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Anasu barattò il suo miglior ricamo con due pezze di cuoio e con queste si fece una tenda, piccola. Viveva da solo ai margini del villaggio. Quell’inverno Nia lo vide assai di rado.

In primavera, durante il viaggio verso nord, lui cavalcò accanto al carro di Hua e diede una mano con i cornacurve. Uno di questi era un giovane maschio, forte ma recalcitrante a tirare.

A quel tempo Anasu era ormai cresciuto. Era più tranquillo che in passato, seppure sempre di carattere gioviale.

Una mattina, all’incirca a metà del viaggio, Nia si svegliò un po’ più presto del solito. Si alzò e uscì. Erano accampati in prossimità di un fiume. La bruma si ammassava sull’acqua. Il sole incominciava appena a mostrarsi sopra una catena di colline verso oriente. Nia si diresse verso il carro. Il pannello posteriore era fissato con cerniere e catene. Poteva essere abbassato in modo da facilitare le operazioni di carico e scarico, e poteva venire fissato a metà, formando uno spazio piatto. Anasu dormiva lì sopra. Durante la notte aveva gettato via il mantello e ora giaceva sulla schiena, un braccio sul viso per ripararsi gli occhi. Tutt’a un tratto Nia vide chiaramente il fratello. Era grande e robusto. Aveva un aspetto arruffato, rozzo, un po’ insolito. Si stava avvicinando il tempo del cambiamento. Nia provò un dolore terribile.

Lui si destò e si stiracchiò. — Uh! Sono tutto irrigidito!

A lei venne voglia di abbracciarlo, ma decise di no. Avrebbe dovuto spiegare perché lo faceva. Invece se ne andò ad accendere il fuoco e a preparare la colazione.

Quell’estate Nia cercò di trascorrere più tempo con Anasu, ma lui era irrequieto, taciturno. Gli piaceva cacciare e pescare da solo. Quando si trovava al villaggio, lavorava a fabbricare frecce o a finire un grosso ricamo. Questo raffigurava un uomo con grandi corna ricurve: il Signore delle Mandrie. Su entrami i lati c’erano femmine di cornacurve. Sopra di lui il sole e un paio di uccelli.

— Non infastidirlo — le disse Ti-antai. — Si sta preparando per il cambiamento. Se vuoi fare qualcosa per lui, lavora ai suoi doni di addio.

Nia fece il gesto dell’assenso.

L’estate fu piovosa ed eccezionalmente breve. Il sole era ancora molto lontano dal nord quando gli uccelli incominciarono a partire.

— Un brutto inverno — commentò Hua. — Chiederò alla conciapelli che cosa vuole in cambio di un buon mantello di pelliccia. Ora, faremmo meglio a cominciare a preparare i bagagli.

Poco prima che lasciassero la Terra dell’Estate, il cielo si fece terso. Per due giorni il tempo fu caldo e luminoso. Anasu venne alla sua tenda. — Andiamo a catturare pesci.

Fabbricarono le trappole e le sistemarono nel fiume. Poi sedettero sulla riva. Le foglie sugli arbusti incominciavano già a ingiallire. Il sole scottava. Su una roccia, a poca distanza, c’era una lucertola di fiume. Con il capo sollevato, li scrutava guardinga. Sotto il mento aveva una vescica di pelle color arancione. Una o due volte la gonfiò e gracidò.

Anasu raccolse un ramoscello e lo spezzò in piccoli pezzi. — Sto diventando sempre più irritabile. Ci sono giorni, Nia, in cui riesco a stento a sopportare la gente. Penso… il primo che mi viene vicino lo pesto.

Il cambiamento, pensò Nia.

— Ho deciso di dirtelo. Voglio che tu sappia che, se all’improvviso me ne vado o divento violento, è perché non riesco più a mantenere il controllo.

— Tutti noi lo sappiamo.

D’un tratto, con violenza, lui fece il gesto del dissenso. — Tu non puoi sapere. Ho le ossa in fiamme. È come un fuoco in una torbiera che non si esaurisce mai. Non mi sono mai sentito peggio di così, neppure quando è morta nostra madre. — Si alzò. — Non intendo restare qui, Nia. Addio.

Si allontanò. Nia restò seduta per un po’ a guardare il fiume. Un pesce si dibatteva nell’acqua dove avevano collocato una delle loro trappole. Lei fece qualche passo nell’acqua bassa per andare a prenderlo.

