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"Ho pensato che fosse meglio non correre rischi. Dovevo aprire la ferita e farla sanguinare. Non avevo con me nessun coltello. L’avevo perso. Non volevo perdere tempo a cercare qualcosa di tagliente." Esitò. "Ho aperto la ferita con i denti."

— Che cosa?

— Sono stato fortunato che fosse in un punto che potevo raggiungere. Se quell’animale mi avesse morso nel sedere, probabilmente sarei morto. L’ho fatta sanguinare abbondantemente e ho succhiato fuori tutto quello che ho potuto. Ma stavo ancora maledettamente male. L’animale era velenoso.

— Dov’era?

— La ferita? Sul braccio, proprio sopra il braccialetto. Mi sono chiesto se forse fosse stata la lucentezza ad attirare l’animale, o a farlo infuriare.

— Il braccialetto?

— Quello che apparteneva all’Imbroglione. Ho seguito le tracce dell’oracolo e l’ho trovato dove l’aveva gettato nel lago.

— Hai preso il braccialetto una seconda volta?

— Uuh!

— Ce l’hai ancora?

— Non più. Non mi va di essere tiranneggiato da nessuno, neppure da uno spirito. Ma sono accadute troppe brutte cose. L’ho gettato nel fiume. Ho chiesto scusa all’Imbroglione. Gli ho detto che avrei trovato un modo per rimediare a tutto. — Fece una pausa. — Quando ho smesso di sentirmi male, ho deciso di rimanere dov’ero. Il braccio mi faceva male. Non ero sicuro di poter percorrere a nuoto una qualunque distanza. E non volevo tornare nella palude. Ho deciso che avrei aspettato che qualcuno venisse a salvarmi, o almeno di sentirmi un po’ meglio. Ho raccolto legna e ho acceso un fuoco. Sono stanco, Lixia.

Dissi: — Buonanotte.

Il suo respirò mutò quasi subito, divenendo profondo, lento e regolare. Si era addormentato.

Seguii il suo esempio.

Sognai che mi trovavo di nuovo sulla nave, in un corridoio. Le pareti erano fatte di piastrelle di ceramica, di un lucido rosso sangue di bue. Nel corridoio c’era Derek. Stava danzando. Aveva al polso il braccialetto d’oro, che risplendeva luminoso. Derek cantava nel linguaggio dei doni:

"Sono l’Imbroglione

O stupida donna.

Ciò che voglio, prendo.

Ciò che prendo, tengo".

Eddie

La luce del sole penetrava dalla finestra. Gemetti e mi tirai su a sedere. Derek era sparito. Aveva lasciato un cuscino sul pavimento. La federa era grigia e marrone: un disegno di rondini in volo.

Trovai i miei vestiti e andai in cerca del bagno, che era già stato usato. C’era vapore sullo specchio, e c’erano due asciugamani umidi. Erano stati appesi in modo non particolarmente ordinato. Li raddrizzai, aprii la doccia e vi entrai. Ah! I semplici piaceri della civiltà! Lo spruzzo bollente mi batteva sulla testa e la schiena. Il sapone odorava di limone. C’era una spugna appesa a un gancio nella cabina. La bagnai e mi strofinai energicamente.

L’acqua smise di scendere. Premetti il pulsante che l’apriva di nuovo.

Una voce disse: — Se volete ottenere altra acqua, aspettate un minuto, poi premete il pulsante "aperto". Ma ricordate, avete già utilizzato la vostra razione giornaliera.

— C’è un intero lago là fuori. Un fiume grande quanto il Mississippi. E l’acqua è pulita.

La doccia non rispose. Premetti di nuovo il pulsante, benché mi sentissi in colpa per questo, com’era previsto. L’acqua scese di nuovo e mi lavai i capelli.

Quando ebbi finito, mi vestii e gironzolai per la cupola. Trovai segni di occupazione quasi in ogni stanza: letti sgualciti e indumenti. Su un tavolo c’era una collana. Era in argento antico e corallo. Luccicava, illuminata dalla luce del sole.

In un’altra stanza c’era un libro che accesi. Il titolo apparve sullo schermo: À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Il mio francese era quasi inesistente. Spensi il libro e lo rimisi dove l’avevo trovato, poi uscii dalla cupola.

