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«Perché hai chiamato Potter per risolvere quel particolare problema?» chiese Nourse.

Svengaard inspirò, provò un brivido, disse, «Lui… la configurazione genetica dell’embrione… ne faceva quasi un Optimate. Potter ha operato spesso nel nostro ospedale. Lui… ho piena fiducia in Potter; è un brillante dot… ingegnere genetico.»

«Dicci adesso se sei amico di qualche altro farmacista,» volle sapere Calapine.

«Essi… lavoro con loro quando vengono nel nostro ospedale,» disse Svengaard.

«Calapine,» finì per lui Nourse.

Calapine fu scossa da una risata squillante.

Il volto di Svengaard divenne paonazzo per l’ira. A che razza di prova lo stavano sottoponendo? Perché lo stavano interrogando, prendendosi gioco di lui?

La rabbia gli fece ritrovare l’uso della voce e così replicò, «Io sono soltanto il capo di un dipartimento di ingegneria genetica in un ospedale, Nourse, dunque non sono un tecnico che occupa una posizione elevata. Mi occupo soltanto di interventi che rientrano nella norma. Quando mi trovo di fronte a qualcosa che richiede l’opera di uno specialista, obbedisco alle direttive, e lo chiamo. In questo caso, Potter era lo specialista maggiormente indicato.»

«Era uno degli specialisti,» lo corresse Nourse.

«Uno degli specialisti che ammiro e rispetto,» ribatté Svengaard. Non si curò neppure di aggiungere il nome dell’Optimate.

«Ora di’ se sei arrabbiato,» ordinò Calapine, e ancora una volta Svengaard percepì quel tono musicale nella voce della donna.

«Lo sono.»

«Spiegaci il perché.»

«Per quale motivo sono qui?» chiese Svengaard. «Perché mi state sottoponendo a questo interrogatorio? Ho commesso qualche reato? Verrò punito?»

Nourse si sporse in avanti, puntando le mani sulle ginocchia. «Tu osi rivolgerci delle domande?»

Svengaard fissò l’Optimate. Nonostante il tono, il volto squadrato dell’uomo era atteggiato in un’espressione rassicurante. «Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi,» dichiarò Svengaard. «Qualsiasi cosa. Ma come posso aiutarvi o rispondervi, se non so cosa volete?»

Calapine fece per parlare, ma Nourse la bloccò sollevando una mano.

«Dirtelo rappresenta il nostro più profondo desiderio,» spiegò Nourse. «Ma sicuramente tu sai che noi non possiamo comprenderci veramente. Una ciotola di legno può contenere dell’acido solforico? Abbi fede in noi. Noi abbiamo a cuore il benessere dell’umanità intera.»

Un senso di calore e gratitudine invase Svengaard. Certo che si fidava di loro! Erano il vertice genetico dell’intera razza umana. Poi ricordò a se stesso: Loro sono i potenti che ci amano e si prendono cura di noi.

Svengaard sospirò. «Cosa volete che io faccia?»

«Hai risposto a tutte le nostre domande,» disse Nourse. «E perfino a ciò che non ti abbiamo chiesto.»

«Ora dimenticherai tutto quello che abbiamo detto,» ordinò Calapine. «Non riferirai la nostra conversazione a chicchessia.»

Svengaard si schiarì la gola. «A nessuno… Calapine?»

«A nessuno.»

«Max Allgoood mi ha chiesto di riferirgli…»

«Dovrai rifiutarti,» disse lei. «Non avere timore, Thei. Noi ti proteggeremo.»

«Se è questa la tua volontà, Calapine,» dichiarò Svengaard.

«Non desideriamo che tu ci consideri ingrati, o creda che noi non apprezziamo i tuoi servigi e la tua lealtà,» disse Nourse. «Ci teniamo alla tua buona opinione su di noi, e non vorremmo apparire freddi o insensibili ai tuoi occhi. Sappi che la nostra prima preoccupazione è sempre il benessere della razza umana.»

«Sì, Nourse,» disse Svengaard.

Si trattava di un discorso gratuito e il tono con cui fu pronunciato inquietò Svengaard, ma nondimeno lo aiutò a schiarirsi la mente. Cominciava a capire la loro curiosità, ad intuire i loro sospetti. Che adesso erano diventati anche i suoi. Potter aveva tradito la sua fiducia, non era così? Quel nastro non era stato cancellato per caso. Molto bene… i colpevoli avrebbero pagato.

