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— Forse questo è un bene — disse. — Forse sarei rimasta qui finché un giorno mi sarei ritrovata vecchia. Ora vedrò di nuovo la pianura. — Si alzò e tirò giù una sacca dalle travi. — Dovrò lasciare qui la mia incudine e la maggior parte dei miei utensili. Aiya!

Si diresse verso la fucina. Io mi recai al torrente a lavarmi. Quando tornai, si stava vestendo. La sacca era posata ai suoi piedi. Era mezza piena e bozzoluta.

— Che cosa ci hai messo dentro?

— Il meno possibile. E niente di veramente voluminoso. I tipi di utensili che uso non sono leggeri. Quando l’avrò portata da un po’, la sacca incomincerà a sembrare molto pesante. — S’interruppe e fece il gesto che significava "così sia". — Non sono disposta a lasciarmi tutto alle spalle.

Finì di vestirsi e ripiegò un mantello fatto di pelle. Anche questo entrò nella sacca, seguito da tutto il pane che c’era in casa. Dieci pezzi. — Andiamo. Hakht potrebbe cambiare idea. — Mi porse una delle accette, poi raccolse l’altra e si caricò la sacca sulla spalla. Io indossai il mio zaino. Ce ne andammo dalla casa.

Il sole era sorto. Il cielo era sereno e soffiava un vento freddo.

— Una buona giornata — osservò Nia.

— Che cosa accadrà a Yohai? — domandai.

— Darà ascolto a Hakht. Per un po’ sarà dura per lei, ma poi ci si abituerà. E Hakht diventerà amichevole quando vedrà che Yohai non fa nulla contro i suoi desideri. Alla fine andranno d’accordo. Lo scontro non è mai stato fra loro due. Era fra Hakht e Nahusai. O comunque è così che la penso.

Prendemmo il sentiero che conduceva al villaggio, camminando in fretta, e arrivammo al fiume prima di mezzogiorno. Mi guardai attorno. Sull’altra riva del fiume c’era uno steccato, basso e fatto di legno. Al di là c’era un orto. Foglie azzurre luccicavano alla luce del sole. Non vidi nessuno lavorare nell’orto e questo era abbastanza strano. Sembrava che le abitanti del villaggio passassero ogni giorno buona parte della mattina nei loro orti.

In lontananza ci fu un suono che ricordava una tromba. Uno strumento musicale, forse un corno. Udii delle voci che si lamentavano e strillavano.

— Le cerimonie — disse Nia. — Stanno girando attorno ai margini del villaggio, facendo baccano per scacciare Nahusai, nella terra lontana. — Nia si accigliò. — La mia gente non è così. Noi non abbiamo paura dei morti, solo della morte, che è un evento infausto. Naturalmente, devono esserci delle cerimonie…

Il corno risuonò di nuovo. Pareva più vicino. Nia s’interruppe e restò in ascolto, poi continuò.

— Le cerimonie scacciano la malasorte. Purificano il villaggio. Ma noi non abbiamo paura dei nostri amici e parenti solo perché questa brutta cosa è capitata a loro. Loro sono… devono essere… le stesse persone che erano prima. — Tornò a sistemarsi la sacca sulla spalla, poi si mise in cammino.

Pensai di chiederle altre informazioni sulle cerimonie funebri, ma lei camminava veloce. Dovetti affrettarmi per raggiungerla, e non avevo fiato da sprecare.

Enshi

Seguimmo un nuovo sentiero che risaliva il fiume. Avevamo il sole sempre davanti a noi, o così sembrava, comunque. Stavamo viaggiando verso ovest.

All’incirca a metà pomeriggio prendemmo un’altra pista. Conduceva a nord in una zona di basse colline. Il terreno era sabbioso, gli alberi bassi e stentati. Qui e là incontravamo affioramenti di roccia sabbiosa di un colore giallo e arancione spento. La pista si vedeva a stento: una linea indistinta che si snodava fra le rocce e gli alberi. Finalmente, nel tardo pomeriggio, arrivammo a una capanna fatta di lunghi rami e addossata a una roccia. Sui rami erano stese delle pelli e del fumo usciva da un’apertura. Una ben misera e triste dimora!

Nia si fermò. — Portiamo doni! — gridò.

Una voce profonda rispose: — Andatevene.

