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Dall’altra parte del fuoco c’era una terza figura, ritta in piedi, alta e pallida. — Derek?

— Sono appena tornato. — Parlava a bassa voce. — Avevi ragione. Il terreno scotta. L’ho sentito attraverso gli stivali.

— Qualche problema?

— No, salvo… una cosa buffa. Mentre tornavo, la luna stava tramontando. Proprio mentre spariva ho visto un bagliore improvviso. Credo che la luna stia eruttando.

Riflettei un momento. — È possibile, no? I planetologi hanno detto che c’erano prove che fosse stata attiva di recente.

— L’eruzione dev’essere enorme — disse Derek. — Davvero enorme, se riesco a vederla.

— Hai ragione. — Ci pensai ancora un momento. Poteva essere quello il motivo per cui non ero riuscita a mettermi in contatto con Eddie? Nessuno sano di mente vorrebbe perdere l’opportunità di vedere un’importante eruzione. — Altri problemi per i planetologi.

— Uhu. — Rise. — Quei poveri sciocchi. Gli sta bene. Hanno elaborato tutte le teorie sulla base di un solo sistema.

— Hanno usato quello di cui disponevano, Derek.

Lui disse: — Adesso voglio mettermi a dormire. Ti racconterò il resto domani.

— Okay. — Tornai a coricarmi. Il vento era girato. Adesso soffiava dalla valle, portando l’odore dello zolfo. Pensai alla luna, che aveva un’atmosfera. C’era un sacco di zolfo in essa, da quanto ricordavo. Deve puzzare davvero lassù in questo momento.

I planetologi non erano stati contenti quando avevano visto i primi ologrammi a lunga distanza. La luna era troppo grande, ci avevano detto. Tutte le migliori teorie sostenevano che la Terra era un’anomalia. I piccoli pianeti non avevano lune o, se le avevano, le lune erano piccolissime: frammenti di scorie spaziali catturate.

La nave si era avvicinata di più. I planetologi avevano scoperto che la superficie della luna era relativamente liscia.

Il sistema era pieno di scorie. Il pianeta aveva altre dodici lune, e tutte erano chiaramente planetoidi catturati. La grande luna avrebbe dovuto essere coperta di crateri creati da impatti. Invece c’erano vaste pianure di origine vulcanica e alcune montagne abbastanza notevoli, pure di origine vulcanica.

La luna era attiva, e le migliori teorie affermavano che i piccoli pianeti non avevano lune attive.

Il che significava che i planetologi dovevano incominciare a lavorare su nuove teorie. Ne avevo sentite un paio. Una implicava un’attrazione delle maree. L’altra presupponeva una composizione davvero strana del corpo celeste in questione. Erano troppo lontane entrambe dal mio campo di competenza perché io mi facessi un’opinione. Mi limitavo ad ammirare la stranezza della luna.

Mi svegliai all’alba, mi alzai e andai in cerca di un posto per orinare. Poi feci i miei esercizi, terminando con il saluto al sole. Arrivai in tempo perfetto. Quando ebbi finito il sole era sorto del tutto, rotondo e rosso sangue, proprio sopra la parete orientale della valle.

Nia si svegliò, e subito dopo di lei l’oracolo. Derek fu l’ultimo a svegliarsi. Si stiracchio e gemette, poi si tirò in piedi. Mangiammo. Nia andò a sellare i cornacurve. L’oracolo la seguì.

Derek sbadigliò. — Caffè. Ecco quello di cui ho bisogno.

— Che cosa hai trovato?

— Il lago è fango. Fango caldo. Bollente. È uno spettacolo interessante. Ci sono bolle che compaiono in superficie. Diventano sempre più grandi e poi… pffft, e sono sparite. Scoppiate. — Sbadigliò di nuovo. — L’odore di zolfo è davvero rivoltante. E ci sono pali lungo i bordi.

— Che cosa?

— Pali di legno. Grossi forse dieci centimetri e alti circa tre metri. Sono decorati con penne e pezzetti di stoffa. Alcuni hanno corna fatte di rame in cima. Davvero molto corrose. Devono essere stati i gas del lago.

