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— … et Spiritus Sancti, Amen.

— Sedete - disse il lettore, e i monaci cominciarono a sedersi.

L'abate lanciò un'occhiata tagliente alla figura alla sua sinistra.

— Poeta!

Il cane bastonato si inchinò in modo stravagante e sorrise. — Buonasera, signori, dotto Thon, onorevoli ospiti — recitò. — Cosa ci sarà servito, questa sera? Pesce arrostito e favi di miele in onore della resurrezione temporale che è imminente? O forse, Monsignor Abate, avete finalmente fatto cucinare l'oca del podestà del villaggio?

— Mi piacerebbe cucinare…

— Ah! — disse il Poeta, e si voltò affabilmente verso lo studioso. — Di una tale eccellenza culinaria si gode in questo posto, Thon Taddeo! Dovreste unirvi più spesso a noi. Immagino che nella foresteria vi cibino soltanto di fagiano arrostito e di bue privo di immaginazione. Una vergogna! Qui si mangia meglio. Spero che il Frate Cuoco abbia avuto il suo solito gusto, questa sera, la sua solita fiamma interiore, il suo tocco incantato. Ah… — Il Poeta si fregò le mani e sorrise con aria famelica. — Forse ci serviranno Maiale Finto con Salsa alla Frate John, eh?

— Sembra interessante — disse lo studioso. — Che cos'è?

— Armadillo grasso, con grano secco, bollito in latte d'asina. Un piatto speciale in uso la domenica.

— Poeta! — insorse l'abate; e poi rivolto al thon: — Chiedo scusa per la sua presenza. Non era stato invitato.

Lo studioso osservò il Poeta con distaccato divertimento. — Anche Monsignor Hannegan tiene parecchi buffoni alla sua corte — disse Don Paulo. — Conosco bene questa specie. Non avete bisogno di scusarvi per lui.

Il Poeta schizzò dal suo sgabello e si inchinò profondamente al thon. — Permettetemi invece di scusarmi per l'abate, Signore! — gridò, sentitamente.

Rimase inchinato per un attimo. Gli altri attesero che ponesse fine alle sue buffonerie. Invece scrollò improvvisamente le spalle, sedette e infilzò un pollo fumante nel piatto posto davanti a loro da un postulante. Ne strappò una coscia e l'addentò, con gusto. Gli altri lo osservarono, perplessi.

— Immagino che abbiate ragione, non accettando le mie scuse per lui — disse finalmente al thon.

Lo studioso arrossì lievemente.

— Prima che io vi butti fuori di qui, verme — disse Gault — sondiamo la profondità di questa iniquità.

Il poeta scosse il capo e masticò, pensieroso. — È molto profonda, veramente — ammise.

Un giorno o l'altro Gault si impiccherà, pensò Don Paulo.

Ma l'ecclesiastico più giovane era visibilmente seccato, e voleva portare l'incidente ad absurdum per trovare il terreno adatto per schiacciare quel pazzo. — Scusatevi completamente per il vostro ospite, Poeta — ordinò. — E spiegatevi bene, mentre lo fate.

— Lasciate perdere, Padre, lasciate perdere — disse in fretta Don Paulo.

Il Poeta sorrise garbatamente all'abate. — Sta bene così, Monsignore — disse. — Non mi dispiace minimamente scusarmi per voi. Voi vi siete scusato per me, io mi scuso per voi, non è questa una adeguata manovra di carità e di buona volontà? Nessuno deve scusarsi per se stesso… il che è sempre così umiliante. Usando il mio sistema, tuttavia, chiunque viene scusato, e nessuno deve formulare le sue proprie scuse.

Soltanto gli ufficiali sembravano considerare divertenti le osservazioni del Poeta. A quanto pareva, aspettarsi un divertimento era sufficiente per produrre un'illusione di divertimento, e il commediante poteva ottenere una risata con un gesto o un'espressione, indipendentemente da ciò che diceva. Il Thon Taddeo esibiva un sorriso asciutto, ma il suo sguardo era quello che un uomo può dedicare a una goffa esibizione di un animale ammaestrato.

— E così — continuò il Poeta — se volete permettermi di servirvi come umile aiutante, Monsignore, non dovrete mai mangiare il vostro corvo. Come vostro Avvocato addetto alle Scuse, per esempio, potrei essere da voi delegato ad offrire contrizioni agli ospiti importanti per la presenza delle cimici. E alle cimici per il brusco cambiamento di dieta.

