Gli dissero anche di andare d’accordo con Eric Bevington-Watrous, ma quello era più difficile della lettura. E fu proprio Eric il primo ad accorgersi del problema di Drew con il cibo. Era sveglio: erano tutti così fottutamente svegli.
— Hai problemi col cibo vero, eh? — lo stuzzicò Eric. — Sei abituato a quella roba di soia sintetica che usano i Vivi e il cibo vero ti rivolta le budella. Perché non lo ributti fuori qui davanti, piccolo verme privo di buone maniere?
— Hai qualche problema, tu? — disse Drew tranquillamente. Eric lo seguì presso l’enorme pioppo nero vicino al ruscello, un posto in cui Drew gradiva stare da solo: il ragazzino si alzò in piedi, teso, e cominciò a voltarsi lentamente per avere il corso d’acqua alle spalle.
— Sei tu il mio problema, verme — disse Eric. — Qui sei un parassita. Non contribuisci, non appartieni a questo posto, non sai leggere, non sai nemmeno mangiare. Non sei manco pulito. Perché non vai a farti una passeggiatina nell’oceano e lasci che le onde ti puliscano il culo!
Mentre Drew si voltava lentamente, lo fece anche Eric. Era una buona cosa: Eric poteva anche avere dieci chili e due anni più di lui, ma non sapeva come muoversi per ottenere un vantaggio in un combattimento. Il sole apparve sopra la spalla sinistra di Drew. Lui continuò a girare.
Disse: — Non mi sembra che manco tu contribuisci per un cazzo, tu. La tua nonna dice che tu sei la più grossa preoccupazione che ha, lei.
Il volto di Eric si fece color porpora. — Tu non ti devi permettere di parlare di me con la mia famiglia! — strillò, e caricò in avanti.
Drew si chinò su un ginocchio, pronto a proiettare Eric sopra una spalla e a gettarlo nel ruscello. Appena prima di raggiungere Drew, però, Eric balzò in aria, sferrando un calcio controllato che produsse immediate ondate di nausea nel petto di Drew: aveva commesso un brutto errore. Eric era allenato, solo che il suo addestramento era di un tipo che Drew non aveva riconosciuto. La punta dello stivale di Eric colpì Drew sotto al mento. Il dolore gli esplose nella mascella. La testa frustò indietro, e lui sentì qualcosa schioccare nella spina dorsale. La forza del calcio lo scaraventò indietro, oltre la breve riva, nel ruscello.
Tutto si fece bagnato e rosso.
Quando rinvenne, si trovò steso su un letto. Tubicini e aghi andavano dal suo corpo a macchinari che ronzavano e brontolavano. Anche la sua testa ronzava e brontolava. Cercò di sollevarla dal cuscino.
Il collo non volle muoversi.
Decise, allora, di voltarla lentamente di lato il più possibile, qualche centimetro. Una figura massiccia stava seduta su una seggiola accanto al suo letto: Jordan Watrous.
— Drew! — Jordan balzò su dalla seggiola. — Infermiera! È sveglio!
Arrivarono un sacco di persone nella sua stanza, allora, molte delle quali non facevano parte della ristretta cerchia di abitanti della tenuta che Drew frequentava. Non vide Leisha. Gli faceva male la testa, gli faceva male il collo: — Leisha!
— Sono qui, Drew. — La donna gli arrivò vicino alla testa. La sua mano era fresca sulla guancia di lui.
— Che cosa… mi è successo?
— Hai lottato con Eric.
Ricordò tutto. Guardò Leisha e restò sbalordito vedendo che aveva gli occhi pieni di lacrime. Perché stava piangendo? La risposta arrivò lentamente: stava piangendo per lui. Drew. Lui.
— Sento male.
— Lo so, tesoro.
— Non riesco a muovere il collo, io.
Leisha e Jordan si scambiarono uno sguardo. Poi lei spiegò: — È immobilizzato. Non c’è niente che non vada nel tuo collo. Le tue gambe, però…
— Leisha, non ancora — la scongiurò Jordan, e Drew voltò la testa lentamente, dolorosamente, verso l’uomo. Non aveva mai udito quel tipo di voce in un uomo adulto. In sua madre e nelle sue sorelle, sì, dopo che il papà le aveva picchiate per bene, ma non in un uomo adulto.
Qualcosa nella testa gli sussurrò: "questo è importante".
