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Richard. Kevin. Stella. Il Rifugio.

Si chiese quanto ancora le fosse restato da perdere,

Jennifer si trovava davanti a Sandaleros, separata dal campo di sicurezza della prigione che scintillava debolmente, appena quel tanto da raddolcire la giovane linea delle mascelle modificate geneticamente di lui. Gli disse: — Le prove che mi collegano alla manomissione dello scooter sono fondamentalmente circostanziali. La giuria è sufficientemente sveglia da capirlo?

Lui non le mentì: — Giurie di Dormienti… — Ci fu un lungo silenzio.

— Jennifer, ma tu mangi? Non sembri stare bene.

Lei restò veramente sorpresa. Sandaleros riteneva ancora che cose simili fossero importanti: che aspetto lei avesse, se mangiasse. Sulle ali della sorpresa, arrivò il disgusto. Aveva pensato che Sandaleros fosse superiore a quel tipo di sentimentalismi. Jennifer aveva bisogno che lui lo fosse, che comprendesse che cose simili erano assolutamente irrilevanti al confronto di quello che lei doveva fare e che aveva necessità che lui facesse per lei. Per cos’altro si stava disciplinando se non per la subordinazione di cose come che aspetto avesse o come si sentisse? Per quelli che erano fattori realmente importanti per il Rifugio? Ora lei si trovava in un luogo in cui non importava niente altro e aveva combattuto molto duramente per arrivarci. Aveva trasformato la prigionia, l’isolamento, la separazione dai figli e la vergogna personale in strade per raggiungere quel luogo, e quindi in un trionfo di forza di volontà e conquista. Aveva pensato che Will Sandaleros potesse capirlo. Lui doveva percorrere la stessa strada, avrebbe dovuto percorrerla perché, arrivata alla fine, lei avrebbe avuto bisogno di lui.

Ma non doveva tentare di portarlo in quel luogo troppo in fretta. Era stato l’errore che aveva commesso con Richard. Aveva pensato che Richard stesse viaggiando di fianco a lei, altrettanto tranquillamente e velocemente, e invece lui aveva esitato, lei non se ne era accorta, e Richard era collassato. La responsabilità di tutto quello era solo sua, perché non si era accorta dell’esitazione. Richard era stato legato all’esterno in un modo che lei aveva sottovalutato: all’esterno, a ideali logori e forse ancora perfino a Leisha Camden. Rendersene conto non le provocò alcuna gelosia. Richard non era stato forte a sufficienza, quello era quanto. Will Sandaleros, cresciuto nel Rifugio, dovendo la propria vita al Rifugio, lo sarebbe stato. Jennifer lo avrebbe reso forte a sufficienza. Ma non troppo in fretta.

Quindi lei rispose: — Sto bene. Cos’altro hai per me?

— Leisha si è collegata alla rete ieri sera.

Lei annuì. — Bene. E gli altri della lista?

— Tutti meno Kevin Baker. Anche se se ne è andato via dal loro appartamento.

Venne pervasa dal godimento. — Può venire persuaso a giurare?

— Non so. Se così fosse, lo vuoi all’interno?

— No. All’esterno.

— Sarà difficile da mantenere sotto sorveglianza elettronica. Dio, Jennifer, è stato lui a inventare la maggior parte di quella roba.

— Non voglio che sia messo sotto sorveglianza. Per niente. Non è il modo per trattenere un uomo come Kevin. Nemmeno con la solidarietà. Lo faremo tramite interessi economici e regole contrattuali. Gli strumenti dello yagaismo a nostro vantaggio. E tutto senza controllo.

Sandaleros apparve dubbioso, ma non si mise a discutere. Quella era un’altra cosa che lei avrebbe dovuto condurlo a fare. Doveva imparare a discutere con lei. Il metallo forgiato era sempre più resistente di quello non forgiato.

Jennifer chiese: — Chi altro, all’esterno, ha pronunciato il giuramento?

Lui le fornì i nomi, insieme con i progetti relativi al trasferimento di ognuno al Rifugio. Lei rimase ad ascoltare attentamente: l’altro nome che aveva desiderato sentire non era presente. — E Stella Bevington?

— No.

— C’è tempo. — Piegò la testa e poi porse l’unica domanda che si concedeva per ogni visita. L’ultima debolezza rimasta. — E i miei bambini?

— Stanno bene. Najla…

— Porta loro i miei saluti più affettuosi. Adesso c’è una cosa che devi cominciare a fare per me, Will. È un prossimo passo importante. Forse il più importante che il Rifugio abbia mai intrapreso.

— Cosa?

