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Nel ricordo delle stelle, sua nonna la teneva in braccio davanti a una lunga vetrata curva e, al di là della vetrata, c’era il nero punteggiato di luci fisse: luci scintillanti, meravigliose e, mentre Miri guardava, una di esse era sfrecciata davanti a loro. — Una meteora — aveva detto la nonna, e Miri aveva allungato le braccia per toccare le magnifiche stelle. La nonna si era messa a ridere. — Sono troppo lontane per la tua mano. Ma non per la tua mente. Ricordalo sempre, Miranda.

Lo aveva fatto. Ricordava sempre tutto: ogni singola cosa le accadesse. Non poteva però essere vero, perché non ricordava un periodo di tempo senza Tony; la mamma e il papà le avevano detto che c’era stato un intero anno senza di lui, prima che nascesse da loro esattamente nello stesso modo in cui era nata lei. Doveva esistere, quindi, almeno un anno che lei non ricordava.

Ricordava di quando erano arrivati Nikos e Christina, Demetrios e, subito dopo i gemelli, erano giunti Allen Sheffield e poi Sara Cerelli. Erano in sei che si agitavano nell’asilo nido, sotto lo sguardo vigile della signora Patterson o della nonna Sheffield, tornavano alle proprie cupole in visita dai genitori e giocavano con gli elettrodi sulla testa per il dottor Toliveri e il dottor Clement. A tutti loro piaceva il dottor Toliveri che rideva spesso, e piaceva anche il dottor Clement che non rideva mai. A loro piaceva sempre tutto, perché era tutto molto interessante.

Il loro asilo nido si trovava nella stessa cupola di un altro, e per una parte di ogni "giorno" (Miri non era sicura di cosa significasse quella parola, eccetto che aveva qualcosa a che fare con il contare, e a lei piaceva contare) la plasti-parete fra di essi veniva aperta. I bambini dell’altro asilo nido sfrecciavano in quello di Miri o viceversa, e Miri si rotolava per terra con Joan, si azzuffava per i giocattoli con Robbie oppure metteva dei blocchi in pila l’uno sull’altro insieme con Kendall.

Ricordava il primo giorno in cui ciò era terminato.

Tutto aveva avuto inizio con Joan Lucas, che era più grande di Miri e aveva riccioli castano chiaro che scintillavano come stelle. Joan le aveva detto: — Perché ti dimeni in continuazione così?

— Io n-n-non s-s-so — aveva risposto Miri. Ovviamente, aveva notato che lei, Tony e gli altri del proprio asilo nido si agitavano, mentre Joan e gli altri del suo non lo facevano. Joan non balbettava mai come succedeva invece a Miri, Tony, Christina e Allen. Miri, però, non ci aveva riflettuto. Infatti, Joan aveva i capelli castani, lei li aveva neri, Allen li aveva biondi. Il tremito, invece, si manifestava come il balbettio.

Joan aveva detto: — Hai la testa troppo grossa.

Miri l’aveva tastata. Non le sembrava più grossa del solito.

— Non voglio giocare con te — aveva deciso bruscamente Joan, e si era allontanata. Miri l’aveva fissata sbalordita. La signora Patterson era arrivata immediatamente. — Joan, c’è qualche problema?

Joan aveva smesso di camminare e aveva fissato la signora Patterson. Tutti i bambini conoscevano quel tono di voce. Il volto di Joan aveva assunto un’espressione abbattuta.

— Ti sei comportata da sciocca — aveva detto la signora Patterson. — Miri è un membro della tua comunità, del Rifugio. Adesso giocherai con lei.

— Sì, signora — aveva risposto Joan. Nessuno dei bambini era certo di cosa fosse una comunità ma, quando gli adulti pronunciavano quella parola, loro obbedivano. Joan aveva preso la bambola che lei e Miri avevano cercato di vestire per gioco, ma la sua espressione era rimasta corrucciata e, dopo qualche tempo, Miri non aveva avuto più alcuna voglia di giocare.

Lo ricordava.

Avevano lezione ogni "giorno", tre asili nido di bambini che imparavano insieme in una comunità. Miri ricordava chiaramente il momento in cui si era resa conto che un terminale non era solamente da guardare o da ascoltare: gli si potevano far fare delle cose. Gli si potevano far dire delle cose. Lei gli aveva chiesto che cosa fosse un "giorno", perché il soffitto si trovasse in alto, che cosa avesse mangiato Tony a colazione, quanti anni avesse il papà, quanti giorni mancassero al proprio compleanno. Quello sapeva sempre tutto: sapeva più della nonna, della mamma o del papà. Era molto saggio. Diceva anche di fare determinate cose e, se le si facevano correttamente, mostrava una faccia sorridente, se invece non vi si riusciva, bisognava provare un’altra volta.

