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— Ebbene, siete il signor Powell, no?

— Sì. Buongiorno Barbara.

— E quale buon vento vi porta questa mattina al nostro piccolo regno? — Continuò a scendere, sfiorando appena lo scorrimano con la punta delle dita: inciampò all’ultimo gradino.

Powell la sostenne.

Lei alzò lo sguardo su di lui. — Voi rimanete qui, per favore. Io scenderò nuovamente dalle scale e scommetto che questa volta ci riuscirò perfettamente.

— Scommetto che non ci riuscirai.

Lei si volse, salì trotterellando, sostò un attimo alla sommità in un atteggiamento aggraziato e incominciò la grande discesa. — Non sono più la bimbetta che ero ieri. Sono cresciuta enormemente. Dovete considerarmi come una donna fatta ora. — Superò l’ultimo gradino e gli rivolse uno sguardo intento. — Va bene?

— Splendidamente, cara.

Improvvisamente Barbara rise, lo spinse verso una sedia e gli saltò in braccio. Powell brontolò.

— Piano, Barbara. Sei cresciuta enormemente e pesi tanto di più.

— Come mai ero convinta che foste mio padre? — domandò lei.

— E che cosa ci sarebbe da ridire se lo fossi?

— Vi sentite come un padre nei miei riguardi? Io non mi sento affatto come una figlia nei vostri riguardi.

— Ah, sì? E come ti senti?

— Io ho fatto la domanda per prima, così voi dovete rispondere per primo.

— I miei sentimenti verso di te sono quelli di un padre affezionato e devoto.

Arrossì di stizza e si alzò dalle sue ginocchia. — Volevo che foste serio perché ho bisogno del vostro consiglio.

— Scusami, Barbara. Che hai?

S’inginocchiò accanto a lui e gli prese una mano. — C’è una grande confusione in me quando penso a voi.

— Sì, lo so.

— E anche voi avete la stessa impressione.

— È vero. È così anche per me.

— È male?

Powell si alzò dalla sedia e cominciò a misurare la camera a grandi passi, con aria triste. — No, Barbara, non è male. Noi due siamo quattro persone: due in te e due in me.

— Perché?

— Sei stata ammalata, tesoro, così abbiamo dovuto farti ritornare bambina e lasciarti crescere di nuovo. Ecco perché in te ci sono due persone. La Barbara adulta interiormente, la bambina, esternamente.

— E voi?

— In me ci sono due adulti. Uno sono io. L’altro è un membro del Consiglio Direttivo della Lega degli Esper.

— Quando non mi sento come una figlia nei vostri riguardi, che cosa mi fa sentire così?

— Non lo so, Barbara.

— Dovete saperlo. Perché non lo dite? — Gli si accostò e gli mise le braccia intorno al collo. Una donna fatta dai modi infantili. — Se io vi amo…

Benone pensò Powell disperato. Ricordi Gally Chervil? Tocca a te ora. Che cosa farai ora? Riconoscerai la verità?

Sì. La risposta gli venne dalle scale. Mary stava scendendo con una valigia in mano. Ammetti la verità.

Non è una esper.

Dimenticalo. È una donna innamorata di te. Tu sei innamorato di lei. In nome di Dio, non sciupare quest’occasione.

Un’occasione che condurrebbe dove? A una breve vicenda se pure riesco a uscir vivo da questo pasticcio! È tutto quello che potrebbe esserci tra noi.

Ti sarà grata anche solo di questa speranza. Domandalo a me. Io lo so bene.

E se non esco vivo? Non le resterebbe altro che la vaga memoria di un mezzo amore.

Powell rise. — Bambina mia! Che cosa ti fa pensare che io ti voglia bene in questo modo? Non è così. Non lo è mai stato.

— Sì che lo è.

— Guarda me. Guarda Mary. Sei cresciuta, non è vero? Non riesci a capire?

In nome di Dio, Pres!

Scusa, Mary, ho dovuto servirmi di te.

Sto preparandomi a dirti addio, forse per sempre. Non è già abbastanza triste per me, questo?

Barbara fissò Mary. Poi Powell. Scoppiò in lacrime e disse singhiozzando: — Oh, andate via! Perché andate via?

— Sì, andiamo via, Barbara! — disse Mary.

Prese il braccio della ragazza e la condusse verso la porta.