— Sì, adesso — replicò Leisha con fermezza. — La verità è la cosa migliore, e Drew è forte. Tesoro… ti si é rotto qualcosa nella spina dorsale. Abbiamo effettuato moltissime riparazioni, ma il tessuto nervoso non si rigenera, quanto meno non in persone come te. I dottori hanno potenziato i muscoli e altre cose. So che tu non capisci ancora che cosa significhi. Quello che puoi capire è che il tuo collo è a posto, quanto meno lo sarà in un paio di mesi. Le tue braccia e il corpo sono a posto. Ma le tue gambe… — Leisha voltò la testa. La forte luce rese scintillanti le sue lacrime. — Non potrai più camminare, Drew. Il resto del tuo corpo funziona normalmente, ma tu non camminerai più. Avrai una carrozzella elettrica, la migliore che potremo comperare, costruire o inventare ma… non camminerai più.
Drew rimase in silenzio. Era una cosa troppo enorme: non era in grado di assimilarla tutta. Poi, improvvisamente, vi riuscì. Forme e colori gli esplosero nella mente.
Disse con fierezza: — Significa che non potrò andare a scuola a settembre, io?
Leisha sembrò sconcertata. — Tesoro, settembre è passato. Ma sì, certo che potrai ancora andare a scuola, la prossima sessione, se vorrai. Certo che puoi. — Fissò dall’altra parte del letto verso Jordan, e lo sguardo di lei esprimeva un tale dolore che anche Drew guardò.
Jordan sembrava bruciato. Drew sapeva che cosa significasse avere uno sguardo da ustionati: lo aveva visto in uomini i cui scooter, modificati illegalmente, erano andati in fiamme, bruciando anche chi c’era sopra. Lo aveva visto in una donna il cui figlio era affogato nel grande fiume. Lo aveva visto in sua madre. Era uno sguardo per cui non bisognava provare un sentimento, perché quel sentimento avrebbe fatto talmente male da non permetterti di aiutare più nessuno. Nemmeno te stesso. E quello sguardo significava cercare l’aiuto di qualcuno, aveva sempre pensato Drew, com’era possibile, altrimenti,, che le persone dovessero sopportare che sbranasse loro le facce?
Il ragazzo disse: — Signor Watrous, signore… — aveva imparato anche quella parola, lì l’apprezzavano molto — …non è stata colpa di Eric. Sono stato io a cominciare.
Il volto di Jordan cambiò. Dapprima quello sguardo andò via, quindi ritornò, poi si indurì in qualcosa d’altro e tornò nuovamente, peggiore di prima.
— Sappiamo che non è vero. Eric ci ha detto quello che è successo — rispose Leisha.
Drew rifletté: forse era vero. Non riusciva a capire Eric fino in fondo, lui, lo sapeva già. E se le cose fossero andate al contrario, e fosse stato Drew a far sì che Eric non avesse potuto più camminare?
Non poter più camminare.
— Tesoro, no — disse Leisha, e ormai anche lei lo stava scongiurando. — So che sembra terribile, ma non è la fine del mondo. Puoi ancora andare a scuola, imparare a "essere qualcuno" come dicevi tu… Sii coraggioso, Drew. Io so che tu sei coraggioso.
Be’, lo era. Era un ragazzino coraggioso, lui, lo avevano sempre detto tutti, perfino nella puzzolente Montronce. Lui era Drew Arlen, quello che un giorno avrebbe posseduto il Rifugio. E non avrebbe mai e poi mai avuto lo sguardo bruciato come quello del signor Watrous in quel momento. Non Drew Arlen, lui.
Chiese a Leisha: — La carrozzella elettrica sarà del tipo che può sollevarsi a dieci centimetri da terra e scendere le scale?
— Sarà del tipo che potrà volare sulla Luna, se lo vorrai!
Drew sorrise. Si costrinse a sorridere. Vide qualcosa, in quel momento, chiara davanti a sé come un’enorme bolla scintillante, e non riuscì a spiegarsi come avesse fatto a non vederla prima. Era grossa, calda e rilucente e lui non solo la vide, ma sentì la bolla perfino nel più piccolo osso del suo corpo. Il signor Watrous disse con voce rotta: — Drew, nulla potrà mai ripagarti, ma noi faremo tutto ciò che potremo. Tutto.
Lo avrebbero fatto. Ecco che cos’era la bolla. Drew non aveva avuto parole per descriverla, prima, non si sa come, non aveva mai parole finché qualcuno non gliele forniva, ma la bolla era quello. Proprio lì. Non avrebbe più avuto bisogno di svolgere commissioni per la vecchia signora o di imparare le buone maniere che gli inculcavano e nemmeno di mangiare cibo vero. Avrebbe continuato a fare quelle cose perché voleva impararne alcune e perché altre gli piacevano. Ma non sarebbe stato costretto. Da quel momento, loro avrebbero fatto qualsiasi cosa per lui. Lo avrebbero fatto. Da quel momento e per il resto della sua vita.