Ricordava il primo giorno in cui aveva notato che a volte il terminale si sbagliava.

Era stato proprio a causa di Joan che Miri se n’era accorta. Stavano lavorando insieme a un terminale, cosa che ognuno doveva fare per una parte di ogni giorno (Miri ormai conosceva quella parola), perché erano una comunità. A Miri non piaceva lavorare con Joan: Joan era lentissima. Lasciata da sola, Joan poteva restare bloccata al secondo problema mentre Miri era già al decimo. A volte pensava che nemmeno a Joan piacesse lavorare con lei.

Il terminale aveva solo la modalità visiva: si stavano esercitando a leggere. Il problema era: "bambola: plastica bambino:?" Miri aveva detto: — T-t-tocca a m-m-me — e aveva digitato "Dio". Il terminale aveva mostrato un volto imbronciato.

— Non è giusto — aveva esclamato Joan con una certa soddisfazione.

— S-s-sì c-c-che lo è — aveva replicato Miri, preoccupata. — Il t-t-t-terminale è s-s-sbagliato.

— Immagino che tu sappia più del terminale!

— D-dio è g-g-giusto - aveva insistito Miri. — È q-q-quattro s-s-tringhe più in b-b-basso.

A dispetto di se stessa, Joan era apparsa interessata. — Che cosa vuoi dire con "quattro stringhe più in basso?" Non esistono stringhe in questo problema.

— N-n-n-on nel p-p-p-roblema — aveva spiegato Miri. Aveva cercato di pensare a come farlo capire: lei riusciva a vederlo nella mente, ma spiegarlo era più difficile. Specialmente a Joan. Prima che avesse potuto iniziare, era arrivata la signora Patterson.

— C’è qualche problema qui, bambine?

Joan aveva detto, senza cattiveria: — Miri ha dato una risposta sbagliata ma dice che è giusta.

La signora Patterson aveva guardato lo schermo. Si era inginocchiata accanto alle piccole. — Come fa a essere giusto, Miri?

Miri aveva tentato di spiegare. — È q-q-quattro p-p-piccole s-s-stringhe p-p-più in b-b-basso, s-s-signora P-Patterson. V-v-v-ede, una "B-bambola" è un "g-g-giocattolo"… la p-p-prima s-s-stringa va da b-b-bambola a g-g-giocattolo. Un g-g-giocattolo sta per "f-f-fingere" e una c-c-cosa che noi f-f-facciamo f-finta è che una s-s-stella c-c-cadente è una s-s-stella v-v-vera, così si p-p-può m-m-mettere "s-s-stella c-c-cadente" v-vicino n-nella p-p-p-prima s-s-stringa. Per far f-f-f-funzionare lo s-s-s-schema. — Dire così tante parole era un lavoro difficile: Miri desiderava non dover spiegare tanto. — P-p-oi, una s-s-tella c-c-cadente è in r-r-realtà una m-m-meteora e b-b-bisogna far r-r-ridiventare v-v-vera la s-s-stringa p-p-p-perché p-prima la si è resa f-f-finta e così la f-f-fine della p-p-p-rima s-s-stringa, q-q-quattro piccole s-s-stringhe s-s-sotto c’è "m-m-meteora".

La signora Patterson la stava fissando. — Vai avanti, Miri.

— P-poi per "P-p-plastica — aveva detto Miri, un po’ disperata — la p-p-prima stringa c-c-conduce a "i-i-inventato". D-d-d-deve, c-capisce, p-p-perché "G-g-giocattolo" p-portava a "f-f-fingere". — Aveva cercato di pensare a un modo per spiegare che il fatto che le piccole stringhe erano a un passo di distanza l’una dall’altra faceva parte dell’intero disegno, riecheggiato nell’inversione che lei avrebbe poi effettuato delle stesse parole fra le sotto-stringhe due e tre, ma era troppo difficile Era rimasta incastrata fra le stringhe stesse, non nel disegno complessivo, cosa che la turbava perché il disegno nel complesso era altrettanto importante. Le occorreva semplicemente troppo per spiegare nel suo linguaggio balbettante. — "I-i-inventato" p-porta a "p-p-persone", o-o-ovviamente, p-p-perché s-sono le p-p-persone a inventare le c-c-cose. La s-s-stringa p-p-persone p-p-porta a "c-c-comunità", m-m-molte p-p-persone, e quella s-s-stringa d-deve p-p-portare a "o-o-orbitale", p-p-perché allora le d-due s-s-stringhe al-l-lineate una di f-fianco all’al-al-altra f-f-fanno dire al p-p-problema "m-m-meteora: o-o-orbitale".

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