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— È Insonne! — sputò la donna. — Non c’è posto qui per quelli come lui!

Joey un Insonne? Non aveva alcun senso. Jordan intimò freddamente all’uomo che stava ancora lottando contro la presa della guardia: — Jenkins, l’addetto alla sicurezza sta per lasciarti andare. Se fai solo un passo verso Joey, prima che io sia arrivato al fondo di questa faccenda, qui hai chiuso. Capito? — Jenkins annuì con espressione truce. Alla guardia, Jordan ordinò: — Vai a rapporto da Mayleen e di’ che è tutto sotto controllo. Chiedile di chiamare un’ambulanza per due pazienti. Adesso tu, Jenkins, spiegami cosa è successo qui.

Jenkins disse: — Quel bastardo è un Insonne. Non vogliamo nessun…

— Che cosa ti fa pensare che sia un Insonne?

— Lo abbiamo controllato — disse Jenkins. — Io, Turner e Holly. Non dorme. Mai.

— Ci sta spiando! — Strillò la donna. — Probabilmente è una spia del Rifugio e di quella puttana assassina della Sharifi!

Jordan le voltò la schiena. Inginocchiandosi, scrutò il volto insanguinato di Joey. Le palpebre erano chiuse ma si contraevano, e Jordan si accorse improvvisamente che Joey stava fingendo di essere in stato di incoscienza. Il gigante indossava i più dozzinali abiti in plastica, ormai malamente lacerati. Con la barba e i capelli incolti, il suo puzzo da non lavato e il sangue impastato per tutto l’immenso corpo, fece pensare a Jordan a un animale rognoso messo alle corde, un elefante maschio colpito o un bisonte zoppicante. Jordan non aveva mai sentito parlare di un Insonne mentalmente ritardato, ma se Joey era vecchio abbastanza, appariva più vecchio di Dio, potevano essergli stati modificati solamente i geni che regolavano il sonno, senza che il resto fosse stato nemmeno controllato. Se il suo QI naturale era molto basso… ma perché mai doveva trovarsi lì? Gli Insonni si prendevano cura dei loro.

Il corpo di Jordan impediva agli altri la vista del volto di Joey. La stupida donna stava ancora strillando di spie e sabotaggio. Jordan chiese con un fil di voce: — Joey, sei un Insonne?

Le palpebre cispose si contrassero freneticamente

— Joey, rispondimi. Allora: sei un Insonne?

Joey aprì gli occhi: obbediva sempre agli ordini diretti. Cominciarono a scorrergli lacrime attraverso il sangue e lo sporco. — Signor Watrous, non lo dire al signor Hawke! Ti prego, ti prego, non dirlo al signor Hawke!

Jordan si sentì bruciare dalla pietà. Si alzò in piedi. Con sua grande sorpresa, anche Joey barcollò in piedi, sostenendosi contro un’altra scansia che si mise a tremare in modo rischioso. Joey si fece piccolo piccolo davanti a Jordan, sopraffacendolo tuttavia con la sua puzza. Il gigante era terrorizzato: da Jenkins che fissava in modo truce il pavimento; da Turner, che gemeva sanguinando; da Holly dalla bocca sudicia che pesava forse quarantotto chili.

— Chiudi il becco — ordinò Jordan alla donna. — Campbell, tu resta qui con Turner finché non sarà arrivata l’ambulanza. Jenkins, tu e lei cominciate a ripulire questo casino, chiamate qualcuno dalla Sezione Sei per assicurare che il flusso delle parti di ricambio sulla catena di montaggio non venga interrotto. Recatevi tutti e due a rapporto nell’ufficio di Hawke alle tre di questo pomeriggio. Joey, tu vai con Campbell e Turner nell’ambulanza.

— Noooo — piagnucolò Joey. Si aggrappò al braccio di Jordan. All’esterno, le sirene dell’ambulanza strillarono.

Come reagivano i medici delle ambulanze nei confronti degli Insonni?

— D’accordo — schioccò Jordan. — D’accordo, Joey. Dirò loro di visitarti qui.

I tagli di Joey erano effettivamente superficiali: era più il sangue che il danno. Dopo che i medici l’ebbero medicato, Jordan condusse Joey, passando all’esterno dell’edificio principale, a una porta laterale e nel suo ufficio, continuando a chiedersi: Joey Insonne? L’incompetente, sporco, terrorizzato, stupido, dipendente Joey?

La porta insonorizzata escluse tutti i rumori. — Adesso dimmi, Joey. Come sei arrivato a questa fabbrica?

— A piedi.