"Presumo che il lago abbia una qualche specie di significato religioso. Non pensi? Ho trovato questo nel fango presso la riva." Si arrotolò una manica. Sul braccio aveva un braccialetto. Se lo tolse e me lo porse. Era d’oro, alto e pesante. Lo rigirai e notai un disegno, ripetuto quattro volte: un cornacurve con un altro animale che lo aggrediva, piantandogli gli artigli nella carne e azzannandolo. Che animale poteva essere? Il corpo era flessuoso come quello di una pantera, la testa stretta e allungata con orecchie enormi, e la coda finiva in un ciuffo. — Nia?

Lei si avvicinò.

— Che cos’è questo?

Prese il braccialetto. — Uh! È proprio bello! L’ha fatto qualcuno del mio popolo. Nessun altro sa fare un lavoro di questa qualità.

— Che animale è? Quello che sta sopra.

— Un assassino-delle-pianure. — Inclinò il braccialetto in modo che il disegno si vedesse meglio. — L’assassino-delle-montagne è più piccolo e ha delle squame oltre al pelo. Mi chiedo come ci sia arrivato qui. Dove l’hai trovato?

— L’ha trovato Derek giù nella valle, vicino al lago.

— Allora è un’offerta. Un dono ai demoni del fuoco. Non avresti dovuto prenderlo. — Porse il braccialetto a Derek.

— Oh, no? — Si rimise il braccialetto.

— Vedo che hai intenzione di tenerlo. — Nia fece il gesto che significava "così sia". — Credo che tu stia facendo un errore. — Si voltò e si allontanò.

Derek sorrise, poi si tirò giù la manica e l’allacciò.

— Ci sono volte in cui credo che tu sia pazzo — osservai.

— No. Solo gravemente alienato. In ogni caso, non credo ai demoni del fuoco. — Lanciò un’occhiata alla valle. — È un bene che non ci creda. La mia protezione personale è troppo lontana. La Balena Grigia non può aiutarmi qui.

La pista curvava verso sud, lasciando il margine della valle. Ancora una volta viaggiavamo in mezzo a colline. La giornata era nuvolosa e il sole era un luminoso disco bianco. Nella luce diffusa non c’erano ombre. Ero quasi certa che stessimo viaggiando verso occidente, ma non ci avrei scommesso. Pensavo anche che stessimo salendo, ma non avrei scommesso neppure su questo. La pista si snodava su e giù.

Gradualmente, i pendii delle colline si facevano più dolci, le valli più ampie e meno profonde. Gli alberi e gli arbusti, quei pochi che c’erano stati, sparirono.

— Uhu — disse Nia in tono soddisfatto. — Stiamo arrivando sulla pianura.

Ci inoltrammo in una nuova valle. Al centro scorreva un fiumiciattolo e un gregge di animali pascolava lungo la riva. Erano bipedi, una nuova specie, più grossa e più pesante di ogni specie vista in precedenza. Soltanto due si tenevano ritti sulle zampe posteriori. Forse stavano di vedetta. Gli altri avevano le zampe anteriori appoggiate al suolo e la testa abbassata, e stavano pascolando.

Derek disse: — Devono essere più abili dei nostri dinosauri. Devono competere con i mammiferi per i pascoli. O dovrei chiamarli mammiferoidi? Non capisco come riescano a sopravvivere.

— Ci sono, o c’erano, un sacco di strani uccelli sulla Terra. Struzzi. Emù. Casuari dell’elmo. E che dire del moa e del grande uccello degli alcidi? Sono sopravvissuti anche nell’era dei mammiferi. Di fatto, credo che la loro evoluzione sia avvenuta nell’era dei mammiferi.

Derek scosse il capo. — Si sono evoluti dai comuni uccelli per colmare determinate nicchie ecologiche: su isole, in almeno due casi. Il moa viveva nella Nuova Zelanda. Il grande uccello degli alcidi nidificava in Islanda. Queste creature invece si trovano ovunque. È evidente che riescono a competere con successo. E non credo che i loro antenati fossero uccelli. Sembrano più rettili, se questo termine ha un significato, su questo pianeta.

— Sono pennuti, e sono disposta a scommettere che sono animali a sangue caldo.

— Lo erano anche i dinosauri. Animali a sangue caldo, voglio dire.

Uno degli animali eretti emise un muggito. Gli altri s’impennarono sulle zampe posteriori e si allontanarono su per la valle lungo il fiume. Avevano un’andatura buffa, un modo di correre goffo. A dispetto dell’atteggiamento maldestro, coprivano una notevole distanza. Quando arrivammo sul fondo della valle erano già spariti.

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