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All’incirca a metà del pomeriggio mi guardai attorno e mi resi conto che le colline erano finite. Ci trovavamo su una pianura ondulata, ricoperta di pseudo-erba che ondeggiava al vento, cambiando colore ogni volta che le foglie si rovesciavano: verde, verdeazzurro, bruno e grigio.

Qualcosa s’innalzava sopra l’orizzonte verso nord. Mi riparai gli occhi con la mano e osservai. La cosa era quasi dello stesso colore del cielo e così lontana che la si vedeva a stento. Un cono, ampio alla base. La sommità del cono, la punta, era mancante. Al suo posto c’era una linea orizzontale. L’orlo di un cratere.

Mi voltai ad aspettare Nia, che cavalcava a una certa distanza alle mie spalle. L’oracolo era dietro di lei, e cavalcava anche lui. — Che cos’è quello? — chiesi, indicandolo con la mano.

Lei lanciò un’occhiata, poi tirò le redini del suo animale.

— Non l’ho mai visto prima, ma ne ho sentito parlare. Quello è Hani Akhar. La Grande Montagna. La dimora della Signora della Fucina.

L’oracolo venne a fermarsi accanto a noi. Guardò verso nord. — Sì, è quella. Riesco a sentirla anche a questa distanza. È un luogo molto sacro. E anche pericoloso. Quello spirito non è sempre amichevole.

— Questa è certamente la pista sbagliata — disse Nia. — Siamo molto più a nord di dove volevo essere.

— Alla fine arriveremo nel posto giusto — ribatté l’oracolo. — La strada che prendiamo non conta.

Nia si grattò il naso. — Non c’è modo di discutere con una persona santa. Costoro sono sempre sicuri di saperne più di noi. E se diciamo "no", loro replicano: "Gli spiriti hanno parlato".

Proseguimmo. Non mi piaceva camminare accanto ai cornacurve. Erano troppo grossi, e la cavalcatura di Nia ogni tanto era irrequieta e perfino cattiva. E certamente non mi andava di seguire gli animali. Era una seccatura dover fare sempre attenzione allo sterco.

Quella sera ci accampammo presso un piccolo lago paludoso. Derek e Nia andarono a caccia. Tornarono al calar della notte, a mani vuote. Mangiammo pane vecchio e bevemmo l’acqua del lago. Aveva uno strano gusto.

— Acqua di palude — osservò Derek. — Ho bevuto di peggio in California.

— Nel deserto? — domandai.

— Per lo più. Ma anche a Berkeley. C’erano un paio di tizi nella mia facoltà che avevano gusti veramente disgustosi in fatto di vino. Ed erano persone importanti. Ero costretto ad andare alle loro feste.

— Di che cosa state parlando? — s’informò Nia.

— Di una bevanda simile al bara - risposi.

— Ha un gusto cattivo?

— Qualche volta — disse Derek.

Si allontanò, portando con sé la sua radio. Io rimasi accanto al fuoco con i due nativi.

La grande luna era sorta ed era più di una mezzaluna. La guardai, cercando di scorgere segni di un’eruzione vulcanica, ma le nuvole la velavano e ne rendevano indistinti i bordi.

Guardai i due indigeni. — È mai successo qualcosa di strano alla grande luna?

— Che cosa intendi dire? — domandò Nia.

Riflettei un momento, cercando di immaginare un modo per descrivere qualcosa che non avevo visto. — Non vi compaiono mai delle macchie luminose? Non si vedono mai delle cose sul bordo, come fili di vapore o come una lingua di fiamma sporgente?

Nia fece il gesto dell’affermazione. — Ma è una cosa eccezionale.

— Che cosa significa? — chiesi.

— Niente che io sappia. — Aggrottò la fronte mentre pensava. — Ci sono persone a occidente che hanno trovato un modo di osservare il sole senza ferirsi gli occhi. Secondo loro il sole non è perfetto e senza macchie come pensiamo. Sostengono che è chiazzato. Le chiazze sono nere e si muovono strisciando come insetti. Quando compaiono le macchie, in grande quantità, significa che il tempo si metterà al brutto.

— Non ho mai sentito questa storia — disse l’oracolo. — Ma so che cosa significa quando compare una macchia sulla luna.

Feci il gesto della curiosità.

— Significa che la Madre delle Madri non ha tenuto d’occhio la sua pentola.

— Che cosa? — domandai.