«Adesso puoi andare,» gli disse Nourse.

«Con la nostra benedizione,» aggiunse Calapine.

Svengaard si inchinò. E si rese conto che Schruille non aveva detto una parola né si era mosso durante l’intero colloquio. Si chiese perché quel particolare all’improvviso lo spaventasse tanto. Quando si girò, gli tremavano le ginocchia; ancora una volta scortato dagli accoliti che agitavano i turiboli fumanti, uscì dalla sala.

La Tuyere rimase ad osservarlo finché la barriera non si abbassò alle spalle di Svengaard.

«Ecco un altro che non sa nulla su ciò che ha ottenuto Potter,» commentò Calapine.

«Sei sicura che Max non lo sappia?» chiese Schruille.

«Assolutamente,» dichiarò lei.

«Allora avremmo dovuto dirlo anche a lui.»

«E rivelargli il modo in cui l’abbiamo saputo?» ribatté Calapine.

«So cosa intendi dire,» disse Schruille. «Uno strumento spuntato è inutile.»

«Svengaard è uno di quelli di cui possiamo fidarci,» disse Nourse.

«Si dice "camminare sul filo del rasoio",» fece notare Schruille. «E quando si cammina sul filo di un rasoio, bisogna fare molta attenzione a dove si mettono i piedi.»

«Che idea disgustosa,» fu il commento di Calapine. Si girò verso Nourse. «Ti stai dedicando ancora a da Vinci, mio caro?»

«Sì, alla sua pennellata,» rispose Nourse. «Imitarla richiede molta applicazione. Ma dovrei riuscire a replicarla alla perfezione in quaranta o cinquanta anni. Molto presto, in ogni caso.»

«Purché tu compia tutti i passi in maniera appropriata,» commentò sardonico Schruille.

Nourse replicò, «Qualche volta, Schruille, il tuo cinismo raggiunge i limiti della buona educazione.» Si girò, studiò i quadranti, i sensori, le spie e gli schermi inseriti tra lui e Calapine nella parete interna del globo. «Oggi tutto è ragionevolmente tranquillo. Cal, lasciamo il controllo a Schruille, andiamo a fare una nuotata, e magari una puntatina in Farmacia.»

«Mantenersi in esercizio, mantenersi in esercizio,» si lamentò Schruille. «Hai mai pensato di fare venticinque vasce, invece di venti?»

«Ultimamente fai delle affermazioni tra le più sorprendenti,» si stupì Calapine. «Vorresti forse che Nourse metta a repentaglio il suo equilibrio chimico? Temo di non riuscire più a comprenderti.»

«Non ci provi neppure,» replicò Schruille.

«Possiamo fare qualcosa per te?» chiese Calapine.

«I miei bioritmi mi hanno sprofondato in una terribile monotonia,» ammise Schruille. «Voi non potete far nulla per rimediare a questa situazione?»

Nourse osservò Schruille attraverso il riflettore prismatico. Ultimamente la voce di Schruille, con il suo tono lagnoso, stava diventando così irritante! Nourse iniziava già a rimpiangere che la comunione di gusti e la necessità li avessero messi insieme. Ma forse, quando sarebbe terminato il mandato della Tuyere…

«Monotonia,» ripeté Calapine. Poi si strinse nelle spalle.

«C’è qualcosa di trionfale in una monotonia ben ponderata,» disse Nourse. «È una frase di Voltaire, se non mi sbaglio.»

«Strano, sembrava proprio una delle tue,» ironizzò Schruille.

«Qualche volta mi sembra utile invocare un benigno interessamento nei confronti della Gente,» disse Calapine.

«Anche quando siamo soli?» chiese Schruille.

«Pensa al fato dell’infermiera addetta al computer,» disse Calapine. «In astratto, naturalmente. Non provi un senso di rammarico o di pietà?»

«La pietà è un’emozione inutile,» ribatté Schruille. «E il rammarico è pericolosamente affine al cinismo.» Sorrise. «Ti passerà. Andate pure a nuotare. E quando vi sentirete in forma, pensate a me… che sono qui.»

Nourse e Calapine si alzarono, richiesero i raggi trasportatori.

«Efficienza,» disse Nourse. «Dobbiamo esigere maggiore efficienza da coloro che ci servono. Le cose devono funzionare meglio.»

Schruille sollevò lo sguardo su di loro, mentre attendevano i raggi. Desiderava soltanto non udire più il frastuono incoerente delle loro voci. Non capivano, non volevano capire.

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