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Nia

Le persone senza pelo partirono al mattino. Le abitanti del villaggio incominciarono a fare i bagagli nel pomeriggio. Nia aiutò Angai, ma solo con le cose che si trovavano nella parte anteriore della tenda. Il locale posteriore era il luogo dove Angai teneva i suoi oggetti magici. Tutto là dentro era nascosto da un tendone di stoffa rossa ricamata con animali e spiriti. Il tendone attraversava la tenda dall’alto in basso e da un lato all’altro. Non vi usciva nulla, a parte il profumo di erbe essiccate e la sensazione della magia, una sensazione che a Nia faceva pizzicare e formicolare la pelle.

Se ne stava il più possibile lontana da quel divisorio, inginocchiata accanto all’ingresso anteriore nella luce del sole pomeridiano, piegando indumenti e mettendoli in una cassa fatta di cuoio.

Hua era inginocchiata dall’altra parte della stanza, proprio accanto al telo divisorio e sotto l’immagine di uno spirito: un vecchio, nudo e con il membro sessuale ben visibile. L’Oscuro, pensò Nia, in uno dei suoi numerosi travestimenti.

Hua aveva disposto degli utensili e li stava contando prima di impacchettarli: coltelli di diverse misure, aghi, cucchiai fatti di corno e legno lucidati.

Angai era dietro il tendone, impegnata a impacchettare ciò che teneva lì dentro, oggetti che Nia non voleva neppure vedere.

— Come fai a sopportare di stare qui? — domandò Nia.

Hua alzò lo sguardo e fece il gesto della domanda.

— Vicino a quel sipario. In questa tenda.

Hua ripeté il gesto della domanda.

— A Nia non è mai piaciuta la magia — spiegò Angai.

— A me non dà fastidio — disse Hua.

— È un bene — osservò Nia. — Se hai intenzione di diventare la prossima sciamana.

— Certo che voglio diventarlo — ribatté Hua. — Chi altri c’è qui? — Adesso stava contando i pettini. Li dispose, grandi e piccoli, fatti di legno, corno e metallo.

Nia si rese conto che le prudeva tutta la pelle e la sensazione era particolarmente sgradevole fra le scapole e lungo la spina dorsale. — Lasciane fuori qualcuno. È passato tanto tempo dall’ultima volta che mi sono fatta dare una strigliata come si deve, da un’amica o una parente.

— D’accordo — fece Hua. Mise da parte due pettini: uno di grandezza normale e uno grosso con i denti molto radi.

Nia emise un suono soddisfatto. — Sarà qualcosa da ricordare quando mi troverò fuori sulla pianura.

— Non vieni con noi? — chiese Hua. La sua voce aveva un suono acuto e stridulo.

— No.

— Perché no? Qualcuno ti ha dato delle noie? Non sei preoccupata per Anhar, vero? Angai non ti ha detto che puoi restare?

Nia appoggiò sul pavimento una tunica dalle maniche lunghe. Piegò le maniche sopra il corpetto della tunica, lisciandone il tessuto. Era soffice e delicata, dono di un popolo che viveva nel lontano sud.

— Quando vivevo nelle Colline del Ferro, stavo con te, Anasu ed Enshi. Quando vivevo nell’est, mi trovavo ai margini del villaggio, lontana come un uomo. Non sono abituata a stare con molte persone. Non so più vivere in un villaggio.

— Non l’hai mai saputo realmente — disse Angai da dietro il telo divisorio. — Ti sei sempre comportata come se fossi sola.

Nia provò una certa sorpresa. Fece il gesto che significava "è proprio vero?". Ma Angai non poteva vedere, naturalmente.

Hua disse: — Mia madre vuole sapere se ne sei certa.

— Sì. — Il telo ondeggiò. Angai doveva averlo sfiorato. — Ti conosco meglio di chiunque altro, Nia. Tu sei come una roccia! Sei come una freccia! Sei quella che sei, e niente può cambiarti. Vai dove vuoi, e niente può farti cambiare direzione. Non sei mai stata una persona qualunque.

— Non lo sapevo — disse Nia.

Hua disse: — Desideravo che restassi con noi. Volevo sentire le tue storie.

— Non me ne vado via per sempre. Ma ho bisogno di stare un po’ di tempo da sola.

