— Tu lo devi sapere, sei tu la signora del Fontanile! Ripulirmi a me, educarmi e farmi essere qualcuno!
— Vuoi diventare un Mulo?
Il ragazzino corrugò la fronte. — No, ma devo cominciare da lì, io, vero? Poi, andare avanti.
Il robot rientrò. Drew guardò languidamente il cibo: Leisha gli fece un cenno, e lui ci si avventò sopra come un sudicio cagnolino, sbranando i panini con i denti della parte sinistra della bocca, e contraendosi per il dolore ogniqualvolta il buco sanguinante sulla destra entrava in contatto con pane o carne. Leisha lo stette a guardare.
— Quando è stata l’ultima volta che hai mangiato?
— Ieri mattina: ’sta roba è buona.
— I tuoi genitori sanno dove sei?
Drew recuperò una briciola dal pavimento e la mangiò, — A mia mamma non gliene frega. È sempre alle narcofeste, lei, adesso. Mio papà è morto. — Disse quell’ultima cosa con durezza, fissando Leisha dritta in faccia con i suoi occhi verdi, come se lei dovesse già essere al corrente della morte di suo padre. Leisha prese il terminale dalla parete.
— Non serve a niente chiamarli — disse Drew — Noi non abbiamo terminali, noi.
— Non sto chiamando loro, Drew. Voglio scoprire qualcosa su di te. Dove abitavi, in Louisiana?
— Montronce Point.
— Bioricerca personale, su tutte le banche dati principali — disse Leisha. — Drew, qual è il tuo numero di assistenza sociale?
— 842-06-3421-889.
Montronce era un piccolo paese sul delta, nessuna economia da Muli di cui valesse la pena parlare. Millenovecentoventidue abitanti, scuola con il sedici per cento di frequenza per gli studenti e il sessantadue per cento per gli insegnanti volontari che mantenevano aperto l’edificio cinquantotto giorni all’anno. Drew faceva parte del sedici per cento, occasionalmente. Non esisteva una sua cartella clinica, ma quelle dei suoi genitori e di due sorelle maggiori erano in archivio. Leisha rimase a sentire tutto quanto e si fece molto silenziosa.
Quando il terminale ebbe finito, lei disse: — I tuoi voti, anche per quella che passa per essere una scuola a Montronce, non erano eccezionali.
— No — confermò il ragazzetto. I suoi occhi non abbandonarono mai il volto di lei.
— Non sembri avere insolite capacità in atletica, in musica o in qualche altra cosa.
— No, io no.
— E non vuoi realmente essere istruito per un lavoro da Mulo.
— Quello può andare — disse lui in modo aggressivo. — Posso farlo.
— Ma non lo desideri realmente. La Fondazione Susan Melling esiste per aiutare le persone a diventare quello che realmente vogliono diventare. Che cosa vorresti che contemplasse il tuo futuro? — Sembrava una domanda assurda da porre a un bambino di dieci anni, in particolar modo a quello. Più povero perfino della maggior parte dei Vivi. Non particolarmente dotato di talento. Sparuto. Puzzolente. Un Dormiente.
Eppure non era nemmeno un tipo ordinario: gli sfolgoranti occhi verdi fissavano Leisha con una franchezza che la maggior parte degli adulti Dormienti non era mai riuscita a raggiungere, nemmeno nella rilassata ed edonistica tolleranza del clima sociale del tricentenario. In effetti, pensò Leisha, c’era qualcosa di più della franchezza negli occhi di Drew: c’era una sicurezza di ricevere aiuto da lei che la maggior parte dei candidati all’ingresso nella Fondazione non aveva quasi mai. La maggior parte di loro guardava Leisha con incertezza ("Perché lei dovrebbe aiutarmi?") oppure con sospetto ("Perché lei dovrebbe aiutarmi?") o con un ossequio nervoso che le rammentava inevitabilmente i cani adulanti. Drew la guardava come se lui e Leisha fossero partner commerciali in un affare sicuro.
— Hai sentito come ha detto il terminale che è morto mio nonno, lui?
Leisha confermò. — Era un operaio alla costruzione del Rifugio. Un montante in metallo si è liberato nello spazio e gli ha strappato la tuta.
Drew annuì. La sua voce denotava la stessa equilibrata sicurezza, era del tutto priva di angoscia. — Mio papà era un bambino, a quei tempi. L’assistenza sociale non gli dava praticamente niente, allora.