— Le donne anziane sostengono che la grande luna è una pentola per cucinare. Appartiene alla Madre delle Madri. A volte lei si dimentica di tenerla d’occhio e allora trabocca. Allora vediamo quello che hai descritto tu. Le vecchie dicono che significa che sarà un inverno di carestia. — Fece una pausa. — Mia madre sostiene che le vecchie si sbagliano. Lei tiene da parecchi anni una cordicella della luna. Ogni volta che succede qualcosa lassù, fa un nodo. E ha altre cordicelle che usa per tenere il conto del tempo atmosferico. Pioggia. Neve. Un vento forte. Siccità. Ha una cordicella per ogni tipo di tempo. Non c’è alcun collegamento fra quello che succede sulla luna e quello che succede sulla pianura. Questa è la sua opinione. Credo che abbia ragione.

— Mmm — fece Nia. — Non ho mai sentito la storia sulla luna. Se non è vera, non la ripeterò.

— La parte sulla pentola per cucinare è molto probabilmente vera — dichiarò l’oracolo. — Mia madre non ha detto niente a tale proposito. Non tutto quello che succede nel mondo degli spiriti ha una conseguenza sul mondo quaggiù.

Nia fece il gesto dell’approvazione.

Derek tornò. Gli rivolsi un’occhiata. — Sei riuscito a parlare con Eddie?

— Sì. Perché non avrei dovuto?

— C’era elettricità statica la notte scorsa e negli ultimi due giorni ho parlato con dei computer.

— Eddie non ha detto niente a proposito di elettricità statica. — Si sedette e si piegò con cura. — Né di computer. Ma ha passato il tempo in una delle grandi sale olovisive. La luna è davvero in eruzione, e l’eruzione è grossa. Ci stiamo perdendo un diavolo di spettacolo.

— Di che cosa stai parlando? — chiese Nia.

— La luna — dissi. — Sta traboccando.

Lei guardò il cielo. — Peccato che il cielo sia nuvoloso.

Il giorno seguente Nia disse di voler camminare.

— Mi sento di nuovo irrequieta. Se la caviglia incomincerà a darmi fastidio, ti chiederò di farmi cavalcare.

— D’accordo — dissi.

L’oracolo viaggiò cavalcando, come sempre. Di quando in quando passavamo accanto a piccoli acquitrini o a laghetti semiasciutti. Il cielo era caliginoso. Hani Akhar rimaneva appena visibile.

Nel pomeriggio inoltrato arrivammo in cima a una salita. Sotto di noi c’era un lago. Era molto più vasto degli altri che avevamo incontrato, dalla forma irregolare e pieno di minuscole isolette. Le rive erano paludose e vi cresceva l’erba enorme a mucchi.

Nia disse: — Conosco questo posto, benché non ci sia mai stata prima. È il Lago degli Insetti e delle Pietre. Ci troviamo nel territorio del Popolo dell’Ambra. Loro vengono qui in autunno durante il viaggio verso sud. Pescano e cacciano uccelli, ed eseguono cerimonie in onore della montagna.

L’oracolo fece il gesto dell’approvazione. — Un altro luogo sacro.

Scendemmo. Il cielo era limpido a occidente e il sole era basso. L’acqua luccicava e facevo fatica a vedere. Passammo accanto a una macchia di erba enorme. Il lago era solo a qualche metro di distanza. Le canne si muovevano al vento. L’acqua brillava. Qualcosa mugghiò. Era proprio di fronte a me ed emergeva con un gran fracasso dalle canne, impennandosi. Mio Dio! Era alto tre metri! La bocca era aperta. Le zampe anteriori erano protese verso di me, gli artigli aperti. Un altro muggito! L’animale che cavalcavo mosse di scatto la testa. Le redini diedero uno strappo fra le mie mani. Il cornacurve recalcitrò e mi ritrovai disarcionata. Un istante dopo atterrai con violenza al suolo. La scossa mi percorse da parte a parte e gridai. Poi mi ritrovai ritta in piedi.

— Tirati indietro — mi disse Derek. — Lentamente. Non spaventarlo.

Feci un passo indietro. Derek era al mio fianco. Non riuscivo a vedere Nia, né l’oracolo, né il mio cornacurve. Lo pseudo-dinosauro emise un altro muggito, ma non si mosse. Ora, per la prima volta, lo vedevo chiaramente. Alto tre metri. All’inferno! Erano più probabilmente quattro. Aveva il ventre di un rosa acceso e una cresta di piume gialle. Le zampe anteriori e le spalle erano di un color grigioazzurro scuro.

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