L'abate si corruccio, e resistette a fatica all'impulso di schiacciare il piede nudo del Poeta con il tacco del suo sandalo. Sferrò un calcio negli stinchi del pazzo, ma quello insistette.

— Io mi assumerei tutto il biasimo per voi naturalmente — disse, masticando rumorosamente la carne bianca. — È uno splendido sistema, che intendevo mettere anche a vostra disposizione, Eminentissimo Studioso. Ero sicuro che lo avreste trovato conveniente. Mi è dato comprendere che devono essere escogitati e perfezionati sistemi di logica e di metodologia, prima che la scienza progredisca. E il mio sistema di scuse negoziabili e trasferibili sarebbe stato particolarmente prezioso per voi, Thon Taddeo.

— Davvero?

— Sì. È un peccato. Qualcuno mi ha rubato la mia capra dalla testa azzurra.

— Una capra dalla testa azzurra?

— Aveva una testa calva come quella di Hannegan, Vostro Splendore, e azzurra come la punta del naso di frate Armbruster. Volevo farvi un presente di quell'animale, ma qualche malandrino me l'ha rubata, prima che voi arrivaste.

L'abate serrò i denti e posò il tacco sul piede del Poeta. Thon Taddeo aveva corrugato lievemente la fronte, ma sembrava deciso a sbrogliare l'oscuro groviglio delle parole del Poeta.

— Abbiamo bisogno di una capra dalla testa azzurra? — chiese al segretario.

— Non riesco a vederne alcuna pressante urgenza, signore — disse il segretario.

— Ma questo bisogno è ovvio! — disse il Poeta. — Dicono che voi scrivete equazioni che un giorno ricostruiranno il mondo. Dicono che una nuova luce stia per sorgere. Se vi dovrà essere la luce, allora qualcuno dovrà essere biasimato per l'oscurità che è passata.

— Ah, e quindi è necessaria la capra. — Il Thon Taddeo guardò l'abate. — Un battuta disgustosa. È il meglio che sa fare?

— Noterete che è disoccupato. Ma parliamo di qualcosa di più sens…

— No, no, no, no! — obiettò il Poeta. — Voi avete frainteso ciò che intendevo dire, Vostro Splendore. La capra dovrà essere accolta in un tempio ed onorata, non biasimata! Incoronatela con la corona che vi ha mandato San Leibowitz, e ringraziatela per la luce che sorge. Poi biasimate Leibowitz, e cacciate lui nel deserto. In questo modo, voi non dovrete portare la seconda corona. Quella di spine. Responsabilità, è chiamata.

L'ostilità del Poeta aveva rotto gli argini; non cercava più di sembrare divertente. Il thon lo fissò, gelidamente. Il tacco dell'abate ondeggiò sul piede del Poeta, e ancora ne ebbe riluttante misericordia.

— E quando — disse il Poeta — l'esercito del vostro protettore verrà per impadronirsi di questa abbazia, la capra potrà essere posta nel cortile e istruita a belare "Qui non c'è nessuno tranne me, qui non c'è nessuno tranne me" ogni volta che si presenti uno straniero.

Uno degli ufficiali si levò dallo sgabello con un grugnito collerico; la sua mano si posò per riflesso sulla sciabola. Sollevò l'impugnatura, e sei centimetri d'acciaio scintillarono un avvertimento al Poeta. Il thon afferrò il polso dell'ufficiale e cercò di ricacciare la lama nel fodero, ma era come spingere il braccio di una statua di marmo.

— Ah! Uno spadaccino, non soltanto un disegnatore! — schernì il Poeta, che a quanto pareva non aveva paura di morire. — I vostri disegni delle difese dell'abbazia mostrano una tale promessa di artistiche…

L'ufficiale latrò una bestemmia e la lama uscì completamente dal fodero. I suoi due compagni l'afferrarono, tuttavia prima che potesse scattare. Un rombo attonito si levò dalla congregazione, mentre i monaci sbalorditi si alzavano. Il Poeta continuava a sorridere, blandamente.

— …di artistica evoluzione — continuò. — Io predico che un giorno il vostro disegno delle gallerie che si aprono sotto le mura verrà appeso in un museo di belle…

Un tonfo sordo venne di sotto la tavola. Il Poeta si interruppe a metà di un morso, abbassò l'osso dalla bocca, e impallidì, lentamente. Masticò, deglutì, e continuò a impallidire. Guardò distrattamente verso il soffitto.

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