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Un po’ più sollevata, a quel punto, Leisha si lanciò in un’intricata questione di assunzione di prima facie. Tuttavia il libro giaceva ancora sul sedile, distraendola, insieme con la domanda di Alice e la sua risposta non data.

Nell’aprile del 1864, Lincoln aveva scritto al kentuckiano A.G. Hodges. Gli stati del nord erano infuriati per il massacro razziale di soldati negri a Fort Pillow, le casse federali erano quasi vuote, la guerra stava costando all’Unione due milioni di dollari al giorno. Quotidianamente Lincoln veniva ingiuriato sulla stampa; settimanalmente veniva bloccato in lotte con il Congresso. Il mese successivo, Grant avrebbe perso diecimila uomini a Cold Harbor, altri a Spotsylvania Oourthouse. Lincoln scrisse a Hodges: "Ammetto di non avere controllato gli eventi, ma confesso sinceramente che gli eventi hanno controllato me".

Leisha spinse il libro sotto il sedile dell’aereo e si chinò sul computer, ripiegandosi sulla legge.

Jennifer Sharifi sollevò la fronte dal terreno, si alzò con grazia e si chinò per arrotolare il suo tappetino da preghiera. La ruvida erba montana era leggermente umida: alcuni steli si erano appiccicati, ritorti, sulla parte inferiore del tappeto. Tenendolo scostato dalle pieghe bianche della sua abbaya, Jennifer camminò attraverso la piccola radura nei boschi fino alla sua aeromobile. I lunghi capelli neri sciolti si agitarono al debole vento.

Un piccolo aereo passò sopra la sua testa, lasciando una scia, Jennifer corrugò la fronte: era già Leisha Camden. Jennifer era in ritardo.

Che Leisha aspettasse pure. O che si occupasse Richard di lei. Fin dal principio Jennifer non aveva voluto che Leisha venisse. Perché mai il Rifugio avrebbe dovuto dare il benvenuto a una donna che vi lavorava contro a ogni occasione? Perfino il Corano, nella sua saggia semplicità pre-rete globale, era esplicito riguardo ai traditori: "Chiunque commetta un’aggressione contro di te, tu agirai conto di lui come lui ha agito contro di te".

Il piccolo aereo con l’insegna delle Imprese Baker scomparve fra gli alberi.

Jennifer si infilò in auto, con la mente impegnata dal resto del giorno che le si parava davanti. Se non fosse stato per il sollievo e la quiete della preghiera mattutina e pomeridiana, non pensava che sarebbe riuscita ad affrontare alcune delle sue giornate. — Ma non hai alcuna fede religiosa — le aveva detto Richard sorridendo — non sei nemmeno credente. — Jennifer non aveva neanche tentato di spiegargli che il punto non stava nel credo religioso. La volontà di credere creava un potere proprio, una propria fede e, alla fine, una propria volontà. Attraverso la pratica della fede, qualsiasi fossero i rituali specifici, si portava all’esistenza l’oggetto di quella fede. Il credente diveniva Creatore.

"Io credo nel Rifugio" diceva Jennifer a ogni alba e a ogni mezzogiorno, inginocchiata sull’erba, sulle foglie o sulla neve.

Si schermò gli occhi, cercando di scorgere dove fosse scomparso esattamente l’aereo di Leisha. Doveva essere stato individuato, presunse Jennifer, sia dai sensori Langdon sia dai laser antiaerei. Fece sollevare la propria aeromobile, volando ben al di sotto della cupola a campo-Y.

Che cosa avrebbe detto la sua bisnonna paterna, Najla Fatima Noor el-Dahar, di una fede come la sua? D’altra parte, la sua bisnonna materna, la cui nipote era divenuta una stella del cinema americano, era sopravvissuta come immigrante irlandese facendo la donna delle pulizie a Brooklyn e quindi, probabilmente, doveva sapere parecchio di potere e di forza di volontà.

Non che le bisnonne, le bisnonne di chiunque, fossero ormai importanti. Nemmeno i nonni o i padri. Era sempre stata necessaria una nuova razza che sacrificasse le proprie radici a favore della propria sopravvivenza. Zeus, secondo Jennifer, non aveva pianto né Crono né Rea.