— Ricordo — disse Leisha con una smorfia; quello che aveva fornito l’assistenza sociale, gentile concessione dell’economicissima energia-Y e della coscienza sociale, non era nulla al confronto di ciò che fornivano ormai governo e Muli, gentile concessione per bisogno di voti. Pane e giochi circensi, salvati dalla barbarie romana soltanto dallo stesso dozzinale benessere. Agiati e corteggiati, i Vivi mancavano della rabbia repressa per l’arena.
Si era aspettata che Drew passasse sopra al riferimento del ricordo dell’era di suo padre: la maggior parte dei bambini considerava il passato irrilevante. Ma lui la sorprese. — Te lo ricordi, tu? Com’era? Quanti anni avevi, Leisha?
"Non sa fare di meglio che chiamarmi per nome", pensò con indulgenza Leisha, e immediatamente si accorse, per la prima volta, di quale fosse il dono di Drew. Il suo interesse per lei era così intenso, così fresco e scintillava talmente nei suoi occhi verdi, che lei era disposta a essere indulgente. Portava addosso l’irreprensibilità come una fragranza. Cominciò a capire come avesse potuto effettuare il viaggio dalla Louisiana al Nuovo Messico restando illeso: la gente lo aiutava. In effetti, il sangue che aveva sul braccio era recente, così come il dente spezzato: era possibile che non avesse incontrato altro che aiuto finché non si era trovato davanti Eric Bevington-Watrous, di fronte alla casa di Leisha.
E aveva soltanto dieci anni.
Lei disse: — Ho sessantasette anni.
Drew sbarrò gli occhi. — Oh! non sembri proprio una vecchia, tu!
"Dovresti vedermi i piedi". Lei scoppiò a ridere, e il ragazzino sorrise. — Grazie, Drew. Ma non hai ancora risposto alla mia domanda. Che cosa vuoi dalla Fondazione?
— Mio papà è cresciuto senza il suo papà, ed è cresciuto male, lui, bevendo troppo — commentò Drew come se fosse una risposta. — Picchiava mia mamma. Picchiava le mie sorelle, Picchiava me. Ma mia mamma mi diceva che lui non diventava così, lui, se suo papà era vivo. Diventava un uomo diverso, lui, gentile e buono, e non era colpa sua.
Leisha comprese: la madre maltrattata, nemmeno trentenne, scusava l’uomo davanti ai bambini maltrattati, finendo forse per credere a sua volta alla scusa, perché anche lei aveva bisogno di una scusante, per trattenersi dall’andare via. Non era colpa sua diviene non è colpa mia. "Lei passa tutto il tempo alle narcofeste", aveva detto Drew. C’erano narcofeste e narcofeste. Non tutte rispondevano alle regole indicate dalla FDA, il Controllo Droghe e Farmaci, in quanto a leggerezza o non accumulazione di effetti collaterali.
— Non era colpa di mio papà — ripeté Drew. — Ma io penso che non era manco la mia. Così me ne sono dovuto andare fuori da Montronce.
— Già, ma… che cosa vuoi?
Gli occhi verdi mutarono. Leisha non aveva mai pensato che un bambino potesse guardare in quel modo. Odio, sì: aveva visto occhi di bambini carichi di odio, Ma quello non era odio né rabbia e nemmeno dolore infantile. Era uno sguardo completamente adulto che ormai non mostravano più nemmeno gli adulti, uno sguardo vecchio stile: gelida determinazione.
Drew rispose: — Voglio il Rifugio.
— Lo vuoi? Che cosa significa che lo vuoi? Per pareggiare i conti? Per distruggerlo? Per danneggiare le persone?
Gli occhi verdi si raddolcirono: sembravano divertiti, uno sguardo ancora più adulto, ancora più sconcertante. Leisha si alzò e quindi si risedette.
— Certo che no, sciocca — disse Drew. — Non farei male a nessuno, io. Non voglio distruggere il Rifugio.
— Allora?
— Un giorno, io, lo possederò.
L’allarme risuonò per tutta la stazione orbitale, forte e inconfondibile. I tecnici afferrarono le tute. Le madri presero in braccio i bambini che strillavano per il rumore e dettero istruzioni ai terminali, con voci che tremavano tanto da impedirne quasi l’identificazione. La Borsa del Rifugio bloccò immediatamente ogni transazione: nessuno avrebbe potuto approfittare della portata del disastro, qualunque fosse.