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Paura…

Marie voltò lentamente le pagine, concentrandosi per decifrare i caratteri inconsueti.

Tensione…

—  Il gioco — gridò Marie — si chiama Sardina. Non è meraviglioso?

Ha abboccato. Fra tre minuti sarò invisibile. Reich si tastò le tasche. C’erano: la pistola scarica e il Rhodopsin. Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già.

— Un giocatore — disse Marie — viene scelto a fare da Sardina. Si spengono tutte le luci e la Sardina si nasconde.

Mentre Marie cercava di orientarsi nella spiegazione, la grande sala cadde in una fitta oscurità ad eccezione di un unico roseo chiarore sul palcoscenico.

— Successivamente ogni giocatore trovando le Sardine si unisce al gruppo finché tutti si trovano a starsene nascosti in un solo posto e l’ultimo giocatore che è il perdente viene lasciato solo a vagare nel buio. — L’ultimo raggio di luce scomparve. Reich era finalmente invisibile. Aveva mezz’ora per sgusciare ai piani superiori, uccidere D’Courtney e ritornare a partecipare al gioco. T8 doveva tener lontani dal suo campo d’azione i due segretari. Non c’era pericolo. Ci sarebbe riuscito anche uno sciocco: l’unico problema era la presenza del giovane Chervil. L’avrebbe affrontato.

Attraversò la sala principale e si fece strada tra le persone che si affollavano presso l’arco ovest. Lo attraversò, entrando nella sala di musica. Da un piano aperto provenivano note discordi, attutite. Concentrato in se stesso, Reich non si curò di nulla e voltò a destra, cercando a tentoni le scale. Dal primo piano gli giunsero un’imprecazione e un tonfo, poi un rumore di passi rapidi e qualcosa di morbido urtò contro di lui.

— Se mi toccate — gridò la voce di Duffy Wygs con tono isterico — vi ucciderò.

Reich si sentì gelare. — Duffy! — esclamò e subito avrebbe voluto mordersi la lingua.

— Ma chi è? Il signor Reich?

— Sì.

La mano di lei gli tastò il braccio e avvertì la trama del tessuto. — Dio vi benedica, signor Reich. — S’appoggiò a lui debolmente. — Dio benedica questo orribile tweed.

— Che cosa c’è Duffy? Non ti va che qualcuno si occupi di te?

— Non mi va la compagnia.

— Allora torna in Melody Lane.

Gli si aggrappò al braccio. — È la prima e l’ultima volta che vengo qui. Come si può uscire da questo porcile?

— Torna nella sala principale e sali su per la scalinata.

— Ma non riesco a orientarmi. Accompagnatemi fuori di qui signor Reich. Ho bisogno di una guardia del corpo.

Tormentato da una furiosa impazienza si mise a cercare delle scuse. Una voce disgustata disse dietro di lui; — Posso farvi un favore, signor Reich?

— Chi è?

— Un fuggiasco, Galen Chervil. Un po’ a terra.

Otto, amico; sette, arnico; sei, amico; cinque, amico…

La figura del giovane Chervil si disegnò indistintamente nell’ombra. — Ho dovuto darmela a gambe per fuggire via da quel… ritratto. Sto ancora correndo fra attacchi di nausea. Non sono mai stato più felice di perdere cinquanta dollari.

Quattro, amico; tre, amico; due, amico. Uno!

— Anch’io me la sto battendo — disse Duffy.

— Come i bambini perduti nel bosco — disse Chervil. — Alta società! Ma che schifo. Battiamocela insieme.

— Sapete orientarvi nel buio?

Tira, disse Molla; Molla, disse Tira…

— Ci riuscirò. Datemi la mano, Duffy.

— Come fate a sapere il mio nome?

— Per puro caso. Non sono in me stesso stasera. Venite con noi, signor Reich?

Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già.

— No — disse Reich con voce soffocata. — Mi piacerebbe, ma è impossibile. Voi ragazzi andatevene. Su!

I due si allontanarono in fretta.

Ai piedi della scalinata fu costretto a passare su di una barriera di corpi che, con braccia tenaci come tentacoli di polipo, cercavano di trascinarlo giù. Salì le scale, diciassette eterni gradini, e proseguì a tastoni attraverso uno stretto corridoio tappezzato di velluto. Improvvisamente qualcuno gli sbarrò il passaggio. Una donna gli si incollò.