Il Rifugio si estendeva sotto di lei nel sole del mattino. Nel giro di ventidue anni si era ampliato fino a circa quattrocentoventi chilometri quadrati, occupando un quinto della contea di Cattaraugus nello stato di New York. Jennifer aveva acquistato la riserva indiana Allegany, immediatamente dopo l’abrogazione da parte del Congresso delle restrizioni sui fondi comuni. Aveva pagato una cifra che aveva permesso alla tribù dei Seneca, che aveva venduto la terra, di stabilirsi in modo agiato a Manhattan, Parigi e Dallas. A dire il vero, non erano rimasti molti Seneca per vendere: non tutti ì gruppi minacciati, Jennifer lo sapeva bene, erano dotati della capacità di adattamento degli Insonni, capacità come acquistare terreni quando i proprietari erano inizialmente riluttanti alla vendita, oppure come procurarsi laser antiaerei sul mercato internazionale delle armi. Se anche quegli altri gruppi avessero avuto tali capacità, mancava loro la causa per renderle determinate, chiare e sante. Per chiamare la stessa sopravvivenza quello che effettivamente era: una guerra santa. Jihad.

L’Allegany aveva avuto caratteristiche uniche fra le riserve degli indiani americani in quanto comprendeva un’intera città non indiana, Salamanca, concessa in affitto fino dal 1892 ai cittadini residenti Seneca. Salamanca era stata inclusa nell’acquisto di Jennifer. Tutti i locatari avevano ricevuto notifiche di sfratto e, dopo svariati processi per i quali i residenti di Salamanca avevano pochi soldi e il Rifugio poteva godere dei servizi gratuiti dei migliori avvocati Insonni del paese, gli edifici antiquati, sventrati, erano divenuti i gusci della città ad alta tecnologia del Rifugio: ospedali di ricerca, scuole, borsa valori, centri di produzione energetica e di assistenza e i più sofisticati strumenti di telecomunicazione esistenti, il tutto circondato da boschi ecologicamente preservati,

In lontananza, dietro ai cancelli del Rifugio, Jennifer poteva vedere la quotidiana fila di camion che avanzava a fatica su per la strada di montagna portando cibo, materiali da costruzione, rifornimenti di bassa tecnologia: tutto ciò che il Rifugio preferiva importare piuttosto che produrre, il che includeva ogni cosa che non fosse impegnativa, lucrosa o essenziale. Non che il Rifugio dipendesse dai camion che arrivavano giornalmente. Aveva abbastanza scorte di tutto per funzionare autonomamente per un anno intero, se necessario. Non sarebbe stato necessario. Gli Insonni avevano il controllo di troppe industrie, canali di distribuzione, progetti di ricerca agricola, scambi commerciali e uffici legali all’esterno. Il Rifugio non era stato studiato nemmeno come un ritiro per addestrarsi alla sopravvivenza: era un centro di comando fortificato.

L’automobile dell’aeroporto era già parcheggiata davanti alla casa che Jennifer condivideva con suo marito e i loro due bambini al margine di Argus City. La casa era una cupola geodetica, graziosa e comoda ma non opulenta. Prima bisognava edificare le strutture di difesa, aveva sostenuto Tony Indivino ventidue anni prima, quindi costruire le strutture tecniche ed educative, poi i magazzini di stoccaggio merci e, per ultime, le abitazioni individuali. Soltanto in quel momento il Rifugio si stava occupando di nuovi alloggi.

Jennifer aggiustò le pieghe della sua abbaya, trasse un profondo respiro ed entrò in casa.

Leisha si trovava in piedi presso la vetrata del salotto che dava a sud e fissava il ritratto olografico incorniciato d’oro di Tony ehe la fissava, a sua volta, con occhi giovanili e sorridenti. La luce del sole si rifletteva sui capelli biondi di Leisha e scintillava. Quando udì Jennifer e si voltò, Leisha risultò illuminata da dietro, e Jennifer non fu in grado di vedere la sua espressione. Le due donne si scrutarono.

— Jennifer.

— Salve, Leisha.

— Hai un bell’aspetto.

— Anche tu.

— E Richard? Come stanno lui e i bambini?

— Bene, grazie — rispose Jennifer.

Ci fu silenzio, pungente come il calore.

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