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— Siete pazzo, Reich.

— Ah, sì? Perché mi ha sottratto Ellery West e Breen? Sa che l’unica difesa di cui io possa disporre contro i suoi tranelli è una telespia.

— Ma come può un poliziotto comportarsi come voi dite, Reich?

— E perché no? Chi sospetterebbe di un poliziotto? Al suo posto io farei la stessa cosa. Benissimo, ora lo ripagherò della stessa moneta! — S’avvicinò a Chooka e la obbligò ad alzarsi. — Chiama Powell. Digli di venire qui subito.

— No, Reich…

— Ascoltami, dannata chiromante. Bastion West è proprietà della D’Courtney. Ora che il vecchio D’Courtney è morto, il proprietario sono io. Tu dipendi da me, Chooka. Vuoi continuare i tuoi affari? Telefona a Powell.

— È una telespia. Quando arriverà capirà subito che mento.

— Aspetta un minuto — disse Reich, poi si trasse la pistola-stiletto di tasca e la ficcò tra le mani di Chooka. — Digli che la ragazza D’Courtney l’ha lasciata qui. È l’arma che mandò D’Courtney dritto all’inferno.

— E gliela consegnate?

Reich rise. — Prima di averla cadrà in un tranello.

Spinse Chooka verso l’apparecchio telefonico, la seguì e si avvicinò allo schermo rimanendone però al di fuori. Nella mano brandiva il disgregatore con aria significativa.

La donna compose il numero di Powell. Mary Noyes apparve sullo schermo, rispose a Chooka e andò a chiamare Powell. Poi apparve l’ispettore, il magro viso sofferente, gli occhi scuri segnati da grandi ombre.

— Io… io ho qui qualcosa che potrebbe interessarvi, signor Powell — balbettò Chooka. — L’ho trovato per caso. La ragazza che avete portato via da casa mia l’ha lasciato qui. È la pistola che ha spedito suo padre dritto all’inferno. Vedete?

— È proprio lei, per Dio! — esclamò Powell. — Sarò da voi nel minor tempo che una Cavalletta può impiegare ad arrivarci.

Lo schermo si oscurò. Reich uscì a precipizio dalla Casa Arcobaleno e si infilò di corsa per i vicoli di Bastion West, finché non avvistò una Cavalletta pubblica. Lasciò cadere una moneta nella serratura, aprì la portiera e vi si infilò. Cerca di non pensare si disse. Cerca di non far piani. Affidati completamente al tuo istinto.

Reich lottò contro se stesso e il proprio autocontrollo per le tre miglia che lo separavano da Hudson Ramp. L’istinto assassino lo spinse a intrufolarsi nel giardino di Powell dal retro. Non seppe neppur lui il perché. Mentre apriva la portiera della Cavalletta, una voce metallica disse: — Attenzione, prego. Siete responsabile degli eventuali danni causati a questo apparecchio. Lasciate il vostro nome e indirizzo. Se saremo costretti a ricercarvi di nostra iniziativa, vi saranno addebitate le spese.

— Sarò responsabile di fatti ben più gravi — brontolò Reich.

— Si trattasse solo di questo! — Si calò sotto un fitto cespuglio fiorito e attese, con il disgregatore pronto a scattare. Allora comprese perché aveva deciso d’intrufolarsi in tal modo. La ragazza che aveva risposto al telefono attraversò di corsa il giardino dirigendosi alla Cavalletta. Reich attese. Nessun altro uscì dalla casa. La ragazza si girò verso di lui prima ancora di averlo udito. Una esper, evidentemente. Fece scattare la leva alla posizione di morte, ma l’istinto lo fermò di nuovo. Uccidi la ragazza in casa. Mettile addosso qualche bulbo esplosivo in modo che Powell caschi nella trappola. La paralizzò con il disgregatore, poi la prese per un braccio. In casa, Reich scorse nel salotto un lungo divano in stile moderno e vi adagiò la ragazza. Lei lottava contro di lui con tutte le sue energie tranne che con quelle del suo corpo paralizzato. Egli ebbe un ghigno selvaggio, si chinò e la baciò sulla bocca, poi la imbavagliò.

— I miei rispetti a Powell — disse alzando il disgregatore.

Qualcuno l’osservava.

Lanciò un rapido sguardo intorno al salotto. Non c’era nessuno. Si volse di nuovo alla ragazza. — Siete voi che mi date questa impressione con la vostra telepatia, esper? — Poi alzò l’arma. L’abbassò di nuovo.