— È la decisione giusta — dichiarò Angai. — Mi piacerebbe che Nia restasse, ma ho notato come la guardano le persone del villaggio. Lei le fa sentire a disagio. Se Nia se ne andrà, dopo un po’ si calmeranno. Allora, credo, potrà tornare. Ma se resta adesso, si adireranno. Sono accadute troppe cose. Hanno visto troppe cose nuove. Se ora Nia rimane, la cacceranno via.

Hua fece il gesto del rammarico.

Continuarono a lavorare finché il cielo non cominciò a oscurarsi. Angai uscì da dietro il tendone. Cenarono. Angai pettinò la pelliccia di Nia. Aiya! Che bella sensazione! Soprattutto quando Angai le pettinò il folto pelame sulla schiena. Nia si piegò contro il pettine, quello grande, emettendo mormorii di piacere.

Quando l’operazione fu terminata, chiacchierarono per un po’. Non dissero niente di importante. Angai descrisse la pista che voleva seguire andando a sud e il luogo dove intendeva trascorrere l’inverno. Ogni tanto Nia faceva una domanda. Hua ascoltava in silenzio.

Alla fine andarono a dormire. Nia rimase sveglia. L’ingresso della tenda era aperto, ma c’era pochissimo vento. L’aria dentro la tenda era calda e stagnante. Guardò fuori dalla porta. Le stelle brillavano sopra le tende delle sue vicine di un tempo. Così numerose! Così grosse e splendenti!

Si alzarono all’alba e incominciarono a caricare i carri. Anasu portò gli animali da tiro per il carro: sei bellissimi cornacurve castrati. Li attaccarono al carro. Il cielo era sereno. La giornata sarebbe stata molto calda. Nia lo sentiva.

Angai disse: — Vorrei che tornassi fuori a prendere un animale per Nia. Macchia Bianca o Gagliardo o Corno Rotto, quello che riesci a trovare.

— Perché gliene serve uno? — domandò Anasu. — Credevo che avrebbe viaggiato sul carro.

— Nia ci lascia — disse Hua.

— Perché?

— Vuole stare da sola.

— Aiya! Che famiglia mi ritrovo! — Voltò il suo cornacurve e si allontanò.

— È in collera? — chiese Nia.

— Un po’, forse — rispose Hua. — Non è stato facile averti come madre, anche se Angai ci ha protetti.

Nia fece il gesto delle scuse.

— Poteva essere peggio — osservò Hua. — Potevamo avere Anhar per madre. O Ti-antai. Una donna cattiva. Una donna che è una vigliacca.

— È questo che pensi di Ti-antai?

— Forse non è una vigliacca — disse Hua. — Forse ha una mente ristretta. Non pensa mai a nient’altro che alle proprie figlie e alle loro figlie e alle vicine.

— Non è abbastanza?

— Non per me. Io diventerò una sciamana.

— Allora puoi aiutarmi adesso — disse Angai. — Ho parecchie casse piene di oggetti magici che vanno sistemate sul carro. Nia non le toccherà. Lo so.

Hua fece una smorfia, poi il gesto dell’assenso.

Quando ebbero finito di caricare gli oggetti magici, smontarono la tenda. Nia le aiutò. La caricarono sul carro. Entro mezzogiorno erano pronte a partire, e così il resto del villaggio. Nia si guardò attorno. Non c’era più una sola tenda in vista. Invece c’erano carri e cornacurve, donne che sollevavano casse, bambini che correvano. Alcuni carri avevano incominciato a muoversi e una nube di polvere era sospesa a mezz’aria verso la parte occidentale del villaggio.

Anasu tornò, conducendo un cornacurve: un castrato giovane e robusto. Aveva una grossa chiazza bianca al centro del torace, curva come un arco. L’impugnatura dell’arco era sul fondo e i due bracci si alzavano su entrambi i lati. A Nia quel disegno ricordava anche altre cose: il simbolo di "pentola", il simbolo di "barca", e la Grande Luna quando era sotile. Se l’animale apparteneva ad Angai, doveva essere fortunato, sebbene Nia si sentisse turbata guardando il disegno e vedendo tante cose.

— Ha cinque anni — le spiegò Angai. — Non c’è un miglior viaggiatore nella mandria. Sii prudente, però. Qualche volta, anche se non spesso, diventa un po’ nervoso.

— Non ho niente da darti in cambio — disse Nia.

— Mi hai parlato delle persone senza pelo. Mi hai dato buoni consigli.

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