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— Cominciate con Ben Reich, per prima cosa sposatelo, poi…

— È abbastanza. Quando incominciamo?

— Poi metterete al mondo dei figli e vedrete Ben Reich impadronirsi della D’Courtney e fonderla con la Sacramento. Vedrete i suoi nemici cadere… così — Reich sferrò un calcio contro la gamba di una tavola da toilette di legno intagliato. Questa si sfasciò. — La Case Umbrel di Venere. Spacciata!

Reich sferrò un pugno su un tavolino da notte scolpito, e lo abbatté. La United Transaction di Marte. Stritolata e divorata. La GCI Combine di Ganimede, Callisto e Io. La Chemical Atomical di Titano… e poi la minutaglia: la Lega degli Esper, i moralisti, i patrioti… Spacciati! — Rovesciò un nudo marmoreo dal suo piedestallo che andò in pezzi.

— Siate furbo, signor Reich! — Duffy gli si appese al collo. — Perché sprecate tutte queste energie?

Egli la sollevò tra le braccia e la strinse fino a farla gridare. — Alcune parti del Sistema saranno dolci come te, Duffy, altre insopportabilmente nauseanti… Ma io le ingollerò tutte. — Scoppiò in una risata e la premette forte contro di sé. — Sconvolgeremo il mondo intero, Duffy, e lo ricostruiremo a nostro piacimento. Tu, io e la nostra dinastia.

La portò accanto alla finestra, scostò le cortine. Fuori la città era avvolta in un’oscurità vellutata. Solo le vie del cielo e le strade palpitavano di luce e qua e là gli occhi scarlatti di una Cavalletta foravano il buio.

— Voi là fuori! — Reich tuonò. — Potete udirmi? Tutti voi che state dormendo e sognando: d’ora in poi i miei sogni saranno i vostri.

Si aggrappò all’intelaiatura della finestra e sporse la testa nel buio, torcendo il collo per guardare più in alto. Quando si ritrasse, la sua faccia aveva un’espressione delusa.

— Voglio urlarlo alle stelle — disse. — Ma non ci sono, stanotte.

Duffy lo guardò incuriosita. — Che cosa non ci sarebbe?

— Le stelle. Dai un’occhiata in cielo. C’è solo la luna.

— Ma sempre è così! — disse Duffy.

— Ma no! Dove sono le stelle?

— Che stelle?

— Come diavolo posso sapere tutti i loro nomi? Non sono un astronomo io. Che cosa è accaduto delle stelle?

— Ma che cosa sono queste stelle? — chiese Duffy.

Reich l’afferrò selvaggiamente. — Astri incandescenti e irradianti luce. A migliaia e migliaia brillano nella notte. Che cosa diavolo hai? Non capisci?

Duffiy scosse il capo. Aveva il viso spaventato. — Non so di che cosa parli, Ben. — Egli l’allontanò da sé, andò nel bagno e vi si rinchiuse. Mentre si lavava e vestiva frettolosamente, la udì chiamare al telefono il Kingston Hospital, con voce sommessa.

— Lasciamo pure che si metta a raccontare la storia delle stelle — mormorò Reich, combattuto tra l’ira e il terrore. Ritornò nella stanza. Duffy riattaccò il ricevitore in fretta e furia e si volse a lui. — Aspettate qui — brontolò — vado a chiarire la questione.

— Quale questione?

— Quella delle stelle! — urlò.

Si precipitò in strada. In un vicolo deserto, si fermò e alzò di nuovo lo sguardo. C’era la luna. C’era un vivido punto di luce rossa… Marte. Ce n’era un altro… Giove. Null’altro. Oscurità. Pendeva sul suo capo, misteriosa, terrificante. Cominciò a correre, sempre con lo sguardo verso il cielo. Svoltando all’angolo del vicolo andò a urtare contro una donna. La prese per un braccio e le indicò il cielo. — Guardate! Vedete anche voi quello che vedo io? Le stelle sono scomparse!

— Che cosa è scomparso?

— Le stelle. Non vedete? Sono scomparse.

— Non so di che cosa parliate, siete forse un pilota? Venite, andiamo a ballare. — Le fuggì dalle grinfie e si mise a correre. A metà vicolo c’era una cabina telefonica. Vi entrò e chiamò l’ufficio informazioni.

— Che ne è delle stelle? — chiese Reich. — Quando sono sparite? Ormai il fatto dovrebbe essere stato segnalato. Qual è la spiegazione?