Lei glielo disse.

Jordan chiuse la porta del proprio ufficio. Il rumore cessò istantaneamente: il rat-a-tat-tat di macchinari sul pavimento della fabbrica, la musica rock, le voci urlanti e, soprattutto, il lungo servizio giornalistico del processo Sharifi sui due megaschermi che Hawke aveva noleggiato e sistemato sulle due estremità del cavernoso edificio principale. Tutto si fermò. Jordan aveva fatto isolare acusticamente il proprio ufficio, pagando personalmente.

Si appoggiò contro la porta chiusa, grato del silenzio. Il telefono trillò.

— Jordan, sei tu? — disse Mayleen dalla guardiola della sicurezza. — Problemi all’Edificio Tre, non riesco a trovare il signor Hawke da nessuna parte, farai meglio ad andarci subito.

— Che genere di guai?

— Sembra una rissa. Lo schermo non è messo bene laggiù, qualcuno dovrebbe andare a dare un’occhiata. Se non lo rompono prima.

— Vado subito — disse Jordan spalancando la porta.

"E così le ho detto…" "Passami quella numero cinque…" "Ultima testimonianza sembra aprire dubbi su Adam Walcott, presunta vittima della cospirazione del Rifugio…" "Baaallaaando tutta noootte coooon teeeeeee…" "Feroce attacco alla Ditta di Insonni Carver Figlia la scorsa notte da parte di ignoti…"

Quando fossero arrivate le ferie, pensò Jordan, le avrebbe passate tutte in un qualsiasi luogo silenzioso, deserto, vuoto. Da solo.

Corse per tutta la lunghezza dello stabilimento principale, esternamente, e attraverso un ridotto appezzamento di terra, quelli del Mississippi lo chiamavano "il cortile" verso gli edifici più piccoli utilizzati per verificare e immagazzinare parti di ricambio inviate dai fornitori, per effettuare l’inventario degli scooter e per revisionare l’equipaggiamento. L’Edifico Tre era quello del controllo qualità, mezzo magazzino, mezzo postazione di smistamento per separare le parti degli scooter Noi-Dormiamo che arrivavano fra parti difettose o riutilizzabili. Ce n’erano moltissime di difettose. Casse da imballaggio in polistirolo erano sparpagliate su tutto il pavimento. Nel retro, fra alte scansie di magazzinaggio, c’era gente che gridava. Mentre Jordan correva in direzione del rumore, una sezione di scansia alta due metri e mezzo si fracassò al suolo, disseminando parti di ricambio come fossero schegge di granata. Una donna strillò.

Gli addetti alla sicurezza dello stabilimento erano già sul posto, due uomini corpulenti in uniforme che stavano trattenendo un uomo e una donna che si divincolavano e strillavano. Le guardie sembravano sconcertate: le risse erano rare fra gli impiegati della Noi-Dormiamo, spinti da un’assoluta e febbrile lealtà nei confronti di Hawke. A terra c’era un terzo uomo, gemente, che si teneva la testa; alle sue spalle un’immensa figura giaceva immobile, inzuppata di sangue.

— Che diavolo è successo qui? — domandò in modo imperioso Jordan. — Chi è quello… Joey?

— È un Insonne! — stridette la donna. Cercò di scalciare il gigante prostrato con la punta dello stivale. La guardia la strattonò indietro. L’immensa sagoma insanguinata si mosse leggermente.

— Joey Insonne? — chiese Jordan, Scavalcò l’impiegato gemente e rivoltò il gigante: gli sembrò di ribaltare una balena insabbiata. Joey, non aveva altro nome, pesava centosessanta chili ed era alto quasi due metri, un uomo ritardato mentalmente ma di immensa forza che Hawke lasciava vivere, lavorare e mangiare in fabbrica. Joey scaricava casse e svolgeva altri lavori umili che, in qualsiasi altro luogo che non fosse uno stabilimento Noi-Dormiamo, sarebbero stati automatizzati. Lavorava instancabilmente proprio come un robot, diceva Hawke, e rappresentava un valido membro di quella classe che la Noi-Dormiamo stava sollevando dal degrado della dipendenza. Jordan era stato colpito dal fatto che Joey, ormai, era altrettanto dipendente da Hawke di quanto non lo sarebbe mai stato dall’assistenza sociale; altrettanto degradato dalle battute crudeli dei suoi compagni di lavoro di quanto lo sarebbe stato in un qualsiasi dormitorio del governo. Jordan aveva tenuto per sé tali osservazioni. Joey sembrava felice ed era grato a Hawke come uno schiavo. Non lo erano tutti?

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