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A
A

Freddo…

Oscurità…

Vuoto…

Papà…

L’aprirsi della porta della camera la riportò indietro. Era stata spalancata dall’esterno, senza che suonassero allarmi. Leisha si sollevò barcollando. Dall’altra parte della camera, al di là del letto, una figura si stagliava nell’arco della porta, una figura massiccia che portava qualcosa di ancor più massiccio, Leisha non si mosse. I suoi… gli impiegati di Kevin… avevano installato il sistema di sicurezza nella camera, facendolo identico a quello del suo appartamento a Chicago. Nessuno a Conewango ne possedeva i codici di accesso.

Se si trattava di un estraneo, se il Rifugio era organizzato per l’assassinio bene quanto per il furto…

L’assassino sarebbe quanto meno stato buono. Gli Insonni lo erano sempre.

Un braccio si estese dalla figura scura. Una mano cercò a tastoni gli interruttori manuali.

— Accendere luci — disse chiaramente Leisha.

La sagoma massiccia era una valigia. Alice restò immobile, sbattendo le palpebre per l’improvvisa luminosità. — Leisha? Stai seduta al buio?

— Alice!

— I codici del tuo appartamento hanno aperto tutt’e due le porte: non pensi che li dovresti cambiare? Ci sono un sacco di reporter nell’atrio…

— Alice! — A quel punto, si gettò attraverso la stanza, singhiozzando, lei che non piangeva mai, fra le braccia di Alice.

— Non sapevi che sarei arrivata? — le chiese Alice.

Leisha scosse la testa contro il petto di Alice.

— Io lo sapevo. — Alice la lasciò, e Leisha vide che il volto della sorella brillava di una forte emozione. — Io sapevo che questa sarebbe stata la tua notte. La notte in cui saresti caduta nell’Abisso. L’ho saputo ieri, l’ho sentito. — Si mise improvisamente a ridere, una risata stridula. — L’ho sentito, Leisha, capisci? È stato come essere colpita da un carico di mattoni. Ho sentito che tu avresti passato il tuo momento peggiore questa notte e ho saputo di dover venire.

Leisha smise di singhiozzare.

— L’ho sentito — ripeté ancora una volta Alice. — A oltre quattromila chilometri di distanza. Proprio come è successo ad altri gemelli!

— Alice…

— No, non dire niente, Leisha. Tu non c’eri. Io so che cosa ho provato.

Leisha si accorse che la potente emozione che sfolgorava sul viso di Alice era di trionfo.

— Ho saputo che avevi bisogno di me e sono qui. Adesso è tutto a posto, Leisha, tesoro, io conosco l’Abisso, ci sono stata. — Allungò nuovamente le braccia verso Leisha, stringendola, ridendo e piangendo. — Lo so, tesoro, va tutto bene. Non sei sola. Io ci sono stata, lo so.

Leisha restò aggrappata alla sorella con tutte le proprie forze. Alice la stava tirando fuori da quel luogo buio. Il vuoto, l’Abisso. Alice, la cui stazza teneva ancorata Leisha al margine, solida quanto la terra stessa. Alice, che ormai non sarebbe mai più stata irraggiungibile. Non ora che Alice aveva saputo qualcosa prima di Leisha. Non ora che Alice aveva salvato Leisha divenendo l’unica cosa che lei non aveva perduto.

— Io lo sapevo — sussurrò Alice, e poi a voce più alta disse: — Adesso posso smetterla di mandarti tutti quei maledetti fiori.

Soltanto molto più tardi, dopo che ebbero parlato per ore e Alice cominciò a sembrare assonnata, il videotelefono squillò. Leisha lo aveva spento: solamente una chiamata di priorità assoluta sarebbe potuta passare. Voltò la testa verso lo schermo. Vi lampeggiavano due parole chiave. La confusa logica del collegamento le aveva fatte passare contemporaneamente, assegnando una voce per utente.