— C’è una Cavalletta che aspetta, Mary.

Ci sono io che aspetto, Pres. Aspetto te, sempre. E ci sono i Chervil, gli Akins, i Jordan e…

Lo so. Voglio bene a tutti voi. Baci. Benedizioni.

Rimase sulla soglia seguendo con lo sguardo la Cavalletta che spariva nel cielo azzurro-acciaio, in direzione del Kingston Hospital. Era esausto. Si sentiva vagamente orgoglioso di se stesso per aver compiuto il sacrificio, ma nello stesso tempo si vergognava profondamente del fatto di sentirsi orgoglioso e lucidamente malinconico. Vedere dinanzi a sé l’immensa città, brulicante di quattordici milioni e mezzo di abitanti, e non c’era una sola anima per lui.

Il primo impulso venne, un sottile zampillo d’energia latente. L’avvertì distintamente e gettò un’occhiata al suo orologio. Dieci e venti. Così presto? Meglio prepararsi.

Rientrò in casa e salì in camera sua. La sua psiche cominciava a palpitare e vibrare mentre egli si curvava in se stesso a raccogliere quei minuscoli rivoli d’energia latente. Si cambiò d’abito, equipaggiandosi per qualsiasi tempo, e…

L’energia gli giungeva a torrenti, ora: un mare agitato di massa energetica fluiva in Powell.

Uscì di casa, vagabondò per le strade cieco, sordo, insensibile, immerso in quella massa ribollente di latente energia, come un veliero sorpreso da un tifone che lotta per trasformare il turbine che lo squassa in vento benefico che lo sospinga in salvo. Così Powell lottava per assorbire quel pauroso torrente, per accumulare quell’energia latente, per convogliarla in un’azione efficace e servirsene per la Disintegrazione di Reich prima che fosse troppo tardi.

16

Distruggete il labirinto.

Demolite il dedalo.

Annullate.

Demolite.

Infinito zero. Non c’è…

— Che cosa non c’è? — urlò Reich. Lottò per liberarsi dalle coperte e dalle mani che lo trattenevano. — Che cosa non c’è?

— Non ci saranno più incubi — disse una ragazza.

Reich aprì gli occhi. Si trovava in un letto di foggia antiquata. Con lenzuola e coperte all’antica. Duffy Wigs, fresca e candida, tentò di farlo appoggiare ai guanciali.

— Ero sveglio — disse egli gravemente. — Ho udito… non so che cosa ho udito. Infinito e zero. Cose importanti. Poi mi sono addormentato.

— Vi sbagliate — disse Duffy sorridendo. — Ora siete sveglio.

— Sono addormentato! — gridò Reich. — Mi devo svegliare, Duffy, devo ritornare alla realtà!

Duffy si chinò su di lui e lo baciò forte sulla bocca. — Che ne dite? Vi sembra reale?

— Non capisco. Ho avuto tante allucinazioni. Debbo riprendere il mio equilibrio prima che sia troppo tardi.

Duffy alzò vivamente le mani. — Anzitutto quel dannato dottore vi ha trovato svenuto, poi ha giurato che vi eravate rimesso… e ora guardatevi: psicopatico!

— Chi mi ha trovato svenuto?

— Rocky Martin. Un dottore mio amico. Di fronte al Comando di Polizia.

— E voi mi avete portato qui?

— Certo. Era il solo modo che avevo per offrirvi ospitalità nel mio letto.

Reich scoppiò in una risata. — Non mi avevate chiesto una volta che mi occupassi di voi per aprirvi una strada in società?

— Pensavo che vi avrei incontrato gente migliore.

— Ditemi che strada volete percorrere e l’avrete. Volete una strada da qui a Marte? L’avrete. Volete che trasformi l’intero Sistema Solare in una strada per voi?

— Carissimo, così modesto e così ubriaco.

— Ubriaco? Certo che ho bevuto.

Reich mise le gambe fuori dal letto e si rizzò in piedi, barcollando un poco, le mise un braccio attorno alla vita per sostenersi. — Perché non dovrei aver bevuto? Ho battuto D’Courtney. Ho battuto Powell. Ho davanti a me sessant’anni per dominare l’intero universo. Vi piacerebbe fondare una dinastia con me, Duffy?

— Non saprei come comportarmi, per fondare una dinastia.

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