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Feci un altro passo. La creatura sibilò. La bocca aperta era piena di denti. Denti smussati. Era un erbivoro. Ma gli artigli erano lunghi e affilati. Per scavare? Combatteva? Inclinò la testa e un minuscolo occhio vivo mi fissò.

— Continua a muoverti — disse Derek. La sua voce era sommessa e tranquilla. — Un passo alla volta.

Vidi Nia al mio fianco, dall’altro lato, con in mano un coltello. Un’arma inutile contro quel mostro.

Ora lo pseudo-dinosauro faceva un altro verso, un lamento. Che cosa significava? Poi vidi qualcosa muoversi alle sue spalle, proveniente dal lago. Un altro mostro. Battei le palpebre, cercando di vedere contro sole. Questo era più piccolo dell’animale che ci fronteggiava, e camminava su quattro zampe. Aveva la schiena grigia.

— La femmina — disse Derek.

L’animale girò la testa e strappò una canna con i denti. Poi proseguì, masticando e facendo un forte suono sgranocchiante. Frammenti di canna gli penzolavano dalla bocca. Dietro venivano altri tre animali. Erano piccoli, delle dimensioni di un cane San Bernardo. Due erano quadrupedi e seguivano la madre con un’andatura dondolante. Il terzo saltellava goffamente.

— Ebbene, che cosa sai?

Continuammo a indietreggiare, allontanandoci dal maschio infuriato. Dov’era l’oracolo? Non riuscivo a vederlo.

La madre proseguì dondolandosi, seguita dai tre piccoli. Finalmente scomparvero alla vista, nascosti da una macchia di erba enorme. Il maschio sibilò, poi si voltò e seguì a balzi la sua famiglia. La spalla incominciava a farmi male. Mi cedettero le ginocchia e mi sedetti.

— Davvero interessante — osservò Derek. — Si preoccupano dei loro piccoli. Ciò contribuisce a spiegare come siano in grado di sopravvivere in concorrenza con gli pseudo-mammiferi. I mammiferoidi. Abbiamo bisogno di un intero nuovo vocabolario. O Santa Unità! Pensavo che mi sarei pisciato nei pantaloni.

Nia disse: — Uh! — Mise via il coltello. — Spero che il pazzo stia bene. Il suo cornacurve è fuggito. L’ultima volta che l’ho visto si teneva ancora aggrappato.

— Oh, mio Dio, Derek. La nostra attrezzatura. Le radio.

Lui scoppiò in una risata. — Sui cornacurve. Là fuori. — Fece un ampio gesto con la mano per indicare la pianura. — Tu stai bene?

— La spalla mi fa un male infernale e mi sono morsa la lingua. Non so quando.

Derek mi sottopose a un rapido esame. — La tua spalla non è lussata e la lingua è ancora al suo posto. Credo che te la caverai. — Si voltò a fissare la pianura. — Vado in cercadella nostra attrezzatura. Ero abituato a rincorrere i cavalli in California. I cornacurve non sono più veloci. Li raggiungerò. — Si volse verso di me. — Accampatevi qui da qualche parte. Vi troverò.

— Derek… — incominciai.

Lui si allontanò a grandi passi.

— Derek! — gridai.

Non si voltò a guardare indietro.

— È un individuo molto strano — osservò Nia.

— Sì. — Restai a osservarlo finché non scomparve alla vista, poi mi voltai a guardare Nia. — Bene, troviamo un posto per accamparci.

Inahooli

Seguimmo la pista lungo la riva finché non arrivammo a una macchia di erba enorme. Nia tagliò dei rami e li intrecciò per formare dei canestri: trappole per i pesci. — Può darsi che questo modo non funzioni. È più facile catturare pesci in un fiume. — Mise le trappole dentro l’acqua.

Dopo di che esplorammo il boschetto. Nia trovò un gruppetto di piante che crescevano sul margine orientale. Erano radici commestibili. Io raccolsi legna per il fuoco. Cucinammo le radici. Erano croccanti e quasi senza sapore.

— Sono buone nello stufato di carne — mi spiegò Nia. — Da sole… — Fece il gesto che significava "il resto è chiaro".

— Sempre meglio di niente.

Lei fece il gesto dell’affermazione.

Calò la sera. Il vento cambiò. Ora soffiava dal lago. All’improvviso il boschetto si riempì di insetti.

— Morsicatori! — esclamò Nia.

Mi diedi una pacca sul collo. — Hai ragione.

