentre le p-p-persone da sole s-s-sono, una per una, n-n-nude.
La signora Patterson l’aveva portata dalla nonna. Miri aveva dovuto spiegare l’intera cosa da capo, ma quella volta era stato più semplice, perché la nonna aveva tracciato un disegno mentre Miri parlava. Miri si era chiesta come avesse fatto a non pensarci da sola. Il disegno le permetteva di inserire tutte le connessioni incrociate ed era molto più chiaro, anche se alcune delle linee che tracciava erano tremolanti perché la penna luminosa che aveva in pugno non andava diritta come il quadro che lei aveva nella mente.
Quando era arrivata al termine, il disegno le era sembrato davvero semplicissimo. Ma, in fondo, era semplice, solo una piccola serie di stringhe per esercitarsi nella lettura:
In seguito, la nonna era rimasta in silenzio per lungo tempo.
— Miri, tu pensi sempre in questo modo? In stringhe che creano schemi?
— S-s-sì — aveva risposto Miri sbalordita. — Tt-tu nn-no?
La nonna non aveva commentato. — Perché hai voluto inserire sul terminale l’analogia esistente quattro piccole stringhe più in basso?
— V-v-vuoi dire i-i-i-invece di o-o-otto o-o-oppure d-d-dieci s-s-stringhe più in b-b-basso? — aveva chiesto Miri, e gli occhi della nonna si erano spalancati moltissimo.
— Invece di… di nessuna stringa sotto. Quella che il terminale chiedeva. Non sapevi che era ciò che voleva?
— S-s-sì. M-ma… — Miri si era dimenata sulla sedia. — Io m-m-mi a-a-annoio con le s-s-stringhe di t-t-testa. A v-v-volte.
— Oh — aveva fatto la nonna. Dopo un ulteriore lungo silenzio, aveva aggiunto: — Dove hai sentito dire che Dio è una comunità di menti organizzate?
— S-s-sulla olovisione. La s-s-stava g-g-guardando la m-m-mamma quando ero a c-c-casa in v-v-visita.
— Capisco. — La nonna si era alzata in piedi. — Tu sei molto speciale, Miri.
— Anche T-t-t-tony. E N-n-nikos e C-c-christina e Al-Al-Allen e S-sara. Nonna, il nuovo b-b-b-ambino che v-v-vuole a-a-avere la M-m-mamma sarà s-s-speciale anche lui q-q-quando n-n-nascerà?
— Sì.
— S-s-si d-d-d-imenerà c-come n-n-noi? E b-b-balbetterà? E m-m-m-angerà t-t-tanto?
— Sì.
— E p-p-p-penserà in s-s-stringhe?
— Sì — aveva detto la nonna, e Miri ricordò sempre l’espressione sul suo viso.
Non ci furono più trasmissioni olovisive dalla Terra. Non le aveva mai viste all’asilo nido, solo nella cupola della mamma e del papà, ma adesso Miri non le vide più nemmeno lì. — Quando sarai più grande — aveva detto la nonna. — Ci sono idee da mendicanti che dovrai affrontare anche troppo presto, ma non ancora. Prima impara quello che è giusto.
Era la nonna, o a volte il nonno Will, che decideva che cosa fosse giusto. Il papà era via frequentemente per affari. La mamma invece era spesso presente, ma a volte Miri aveva l’impressione che non desiderasse esserci. Distoglieva lo sguardo da Miri e da Tony quando loro entravano in una stanza,
— È p-p-perché ci d-d-dimeniamo e b-b-balbettiamo — aveva detto lei a Tony. — Alla m-m-m-mamma non p-p-piacciamo,
Tony aveva cominciato a piangere. Miri lo aveva abbracciato e si era messa a piangere anche lei, ma non aveva ritirato le parole dette. Erano vere: la mamma era troppo bella perché potesse piacerle chiunque si dimenasse, balbettasse e sbavasse, e la verità era la cosa più importante per una comunità. — Sono i-i-io la t-t-tua c-c-comunità — aveva detto a Tony, e si era trattato di una frase interessante perché era contemporaneamente vera e di limitata veridicità, con sottostringhe e connessioni incrociate che si allungavano per sedici ulteriori stringhe, formando uno schema che si avvicinava a quello che aveva imparato in matematica, astronomia e biologia: un magnifico schema complesso e bilanciato come la struttura molecolare di un cristallo. Lo schema valeva quasi le lacrime di Tony. Quasi.
Diventando più grande, tuttavia. Miri cominciò ad avvertire che mancava qualcosa nei suoi schemi. Non riusciva a stabilire di cosa si trattasse. Ne aveva tracciati parecchi per il dottor Toliveri e per la nonna, finché non si erano fatti talmente complicati che lei si era accorta di tralasciare sempre qualcosa. Inoltre, ogni volta che disegnava uno schema a stringhe, il pensare e il disegnare producevano altri schemi, ognuno con stringhe a livelli multipli e riferimenti incrociati propri, e non c’era modo di disegnare anche quelli perché, se lei lo avesse fatto, il disegnarli ne avrebbe generati altri. Disegnare e spiegare non riuscivano mai a stare al passo con il pensare, e Miri divenne impaziente nei suoi tentativi.
Comprese, all’età di otto anni, l’aspetto biologico di ciò che era stato fatto a lei e agli altri come lei. Venivano chiamati Superinsonni. Comprese, anche, che non bisognava mai permettere che qualcosa interferisse con le due verità su cui era stato costruito il Rifugio: produttività e comunità. Essere produttivi significava essere completamente umani. Condividere la propria produttività con la comunità in modo leale significava creare forza e protezione per tutti. Chiunque avesse cercato di violare una qualsiasi delle due verità, estorcendo i benefici alla comunità senza contribuirvi produttivamente a propria volta, era un essere osceno, un mendicante disumano. Miri inorridì al pensiero. Nessuno poteva essere così moralmente repellente. La Terra sì che era piena di quelli che la nonna chiamava mendicanti di Spagna, alcuni dei quali erano perfino Insonni, ma il Rifugio mai.
Le alterazioni del suo sistema nervoso, di quello di Tony, di Christina, di Allen, di Mark e di Joanna dovevano renderla più produttiva, più utile alla comunità e a se stessa, più intelligente di quanto gli umani non fossero mai stati prima. Quello era stato insegnato a tutti loro, perfino ai non Super e, alla fine, tutti lo avevano accettato. Joan e Miri giocavano insieme, ormai, ogni giorno. Miri si sentiva piena di gratitudine.
Per quanto però lei amasse Joan, per quanto ammirasse i lunghi riccioli bruni di Joan, la sua abilità nel suonare la chitarra e la sua acuta dolce risata, Miri sapeva che era con quelli della sua specie, con gli altri Super, che provava maggiormente il senso di comunità. Cercò di nasconderlo: era sbagliato. Non celò, ovviamente, quel sentimento con Tony, che era suo fratello e che un giorno, insieme con lei e il piccolo Ali, che alla fine non era poi nato Super, nonostante quanto aveva detto la nonna si sarebbe andato ad aggiungere al blocco di votanti Sharifi, che controllava il cinquantuno per cento delle azioni del Rifugio, oltre alle holding finanziarie di famiglia. Erano quelle le cose che garantivano loro di non essere mendicanti.