Si udì un lieve scatto, poi silenzio. — Volete ripetere più chiaramente la parola, prego?

— Stella! — urlò Reich. — S-t-e-1-l-a! Stella!

— Sostantivo o verbo?

— Andate al diavolo! Sostantivo.

— Spiacenti di non potervi dare l’informazione: non riusciamo a rintracciare la parola — annunciò la voce lontana.

Reich lanciò un’imprecazione, poi si sforzò di riprendere il dominio di sé. — Dov’è il più vicino Osservatorio?

— L’Osservatorio lunare di Croton Park dista trenta miglia in direzione Nord. Lo potrete raggiungere con il servizio Cavalletta della linea Nord 227. L’Osservatorio lunare fu fondato nell’anno duemila…

Reich riattaccò violentemente il ricevitore. — Impossibile darvi l’informazione? Sono tutti pazzi? — Corse per le strade in cerca di una Cavalletta pubblica. Una gli passò sopra il capo. Reich fece un cenno al conducente. L’apparecchio atterrò per caricarlo a bordo.

— Nord 227 — disse salendo. — L’Osservatorio lunare.

L’apparecchio si mise in moto. Reich si trattenne per cinque minuti, poi cominciò con noncuranza. — Avete notato il cielo?

— Ebbene, signore?

— Le stelle sono scomparse.

Risata compiacente.

— Ma non è uno scherzo — disse Reich. — È vero.

— Se non è uno scherzo, allora spiegatevi — disse il conducente. — Che cosa diavolo sono le stelle?

Prima che Reich avesse il tempo di esplodere, l’apparecchio lo depose nei pressi dell’Osservatorio. Egli sibilò: — Aspettatemi — e attraversò il prato di corsa.

Appena entrato, udì il cupo ronzìo del meccanismo della cupola, e il lieve ticchettìo dell’orologio dell’Osservatorio. La stanza era avvolta in un’oscurità rotta solo dal fioco chiarore dell’orologio luminoso. Riuscì a distinguere l’osservatore, una figura nebulosa, curva sull’oculare del telescopio.

— Sentite — disse Reich a bassa voce. — Spiacente di disturbarvi, ma dovete aver notato il fatto. Che cosa è accaduto? Dove sono le stelle?

La figura si raddrizzò lentamente, si volse a Reich. — Non ci sono stelle — disse. Era l’Uomo senza Volto.

Reich uscì a precipizio, discese i gradini di corsa e attraversò il prato dirigendosi all’apparecchio in attesa. Andò a sbattere contro i cristalli della cabina e cadde. Il conducente lo aiutò a rialzarsi. — Tutto bene, amico?

— Non so — brontolò Reich.

— Non è affar mio, ma penso che fareste bene a consultare una telespia.

Reich prese l’uomo per il bavero. — Sono Ben Reich della Sacramento.

— Vi avevo riconosciuto.

— Bene. Sapete che cosa posso darvi in cambio di un favore? Denaro, un nuovo lavoro, tutto quel che volete…

— Non potete far nulla per me amico, sono già sistemato al Kingston.

— Meglio così. Un individuo onesto, finalmente. Mi volete fare un grande favore?

— Certo, amico.

— Entrate in quell’edificio. Date un’occhiata all’uomo che sta al telescopio. Guardatelo bene. Tornate qui e descrivetemelo.

Il conducente si allontanò, scomparve per cinque minuti, poi tornò e riferì:

— Sui sessanta. Calvo. Faccia segnata da rughe profonde. Orecchie a sventola. Mento sfuggente.

— Non è nessuno… nessuno — mormorò Reich.

— Che cosa?

— Parlavo delle stelle — disse Reich. — Non ne avete davvero mai sentito parlare? Non le avete mai viste? Non sapete a che cosa mi riferisco?

— Non agitatevi troppo, amico. Vi dirò io qualcosa. Mi hanno insegnato tante cose al Kingston, per esempio che qualche volta uno si ficca in mente un’idea assurda. Per esempio che gli uomini abbiano sempre avuto un occhio solo ed ora all’improvviso ne abbiano due.

Reich lo fissò stupito.

— Così ve ne andate in giro urlando: Come mai tutto d’un tratto avete due occhi? e loro rispondono: Ne abbiamo avuti sempre due. E voi dite: Ma no che non li avevate. Mi ricordo benissimo che tutti avevamo un occhio solo. E ci credete, per Dio, e ce ne vuole del tempo per togliervi di mente quell’idea.

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