— Voglio dire, perché? Perché sei venuto in una fabbrica Noi-Dormiamo?

— Non so.

— Ti ha detto qualcuno di venire qui?

— Il signor Hawke. Oh, signor Watrous, non dirlo al signor Hawke! Ti prego, ti prego, ti prego, non dirlo al signor Hawke!

— Non avere paura, Joey. Stammi a sentire. Dove vivevi prima che il signor Hawke ti portasse qui?

— Non lo so!

— Ma tu…

— Non lo so!

Jordan insistette, gentilmente seppure in modo tenace, ma Joey non sapeva nulla. Non sapeva dove fosse nato, quello che fosse successo ai suoi genitori, quanti anni avesse. Tutto quello che sembrava ricordare, ripetuto in continuazione, era che la signora Cheever gli aveva detto di non confidare a nessuno che era Insonne, altrimenti la gente gli avrebbe fatto del male. Di notte doveva andarsene per proprio conto e stendersi. E Joey lo faceva rigorosamente, perché la signora Cheever gli aveva detto di farlo. Non riusciva a ricordare chi fosse la signora Cheever né perché fosse stata gentile con lui, e neppure che cosa le fosse accaduto.

— Joey — disse Jordan — hai…

— Non dirlo al signor Hawke!

Il volto di Mayleen apparve al videotelefono. — Jordan, sta arrivando il signor Hawke. Holly Newman mi ha raccontato quello che è successo. — La sua immagine sbirciò Joey, incuriosita. — Lui è Insonne?

— Non cominciare, Mayleen!

— Merda, ho detto in tutto…

Hawke rotolò nella stanza in un’ondata di rumori. L’ufficio fu immediatamente il suo. Lui lo riempì con la propria prestanza fisica, era grosso quasi quanto Joey ma molto più imponente, e Jordan, che pensava di essere abituato a Hawke, si sentì rimpicciolire ancora una volta fino a diventare insignificante.

— Campbell mi ha detto quello che è successo. Joey è un Insonne?

— Uuuuuunnnhhh — piagnucolò Joey. Si portò le mani sul volto. Le sue dita sembravano banane insanguinate.

Jordan si aspettava che Hawke affrontasse immediatamente l’errore commesso e vi ponesse rimedio. Hawke era buono con le persone. L’uomo, invece, continuò a fissare silenziosamente Joey, sorridendo debolmente, non divertito ma stranamente compiaciuto, come se ci fosse qualcosa in Joey che lo faceva sentire bene e non esistesse motivo per nasconderlo.

— Signor Hawke, d-d-d-d-evo… — nella sua angoscia, il gigante prese a balbettare — …and-d-d-dare v-v-v-v-ia…

— Ma no, ovviamente no, Joey — disse Hawke. — Puoi restare qui, se vuoi.

La speranza lottò in modo grottesco sul volto di Joey. — Anche se non d-d-d-ormo m-m-m-mai?

— Anche se sei Insonne — confermò pacatamente Hawke. Continuava a sorridere. — Possiamo avere bisogno di te, qui.

Joey barcollò verso Hawke e cadde in ginocchio. Lanciò le braccia attorno alla vita dell’uomo, nascose la testa contro il suo ventre duro e si mise a singhiozzare. Hawke non indietreggiò per la puzza, lo sporco, il sangue. Continuò a fissare Joey, sorridendo debolmente.

Jordan provò un gran senso di nausea.

— Hawke, non può restare qui. Lo sai. Non può.

Hawke accarezzò i capelli sudici di Joey.

Jordan disse bruscamente: — Joey, esci dal mio ufficio. Questo è ancora il mio ufficio. Esci, adesso. Vai… — Non poteva mandare Joey al piano degli impianti, ormai doveva essersi sparsa la voce in tutto lo stabilimento. L’ufficio di Hawke era chiuso a chiave, gli edifici esterni erano anche peggio, non esisteva posto nella fabbrica Noi-Dormiamo in cui Joey sarebbe stato al sicuro dai suoi compagni di lavoro.

— Mandalo nella mia guardiola — disse l’immagine di Mayleen. Jordan aveva completamente dimenticato che la comunicazione telefonica era ancora aperta. — Qui non gli darà fastidio nessuno.

Sbalordito, Jordan rifletté velocemente. Mayleen aveva delle armi… ma no. Non lo avrebbe fatto. Lo capì, in qualche modo, dal tono della sua voce.

— Vai nella guardiola di Mayleen, Joey — disse Jordan con tutta l’autorevolezza possibile. — Vai subito.

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