Ci rannicchiammo accanto al fuoco. Il fumo ci proteggeva fino a un certo punto. Venni morsicata una seconda volta, su un polso. Anche Nia fu morsicata una volta, sul palmo della mano, dove non aveva pelliccia.

— Uh! — Batté fra loro le mani. — Bene, ho preso la creatura. Non darà più fastidio a nessuno. Come riesci a sopportarlo, Li-sa? Tu non hai pelliccia. Possono morderti dappertutto.

Il fumo mi era entrato negli occhi, che ora lacrimavano. I punti in cui ero stata punta dagli insetti prudevano. — Non amo affatto le situazioni come questa. — Mi grattai una morsicatura. — Ma che cosa posso farci? Non posso farmi crescere la pelliccia. E in ogni caso, ho sopportato di peggio. Un tempo vivevo nel Minnesota.

— Dove? — domandò Nia.

— Una terra con molti laghi e molti insetti. — Feci una pausa e restai in ascolto. Gli insetti mi ronzavano attorno alle orecchie. Ce n’erano un sacco. Avrebbero dovuto morsicare di più. Forse non avevo l’odore giusto. Forse erano soltanto gli insetti coraggiosi, o quelli stupidi, che decidevano di fare un tentativo con me.

— Aiya! - Nia si batté la fronte. — Un altro!

Mi allontanai il fumo dalla faccia con la mano. — Riescono a morsicarti attraverso la pelliccia?

— Solo in qualche punto, dov’è più sottile. Attorno agli occhi o nell’incavo del gomito.

Il vento cambiò di nuovo direzione e scacciò gli insetti. Ci coricammo. Non avevamo niente con cui coprirci. Il mantello di Nia si trovava con il resto dei nostri bagagli da qualche parte della pianura, così pure il mio poncho. Ma la notte era mite e io ero sfinita. Mi raggomitolai e mi addormentai subito.

Mi svegliai presto. Le nuvole erano sparite e il cielo sopra di me era di un brillante verdeazzurro. Gli uccelli facevano rumori fra le foglie. Nia russava accanto alle ceneri del fuoco.

Mi alzai, gemendo. Avevo il corpo completamente irrigidito e la spalla mi faceva particolarmente male. Me la massaggiai e intanto mi guardai attorno. Non c’era un filo di vento, e il lago era immobile. Al largo, oltre i canneti, una canoa scivolava sull’acqua.

— Nia!

Lei balzò in piedi. Gliela indicai. Nia gridò e agitò le braccia. La canoa virò nella nostra direzione. Un attimo dopo era sparita, nascosta dai canneti. Ci precipitammo verso la riva.

— Chi può essere? — domandai.

— Non lo so. Una donna. Una del Popolo dell’Ambra.

La prua si fece largo fra le canne. Era fatta rozzamente con un tronco scavato. Veniva silenziosa verso di noi. La donna, seduta nella parte posteriore, sollevò la pagaia dall’acqua, poi alzò una mano e si riparò gli occhi. — Sto vedendo delle cose? Una di voi è senza pelo?

— Sì — dissi.

La canoa raggiunse la riva. La donna scese. Era più alta di me, dinoccolata, con il pelame di un bruno scuro. La faccia era larga e piatta, gli occhi di un arancione scuro, quasi rosso. Indossava una tunica giallo chiaro decorata con strisce ricamate. Il disegno era complicato e geometrico, fatto in diverse tonalità di azzurro. La cintura era blu, e portava un lungo coltello in un fodero di cuoio blu. — Sei nata così? — s’informò. — O sei stata ammalata?

— Questo è il mio modo naturale di essere. — Usai la parola che significava "consueto" o "giusto".

Lei mi squadrò dalla testa ai piedi. — Naturale, eh? E tu? — Si rivolse a Nia. — Chi sei? E perché viaggi con uno scherzo di natura?

— Sono una donna del Popolo del Ferro. Nia la lavoratrice del ferro.

La nuova arrivata corrugò la fronte. — C’è qualcosa di familiare in quel nome.

— È abbastanza comune — replicò Nia.

La donna manteneva la sua espressione accigliata.

Nia proseguì. — E il tuo nome qual è?

— Toohala Inahooli. Appartengo al Popolo dell’Ambra e al Clan della Cordaia. In questo momento, ho una posizione di grande prestigio. Sono la guardiana della torre del clan.

Nia fece il gesto del riconoscimento.

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