La giornata era luminosa e ventilata. Il lago luccicava. Le nuvole si spostavano nel cielo. Eddie mi aspettava. Indossava una camicia stampata a fiori, rossa e verde scuro. I capelli erano legati in trecce. I jeans erano infilati in alti stivali fatti di vero cuoio. E portava occhiali da sole. Le lenti erano verdeoro e a specchio. Non riuscivo a vedere i suoi occhi.

— Buongiorno, Lixia. Ho pensato di assicurarmi che trovassi la sala da pranzo.

— Grazie.

S’incamminò verso la cupola più grande.

— Come hai dormito?

— Bene. Dove trovo dei nuovi vestiti?

— Nella cupola numero uno. È tutta fornitura standard. Mi dispiace. Nessuno ha pensato di prendere qualcosa dalla tua cabina.

— Non vi aspettavate di trovarmi.

Lui rise. — Forse è così. Siamo andati a cercarci un sacco di maledetti problemi, e abbiamo creato un pericoloso precedente, e può darsi che tu abbia ragione. Forse non credevamo che tu e Derek foste vivi.

— In ogni caso, è stata una fortuna per noi che siate scesi.

Eddie non rispose. Gli rivolsi un’occhiata. Aveva un’espressione accigliata. Sapevo che cosa stava pensando. Non era una fortuna per gli abitanti del pianeta.

La sala da pranzo era quasi deserta. Un membro dell’equipaggio era seduto e leggeva, con un bicchiere di tè sul tavolo davanti a lui. Una donna raccoglieva piatti, accatastandoli con ordine. Era grande, con un colorito bruno rossiccio. Il suo abbigliamento, un paio di jeans e una blusa bianca, non mi disse nulla sulla sua occupazione.

Eddie mi fece strada verso il tavolo di servizio. Un uomo di bassa statura stava mettendo qualcosa su un piatto. Aveva i capelli lunghi e biondi, coperti da una retina, e il suo abbigliamento era bianco-cucina.

— Siete in ritardo — disse. — Le uova sono finite.

— Che cosa è rimasto? — domandò Eddie.

— Fettuccine e salsiccia. Abbiamo tre tipi di salsiccia. — Diede un colpetto su un elemento per riscaldare. — Queste sono fatte di pollo e sono relativamente piccanti. Quelle nell’elemento accanto sono fatte di iguana. Sono più delicate. Quelle là in fondo sono di soia. Non le consiglio, a meno che non nutriate preoccupazioni per il vostro karma. Per farle non è stato ucciso nessun animale, e questa è la cosa migliore che possa dire. — S’interruppe e diede un’occhiata al tavolo. — Questo è tutto, a parte i panini, che sono venuti molto bene oggi.

Mi servii di salsiccia di pollo, un panino e una caffettiera piena di caffè. Eddie prese fettuccine e del tè.

Ci sedemmo a un tavolo accanto a una parete fatta di finestre esagonali. All’esterno c’era il lago. Socchiusi gli occhi. C’erano due oggetti che galleggiavano in lontananza. Era difficile distinguerli fra il luccichio dell’acqua. Mi riparai gli occhi con la mano. Erano lunghi e scuri, bassi nell’acqua.

— Gli aeroplani a razzo — disse Eddie.

Mi versai il caffè e bevvi. — La Ivanova mi ha accennato qualcosa di quanto è successo alla riunione. Ma non posso dire di averlo capito.

— Vorrei tanto che tu e Derek foste riusciti a tornare in tempo. Vorrei che non foste spariti. Stavo cercando di dimostrare un principio mentre la Ivanova declamava il Codice dello Spazio. Non si abbandona un compagno nei guai. Ha avuto un impatto decisivo. — Fece una pausa e arrotolò le fettuccine su una forchetta. — Sapevi che durante il secolo successivo alla conquista del Messico è morto il 90 per cento della popolazione indigena? La popolazione del Perù si è ridotta del 95 per cento. Tre milioni di persone scomparse dalle Isole Caraibiche. — Mangiò le fettuccine, masticandole con cura. — Sono morti nelle miniere e nelle piantagioni. Sono stati mandati come schiavi in Europa. Li hanno uccisi le malattie. La guerra e le esecuzioni. La fame. C’è una citazione di uno scrittore spagnolo del tempo che ho imparato a memoria.

"’Quanti fra coloro che nasceranno nelle future generazioni ci crederanno? Io stesso che l’ho visto stento a credere che una cosa del genere sia stata possibile.’"

Mangiai mentre lui parlava. La salsiccia non era realmente piccante. Il panino era eccellente.

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