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"Ho anche una laurea in storia e un certificato che dichiara che sono idoneo a navigare nello spazio."

— È un funzionario politico — disse Derek.

— Non c’è una carica simile sulla nave interstellare Number One. Sono un membro del team di navigazione spaziale.

Derek fece il gesto della cortese mancanza di convinzione.

— Posso immaginare che cosa significhi — disse Agopian. Mi diede una breve occhiata. — Sono stato funzionario politico. Per tre anni a bordo dell’Alexandra Kollontai. È un apparecchio per il trasporto merci che fa servizio fra la Stazione di Trasferimento Uno e le colonie L-5. Farei meglio a usare il passato. Era un apparecchio per il trasporto merci. Ormai dev’essere stato riciclato. — Fece una breve pausa. Stava pensando al trascorrere del tempo, una cosa che facevamo tutti in quella spedizione. — Ma non sono più un funzionario politico.

— Tiene lezioni di teoria marxista — disse Derek. — E di storia della lotta di classe.

— Nel tempo libero — precisò Agopian. — Nessuno è tenuto a seguirle.

— Parecchi membri dell’equipaggio lo fanno.

— Perché non dovrebbero? Non è un crimine studiare le idee di Carlo Marx. Non in questo secolo e su questa nave.

Cercai di pensare a un modo di cambiare argomento. Subito non mi venne in mente niente. L’imbarcazione incominciò a oscillare. Agopian si alzò e andò a guardare fuori da un finestrino. — Stiamo girando attorno all’estremità settentrionale della tua isola, Lixia. Stiamo attraversando la corrente e forse ci stiamo avvicinando un po’ troppo alle rapide. A me piacciono le navi che viaggiano nello spazio. Questi piccoli oggetti che viaggiano sull’acqua mi rendono nervoso. Ma la Ivanova è in gamba.

Entrò Eddie, chinando il capo per passare dalla porta della cabina. Era troppo bassa per lui e quasi troppo stretta. — Andremo in cerca di Nia e dell’oracolo.

— Bene — disse Derek.

Eddie si strinse nelle spalle. — Mi sto abituando a perdere nelle dispute. Mi sento come quei vecchi capi e uomini di medicina che dicevano agli europei: "State facendo un errore. Non potete trattare in questo modo la Terra". Avevano ragione loro. Solo che ci sono voluti duecento anni perché se ne accorgessero tutti.

— È in collera — disse Derek.

— Certo che lo sono. — Andò nella cucina e prese una bottiglia di acqua minerale. — Attraverseremo il fiume e discenderemo lungo la sponda occidentale, lentamente. Non arriveremo al nostro campo prima di sera. — Aprì la bottiglia e si sedette, allungando le gambe. L’acqua minerale finì in un paio di sorsi. Mise giù la bottiglia.

Non volevo aver niente a che fare con la sua collera né con qualunque gioco Derek stesse facendo con Agopian. Mi prudeva la testa. — Ho bisogno di una doccia.

— Abbiamo una doccia portatile — disse Agopian. — Ma non possiamo installarla a bordo della nave.

— Barca — lo corresse Derek.

Dissi: — Avete un bagno? E una spugna?

— Dall’altro lato della cucina. Dovresti trovare tutto quello che ti serve.

Feci il gesto della gratitudine, mi alzai e andai nel bagno.

Metà dello spazio era occupato dal gabinetto. Nella parete di fronte era inserito un armadietto. Lo aprii e, come promesso, trovai tutto quello che mi occorreva: sapone in bottiglia, uno spazzolino da denti, un pettine, una pila di tute piegate con cura, una spugna. La spugna era naturale e un tempo era stata viva, molto probabilmente sulla nave.

Il sapone era alla menta. L’etichetta diceva che lo si poteva usare per corpo, capelli, denti e indumenti, ma non si doveva inghiottire né mangiare in altro modo.

Mi spogliai e mi lavai completamente, un compito non facile in uno spazio così ristretto. Quando ebbi finito, c’era acqua ovunque. Mi lavai i denti e mi spazzolai i capelli bagnati, asciugai me stessa e la stanza, poi sorrisi alla mia immagine riflessa. Non male, benché apparissi un po’ smagrita e un po’ troppo pallida. Avevo bisogno di un po’ di trucco e di un paio di orecchini.