— Sono Susan Melling. Devo…

— Sono Stella Bevington. Mi sono appena collegata alla rete. Il…

— …parlarti immediatamente. Chiamami…

— …pendente che la stampa dice che è stato…

— …su una linea schermata…

— …trovato nel parcheggio del garage…

— …il più presto possibile!

— …è mio.

— Abbiamo terminato la ricerca — annunciò l’immagine di Susan sul video. I capelli grigi le pendevano in ciuffi un po’ unti da una crocchia trasandata, i suoi occhi erano brucianti. — Quella mia e di Gaspard-Thiereux sulla teoria di Walcott riguardante i codici di DNA ridondanti negli Insonni.

—  Allora? — disse Leisha con voce piatta.

— È una linea scoperta? Che diavolo, lascia perdere. Che la stampa origli pure, che il Rifugio origli pure. Ehi, Blumenthal, sei in ascolto?

— Susan, ti prego…

— Niente prego. Niente grazie, niente di niente. Ecco perché volevo dirtelo personalmente. Niente di niente. L’equazione non può funzionare.

— Non può…

— C’è un buco che non può essere chiuso fra l’esclusione del meccanismo del sonno a livello genetico preembrionico e il cercare di riprodurla dopo che il cervello ha cominciato a differenziare, più o meno a otto giorni. I motivi per cui la falla non si può chiudere sono abbastanza chiari, abbastanza specifici, abbastanza definitivi, biologicamente parlando. Hanno a che fare con la tolleranza di rumore genetico nei test genetici che sono ripetizioni dei sistemi regolatori. Non c’è bisogno che tu sappia i dettagli: il risultato è che noi non saremo mai in grado di trasformare un Dormiente in Insonne. Mai. Nessuno. Non Walcott. Non i cervelloni del Rifugio, non per tutto l’oro del mondo. Walcott sta mentendo.

— Io… non capisco.

— Ha architettato tutta la storia. È molto plausibile, tanto plausibile da costringere dei buoni ricercatori a lavorarci un bel po’ per controllare. Essenzialmente, però, è una bugia, e non c’è modo in cui uno scienziato, con il suo famoso pezzo finale nascosto, non potesse saperlo. Walcott lo sapeva. La sua ricerca è una menzogna. È venuto da te con la sua stupenda scoperta e sapeva che si sarebbe dimostrata una menzogna, e il Rifugio ha commesso un illecito per brevetti che sono una menzogna, e Jennifer Sharifi è processata per omicidio a causa di una menzogna.

Leisha non riusciva ad assimilare le parole. Nessuna di esse aveva senso. Era cosciente della presenza di Alice, dall’altra parte della stanza, in piedi, completamente immobile. — Perché?

— Non so — disse Susan. — Ma è una bugia. Sentito, stampa? Sentito, Rifugio? È una bugia!

Lei cominciò a piangere.

— Susan… oh, Susan…

— No, no, non dire nulla. Mi dispiace. Non intendevo piangere. È l’unica cosa che non avevo intenzione di fare. Chi c’è con te? Non sei sola?

— Alice — disse Leisha. — Lei…

— È solo che avevo pensato di poter diventare ciò che avevo creato. Idea stupida, eh? L’intera letteratura mostra che i creatori non possono diventare le creazioni.

Leisha non disse nulla. Susan smise di piangere repentinamente come aveva iniziato, e le lacrime presero a seccarsi sulla sua vecchia, morbida e rugosa pelle. — Dopo tutto, Leisha, non avrebbe funzionato, vero? Che i creatori divenissero le creazioni? Chi resterebbe a perfezionare l’arte se diventassimo tutti mecenati? — Poi, con voce differente, aggiunse: — Distruggi Walcott, Leisha. Come un qualsiasi ciarlatano che vende un’inutile speranza a un moribondo. Abbatti quel bastardo.

— Lo farò — rispose Leisha. Ma non intendeva parlare di Walcott. In un impeto improvviso e vertiginoso, capì chi era stato a commettere il furto, come e perché.

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