Qualcuno lo stava osservando.

Questa volta Reich esplorò il salotto, guardando sotto le sedie, dentro gli armadi; perlustrò anche la cucina e il bagno. Nessuno. Ritornò in salotto, da Mary Noyes, poi pensò di salire al piano superiore. Si diresse alle scale, cominciò a salire, e si fermò con un piede a mezz’aria.

Qualcuno lo stava osservando. Si volse e la vide.

Lei era alla sommità delle scale, inginocchiata a scrutare attraverso le sbarre della ringhiera. Era vestita come una bambina, con un aderente pagliaccetto, i capelli ravviati all’indietro e raccolti con un nastro. Barbara D’Courtney.

— Sono Baba — disse.

Reich, tremante, le fece un lieve cenno. Lei discese le scale tenendosi cautamente aggrappata alla ringhiera.

— Non dovrei farlo — disse. — Sei un amico di papà?

Reich sospirò. — Io…

— Papà è dovuto andar via — cinguettò — ma torna subito. Se sarò buona mi porterà un regalo. Cerco di esserlo ma è terribilmente difficile. Tu sei buono?

— Torna subito vostro padre?

Lei annuì. — Hai baciato zia Mary. L’ho visto. Papà bacia me. Mi piace. A zia Mary piace? — Gli prese una mano fiduciosamente. — Quando divento grande sposo papà. Tu hai una bambina?

Reich scosse Barbara e la fissò in viso. — Credete che io mi lasci abbindolare così facilmente? Che cosa avete detto a Powell?

— È il mio papà — disse lei. — Quando gli chiedo perché il suo nome è differente dal mio prende un’aria strana. Tu come ti chiami?

— Credete di farvi beffe di me con questa commedia? Rispondetemi! Che cosa gli avete raccontato?

Lei incominciò a piangere, cercando di liberarsi dalla sua stretta. — Lasciatemi andare!

Reich la trascinò verso il divano dove Mary Noyes giaceva ancora paralizzata. Gettò la ragazza accanto a lei e di nuovo arretrò con l’arma spianata. D’improvviso la ragazza si drizzò in ascolto. Il suo viso perse quell’espressione infantile per contrarsi in una rigida smorfia. Balzò dal divano, si mise a correre, si arrestò di scatto, poi fece l’atto di aprire una porta. Si lanciò in avanti, i biondi capelli ondeggianti, gli oscuri occhi dilatati dal terrore… un improvviso bagliore di selvaggia bellezza.

— Papà! — gridò. — In nome di Dio! Papà!

Reich ebbe un tuffo al cuore. La ragazza correva verso di lui. Lui si tese in avanti per afferrarla. Lei fece un balzo a sinistra.

— No! — gridò. — No! Papà!

Reich l’afferrò mentre si divincolava e gridava. La ragazza s’irrigidì di colpo e si tappò le orecchie. Reich fu nella camera delle orchidee. Udì l’esplosione e vide sangue e materia cerebrale colare dal cranio di D’Courtney. La vide accasciarsi sul corpo immobile.

Reich ansimò e si batté insieme le nocche delle dita fino a farsi male, per riscuotersi. Non aveva mai previsto la possibilità di avere un testimone. Dannato Gus T8! Un momento. Non si trovava in casa Beaumont. Si trovava…

— Hudson Ramp numero 33 — lo informò Powell dalla porta di ingresso.

Reich si girò di scatto, alzò il disgregatore.

— Non ci provate — lo ammonì seccamente Powell.

— Figlio di un cane — urlò Reich. — Maledetta telespia!

Powell si curvò a sinistra, poi a destra, e diresse un vigoroso flusso di energia telepatica verso l’ulna di Reich. L’arma cadde a terra. Reich cercò di sostenersi vacillando, aggrappandosi, cozzando dappertutto. Powell lo colpì con tre colpi fulminei — nuca, addome, basso ventre — che ebbero l’effetto di una paralisi alla spina dorsale. Reich s’accasciò al suolo, contorcendo il viso per la nausea, il naso sanguinante.

— Credete di sapervi battere duramente, ma non ci riuscite — brontolò Powell. S’avvicinò a Barbara D’Courtney, ancora stesa sul pavimento e l’aiutò ad alzarsi. — Tutto bene, Barbara?

— Ciao, papà. Ho fatto un brutto sogno.

— Sono stato io a provocarlo. Si trattava di una prova necessaria per questa mia grande bambina.

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