Durante il viaggio verso il sud lo vide appena. Una volta o due scorse di sfuggita, attraverso la polvere, un giovane che cavalcava. Era possibile che fosse lui. Una sera Anasu venne nella loro tenda. Aveva la pelliccia irsuta e opaca e le sue vesti erano sporche. Si sedette sul lato opposto a dove si trovavano loro e si servì della cena. La vecchia Hua, che di solito era loquace, non disse nulla.

Alla fine fu Nia a parlare. — Come stai?

Lui le rivolse un’occhiata assente e Nia notò che i suoi occhi non erano di un giallo puro. C’era dell’arancione attorno alle pupille. Non se lo ricordava.

Anasu fece il gesto che significava né bene né male. Poi riprese a mangiare. Non appena ebbe finito, se ne andò.

— Completa i tuoi doni — disse la vecchia Hua.

Lei lo fece. L’ultimo era una fibbia fatta in ferro ricoperto di argento. Raffigurava un cornacurve che lottava con un assassino-delle-montagne.

— Non male — fu il commento di Hua. — Un giorno o l’altro mi renderai orgogliosa.

Nia fece il gesto che significava un cortese o schivo diniego.

— Hai troppo poco amor proprio — osservò Hua.

Il viaggio si concluse. La gente innalzò le proprie tende in prossimità del Fiume Marrone. Più a nord c’era un crinale roccioso dalle basse pendici ricoperte di foreste. A sud, sull’altra sponda del fiume, si estendeva la pianura: ondulata, costellata di alberi, del giallo della tarda estate. Lì fu condotta a pascolare la mandria.

Non c’era traccia di Anasu. Nia si sentì inquieta.

— Verrà — le disse Ti-antai. — Nessun uomo se ne va senza i suoi doni di addio; a meno che, naturalmente, il cambiamento non lo faccia impazzire. Ma questo accade di rado.

— Non sei sempre una consolazione, cugina.

All’inizio il tempo si mantenne asciutto. Poi incominciò a piovere. Ogni giorno cadeva almeno qualche goccia; la maggior parte dei giorni, però, pioveva o piovigginava per ore. L’aria era fredda. Hua si lamentava che le dolevano le ossa. Ciò nonostante, si manteneva operosa.

Un pomeriggio se ne stavano entrambe alla fucina. Nia azionava il mantice per Hua, che stava fabbricando un lungo coltello: un dono di addio per Gersu, il figlio della conciapelli, che era di poco più giovane di Anasu.

Quando il lavoro di martellinatura fu completato e la lama immersa nell’acqua fredda, Nia mise giù il mantice. Si massaggiò il collo.

— Nia. — Era Anasu. C’era una nota esitante nella sua voce.

Nia si guardò attorno. Lui era fermo lì vicino e teneva le redini del cornacurve. Non aveva mai avuto un aspetto peggiore: arruffato, sporco di fango, smarrito.

— Anasu?

— Io… — S’interruppe per un attimo. — Sono venuto per i doni. Sto per andare al di là del fiume.

Lei fece il gesto che significava che capiva, poi quello del rincrescimento.

— Tu resta qui — disse Hua. — Nessuno ti darà noia. Impacchetteremo ogni cosa.

Andarono dentro la tenda. Hua aggiunse legna al fuoco, poi mise una bacinella di latte a scaldare.

Nia tirò fuori le bisacce da sella nuove che aveva fatto la conciapelli, poi il panno che si era procurata da Angai la Cieca, la tessitrice, in cambio di un nuovo paiolo. La maggior parte dei rimanenti oggetti li avevano fatti lei stessa, Hua o Ti-antai. Li sistemò uno a uno: il coltello nuovo, la marmitta, gli aghi di ottone, il punteruolo e il pettine dal manico lungo del genere che gli uomini usavano per pettinarsi il pelo sulla schiena.

Che altro? Faceva fatica a pensare.

— La cintura nuova, sciocchina! — Hua stava impacchettando il cibo: carne essicata, bacche essicate, pane.

Finalmente ebbero finito. Hua versò il latte in una tazza. Portarono ad Anasu le bisacce da sella. Era cominciato a piovere un poco. Lui se ne stava fermo lì dove lo avevano lasciato e aveva un’aria inquieta. Il cornacurve, che avvertiva il suo nervosismo, continuava a muoversi, ruotando il capo, scuotendo le orecchie, dando strattoni alle redini.

Proprio quando raggiunsero Anasu, lui tirò con violenza le redini e gridò: — Sta’ fermo, tu!

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