Ah, sì! E di indumenti. Indossai una tuta, taglia piccola, azzurra, il colore della pace e dell’unità. Non era il mio colore preferito, ma la sola alternativa era quel monotono verde oliva.

Avevo finito, a parte sollevare di nuovo il lavabo nella parete sopra il gabinetto, spegnere il ventilatore e tornare nella cabina principale. I tre uomini mi lanciarono un’occhiata. Curioso, sentire di nuovo la tensione fra uomini e donne. — Che ne faccio dei miei vecchi vestiti?

— Vuoi riaverli indietro? — mi chiese Agopian.

— Mai.

— C’è un piccolo riciclatore in cucina. Mettili lì dentro.

Lo feci e dissi: — Me ne vado fuori sul ponte. È troppo… — esitai.

— Stretto qui dentro — terminò al mio posto Derek.

Feci il gesto dell’assenso e aprii la porta.

Stava ancora piovendo. Il ponte era riparato da una tettoia sporgente. La Ivanova era seduta su un alto sedile che le consentiva di vedere oltre il tetto della cabina. Teneva le mani appoggiate sulla ruota del timone. Erano mani grandi e dalle dita tozze, dall’aspetto forte perfino in posizione di riposo. Un tergicristallo era in funzione sul finestrino di fronte a lei. Ciac. Pausa. Ciac.

La Ivanova mi rivolse un’occhiata, annuì col capo, poi guardò la donna dell’equipaggio. — Questa è Li Lixia del team sociologico. Lixia, questa è Tatiana Valikhanova.

— Della squadra di manutenzione mezzi di trasporto ausiliari — disse la donna.

Ci stringemmo la mano. Mi guardai attorno. L’imbarcazione aveva virato e si stava dirigendo a sud. La sponda occidentale si estendeva alla mia destra, bassa e grigia, un miscuglio di foresta e acquitrino. Alla mia sinistra c’erano le isole: fitti gruppi di alberi che s’innalzavano dall’acqua.

— Fa’ attenzione se vedi del fumo — disse la Ivanova. — È stato così che abbiamo localizzato te e Derek.

— Con questo tempo?

— Il tempo è sfavorevole.

Feci il gesto dell’intesa.

La barca continuava a discendere il fiume. Dopo un po’ Tatiana parlò in russo. La Ivanova girò la ruota del timone. La barca virò verso una lunga isola coperta di cespugli. C’erano macchie bianche sui cespugli, che risultarono essere uno stormo di uccelli. Si levarono in volo al nostro avvicinarsi. Tatiana scrutò l’isola col binocolo. — Niente — disse in inglese. La barca virò di nuovo verso il letto principale. La pioggia si andava facendo più intensa. Le gocce di pioggia punteggiavano la superficie dell’acqua e la riva si vedeva a stento.

— È veramente brutto — dissi.

— Tenteremo di nuovo fra due o tre giorni — disse la Ivanova. — Viaggeremo in questa direzione. Il villaggio più vicino si trova a nord di qui, su un affluente di questo fiume.

La fissai a occhi sgranati. — Intendete visitare un villaggio?

— Sì.

— Dovete aver fatto la riunione.

— Sul problema dell’intervento? Sì.

— Che cosa è successo?

La Ivanova rise. — Che cosa pensi? Tu e Derek eravate spariti. Non potevamo raggiungervi via radio. Le persone sulla nave volevano cercarvi. Eddie diceva di no. Era troppo rischioso. Era troppo pericoloso stabilire un precedente. Dovevamo forse seguire la sua ridicola… come la chiamate?

Aggrottai la fronte, guardando verso la riva. Adesso era una linea grigia. — Ti riferisci alla politica di non intervento?

— No. È un termine inventato dagli scrittori. Scrittori americani, credo. Qualcosa di primario.

Sorrisi. — Le Direttive Primarie.

— Agopian me ne ha parlato. È una miniera di informazioni sull’America e sulla fantascienza.

— Così avete deciso di venire a cercarci. Credimi, ne sono grata. Ma perché il villaggio? Perché avete deciso di andarci?

— Eddie era contrario. Io ho detto… l’equipaggio ha detto… che è una pazzia. Non possiamo lasciare nei guai le persone. Non possiamo lasciar morire altri umani. Eddie ha continuato a battere sul pericolo di creare il precedente. Non lo capisco. Io vengo dal Distretto Nazionale di Chukotka. Sai dove si trova?

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