— Sono Nia, la lavoratrice del ferro. Vuoi un coltello? Ha una lama tagliente. L’impugnatura è in osso. Un’ottima fattura, secondo me.

Ci fu un lungo silenzio. — Metti giù il coltello. Vattene. Torna quando il sole sarà sparito.

— Sì — rispose Nia. Rovistò nel proprio sacco e tirò fuori un coltello, che posò sul terreno. Poi si voltò e si allontanò. Io la seguii.

Percorremmo soltanto un breve tratto. Nia mise giù il sacco. — È una distanza sufficiente. Lui non può vederci qui. Mi sedetti. — Chi era?

— Non conosco il suo nome.

— È un… — Esitai. Non conoscevo il termine che significava uomo — È ciò che diventa un ragazzo?

— Un uomo. Sì. Chi altri vivrebbe qui da solo? L’ho già incontrato prima d’ora. È più amichevole della maggior parte degli uomini.

— E questo lo chiami essere amichevole?

— Sì. Gli uomini da queste parti non conoscono le buone maniere. Le loro madri li tirano su male, e i vecchi che dovrebbero insegnare loro come comportarsi quando lasciano il villaggio, questi vecchi sono scorbutici e meschini. Non hanno rispetto di se stessi. Questa è comunque la mia opinione.

— Perché gli uomini lasciano il villaggio?

Nia mi fissò a occhi sgranati. — Che genere di domanda è questa?

— Tutti gli uomini lasciano il villaggio?

— Sì. Naturalmente. — Aggrottò la fronte. — Che specie di persona sei? Perché fai una domanda del genere?

Ci pensai su un momento. — Vengo da molto, molto lontano. La mia gente è diversa dalla tua. Non saprei dire quanto diversa. Forse le differenze sono di poco conto, cose superficiali, come la pelliccia che tu hai e io no. Forse sono differenze notevoli. In ogni modo, fra la mia gente uomini e donne vivono insieme.

Nia corrugò di nuovo la fronte. — Ma com’è possibile? Dopo il cambiamento, nessun uomo può sopportare di stare insieme ad altre persone, fuorché nel periodo degli accoppiamenti, naturalmente, e a eccezione di Enshi.

— Enshi? — domandai.

Nia guardò fisso il cielo. — Il sole è quasi sparito. Possiamo tornare indietro.

Tornammo alla capanna. Attraverso le aperture fra le pelli si vedeva brillare la luce di un fuoco. Non vidi nessuno, né dentro né fuori. Il coltello era sparito e al suo posto c’era un canestro pieno di pesce affumicato.

— Questo è buono! — esclamò Nia. — Adesso non moriremo più di fame.

Il canestro aveva un coperchio. Nia glielo mise e lo chiuse, poi ficcò tutto quanto dentro il sacco. — Muoviamoci. Torneremo verso il fiume e troveremo un posto dove accamparci. A quest’individuo non piacerà che restiamo qui.

— È vero — fece la voce profonda. — È un buon coltello, Nia.

Nia lanciò un’occhiata alla capanna. — Il pesce ha un buon odore. Grazie.

Ci allontanammo. Il cielo si fece scuro e comparvero le stelle insieme a una luna: un punto luminoso che saliva rapidamente dall’orizzonte orientale. Ci fermammo in un avvallamento. Nia accese un fuoco e mangiammo un paio di porzioni di pesce. Era oleoso e pieno di lische, con un forte gusto affumicato. Non mi piacque in modo particolare.

— Chi è Enshi? — domandai.

Nia teneva lo sguardo fisso sul fuoco; il suo viso aveva un’espressione triste e meditabonda. Alla fine alzò gli occhi. — Ho composto una poesia su Enshi quando mi trovavo da queste parti ormai da un anno. Dice così:

"Io mi trovo in questo luogo buio,

questa foresta.

"Lui si trova in quel luogo buio,

quella tomba."

— È morto?

Nia fece il gesto dell’affermazione. — Non voglio parlare di lui. I vostri uomini vivono davvero insieme alle donne?

— Sì.

— È una cosa molto strana. È giusto?

La parola che aveva usato aveva diversi significati: "consueto", "ben fatto", "morale".

— Noi pensiamo di sì. Siamo sempre vissuti in questo modo.

Nia emise un suono scoppiettante. — Se Hakht lo sapesse, avrebbe la certezza che tu sei un demonio. Naturalmente, la sua gente fa parecchie cose che non sono giuste.

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