— Ciao, Sardina — gli bisbigliò all’orecchio. — Ohi! — esclamò sentendo la dura massa della pistola nel suo taschino.

Si liberò di lei e andò a battere il naso contro la parete di fondo del corridoio. Allora girò a destra; aprì la porta e si trovò in una galleria a volta, lunga più di quindici metri.

Anche qui le luci erano spente ma le tele fluorescenti, splendendo sotto l’azione dei raggi ultravioletti, riempivano la galleria di un vivo bagliore. Era vuota.

Tra una livida Lucrezia e una folla di floride Sabine si apriva una porta di bronzo lucido. Reich si fermò, trasse dalla tasca posteriore il piccolo ionizzatore Rhodopsin e cercò di bilanciare il tubo di rame tra il pollice e l’indice. Le sue mani erano scosse da un tremito così violento che non riusciva a controllarne i movimenti.

Finalmente bilanciò la capsula Rhodopsin, poi spalancò la porta di bronzo; nove gradini portavano all’anticamera. Reich premette il pollice contro il tubo di rame col movimento che si usa per lanciare una biglia.

Mentre il proiettile Rhodhopsin descriveva una traiettoria per l’anticamera Reich distolse lo sguardo. Ci fu un freddo lampo purpureo. Reich salì i gradini di corsa. I due guardiani di casa Beaumont sedevano sulla panca dove lui li aveva colpiti, i visi abbassati, il senso visivo distrutto, il senso del tempo abolito, i centri motori sconvolti da un susseguirsi di corti circuiti. Erano fuori dal mondo.

Se qualcuno fosse entrato e avesse scoperto i guardiani prima della completa esecuzione dell’azione, sarebbe stata la rovina. Se i guardiani si fossero risvegliati prima che tutto fosse finito, sarebbe stata la rovina. Qualunque imprevisto poteva rappresentare la rovina.

Abbandonando l’ultimo rimasuglio di umanità, Reich spalancò una porta intarsiata di gioielli ed entrò nella camera nuziale.

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Reich si trovò in una stanza sferica che era come il cuore di una gigantesca orchidea. Le pareti erano petali ricurvi, le colonne stami, il pavimento un calice dorato; le sedie, i tavoli e i divani erano color orchidea e oro. Ma la camera era antica… antica… i petali sbiaditi e ingialliti, il pavimento di piastrelle dorate secolare e i mosaici scrostati. Su un divano giaceva un uomo vecchissimo, vizzo e rinsecchito, come un’erbaccia secca, come la velenosa radice di mandragola essiccata.

Era D’Courtney, immobile come un cadavere.

Reich sbatté la porta furibondo. — Non può essere morto! Non posso venire deluso a questo modo!

Quel rudere d’uomo s’alzò, sbarrò gli occhi, poi penosamente si levò dal divano, mentre il volto gli si schiudeva in un sorriso.

— Ancora vivo! — gridò Reich esultante.

D’Courtney avanzò lentamente verso Reich continuando a sorridere, le braccia tese come se volesse dare il benvenuto al figliol prodigo.

Di nuovo allarmato Reich grugnì; — Siete sordo?

Il vecchio scosse la testa.

— Io sono Reich. Ben Reich della Sacramento — gridò Reich.

D’Courtney sempre sorridendo annuì. Schiuse le labbra senza emettere suono. Gli occhi gli brillarono di lacrime improvvise.

— Ma che cosa diavolo avete! Io sono Reich, Ben Reich! Mi conoscete? Rispondetemi.

D’Courtney scosse il capo e si batté una mano sulla gola. La sua bocca si schiuse di nuovo. Ne uscirono suoni rauchi; poi parole lievi come polvere: — Ben… Ben caro… ho aspettato tanto. Ora… non posso parlare. La mia gola… non posso parlare. — Di nuovo tentò di abbracciare Reich.

Scosso da un tremito di animale in agguato Reich girò attorno a D’Courtney, il collo teso, il sangue ribollente di sete assassina, gli occhi ossessionati dall’immagine dell’agonia di D’Courtney. Ansava. Si venne a mettere in faccia a D’Courtney, e sbarrò gli occhi in viso al vecchio.

La bocca di D’Courtney formò le parole: — Caro Ben…

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