L’oracolo disse: — Lui vuole scendere nella valle.
Guardai Derek. Stava fissando il panorama. Il cielo si andava rasserenando. La luce del sole illuminava i bordi delle nuvole e i colori della valle erano ancora più accesi di prima. — Perché? — domandai.
Lui si voltò. Conoscevo quell’espressione, le sopracciglia inarcate e il sorriso contorto. Derek stava progettando qualcosa di futile o pericoloso, e voleva la mia approvazione. La seduzione era entrata in funzione. Non avevo idea di come facesse, ma era teatrale come un luce al neon che incominciava ad accendersi. Il suo sorriso si allargò.
— Derek, falla finita! Spegnila!
— Che cosa?
— La bellezza mascolina, la seduzione, il fascino erotico. — Ero passata all’inglese. Nia incominciava ad accigliarsi.
— Voglio dare un’occhiata a quel lago — disse Derek. Stava parlando il linguaggio dei doni. La sua voce era profonda e tranquilla. Una voce ragionevole. La voce del buonsenso. — Credo di potercela fare ad andare e tornare prima che la luce sparisca del tutto.
— Ne dubito, e credo che tu sia pazzo a tentare. Quella laggiù è un’area molto attiva. Il suolo è probabilmente rovente, e forse non è sicuro. Potrebbe essere una crosta sopra qualcosa di brutto. Potresti sprofondare. Potresti finire nel brodo, e parlo più in senso letterale che metaforico.
— Parla la nostra lingua — protestò Nia. — Mi interessa questa discussione.
— Okay. Sto dicendo a Derek di non andare in quella valle.
— Non riuscirai a fargli cambiare idea — disse l’oracolo.
Derek rise. — Ha ragione. Rinuncia, Lixia. È inutile parlare. Ho intenzione di andarci.
Feci il gesto che significava "così sia". — Prendi i tuoi stivali.
— Perché? Mi muovo più rapidamente a piedi nudi.
— Te l’ho detto. Credo che il terreno sia rovente. — Mi piegai su un lato, sollevando un braccio, e abbassai l’altro braccio fino a toccare la caviglia, poi chiusi gli occhi, concentrandomi sulla respirazione. Dentro. Fuori. So. Hum. O gioiello del loto!
Mi raddrizzai e aprii gli occhi. Derek se n’era già andato: una piccola figura scura che si muoveva a scatti fra la pseudoerba, già a notevole distanza. Oltre e sotto di lui si estendeva la valle.
Nia dissellò i cornacurve. Accendemmo un fuoco sotto la sporgenza rocciosa. Per cena mangiammo quel che restava dello pseudo-dinosauro.
— Perché c’è andato? — domandò Nia.
— Non ne ho idea. Derek fa di queste cose. Non spesso. — Esitai. Volevo dire che quasi sempre giocava pulito, secondo le regole, ma non conoscevo la parola locale per definire "gioco". Dissi: — Quasi sempre fa quel che è giusto.
Nia finì un pezzo di carne, poi gettò l’osso nel fuoco. — Tutti gli uomini sono pazzi in un modo o nell’altro.
L’oracolo fece il gesto dell’approvazione.
Fissai il cielo della sera. La Grande Luna era sorta. Era più di una mezzaluna ormai e sembrava… che cosa?… tre quarti delle dimensioni della Luna terrestre vista da Skyline Drive, a Duluth, in una notte di piena estate.
Perché non conoscevo il termine per definire "gioco"? Guardai Nia. — Che parola si usa per definire quello che fanno i bambini quando lanciano una palla?
— Si dice "scherzare".
Be’, sì, aveva un senso logico. Era uno dei significati di "gioco". Ma ne aveva anche altri. Pensavo all’Amleto e alla tripla azione, sebbene non fossi del tutto certa di che cosa fosse. E al maneggio della spada. Amleto e Laerte, per esempio. E ai musicisti che suonano i loro strumenti. Quello che mi serviva era l’Old English Dictionary. Eddie aveva accesso ai computer linguistici. Afferrai la radio e l’accesi.
Mi rispose di nuovo un computer. Lo stesso programma di prima. Riconobbi l’accento e il tono di distaccata cortesia. La voce pacata arrivava attraverso un lieve e costante crepitio, simile al fuoco.
Chiesi la definizione di "gioco".
— Un minuto soltanto — rispose il computer.
Sentii i consueti rumori che fanno i computer quando sono al lavoro: un bip, seguito da una serie di cinguettii e poi un nota simile a un campanello. Una nuova voce, un altro programma, mi riferì i significati della parola "gioco" in inglese. Che significa anche scherzare, suonare, giocare d’azzardo, rappresentare, agire, divertirsi, dirigere, far funzionare, muoversi rapidamente…
Era una voce maschile con un accento cinese.
Quando ebbe terminato, ringraziai e spensi la radio.
— Che cos’è quell’oggetto? — s’informò l’oracolo.
Nia si protese in avanti. — Li-sa me l’ha spiegato. È un modo di parlare con persone che si trovano oltre l’orizzonte.
— Oh. Credevo potesse trattarsi di uno strumento musicale. Fa un sacco di differenti tipi di rumore, e alcuni sono piacevoli.
— Che cosa fate con uno strumento musicale? — domandai.
L’oracolo aggrottò la fronte. — Che cosa intendi dire?
— Qual è la parola che significa usarlo. Fargli fare un rumore.
— Oh. Nakhtu.
— Questo è nella sua lingua — precisò Nia. — Nel linguaggio dei doni è nahu.
— È uguale a scherzare? — chiesi.
— No. Certo che no. I bambini scherzano. Gli adulti sono assennati. O, se non sono assennati, sono pazzi, il che è diverso da essere sciocco.
— Oh. — Guardai il fuoco, poi la luna. Gli alieni possedevano strumenti musicali. Avevano cerimonie. Danzavano. Sapevo che conoscevano la rivalità. Pensai a Hakht e a Nahusai. Ma giocavano come noi? L’aggressività rituale e la rivalità erano assolutamente fondamentali nelle culture occidentali. Nell’estremo oriente avevano l’opera, il kabuki e tutte le arti marziali. Tutti avevano il calcio. Queste persone avevano la necessità di giocare quanto noi? C’era una tale tensione nella società umana, una tale aggressività frustrata. Perfino adesso che la vecchia società, la società dell’avidità e della privazione, era sparita.
Aspetta un minuto. Non tutte le società umane erano piene di tensione. Mi ricordai degli aborigeni californiani. Loro erano miti, in modo consapevole e calcolato. La mitezza era fondamentale nella loro religione. Era un segno di illuminazione. L’aborigeno ideale era mite e saggio. Manteneva un basso profilo, vicino alla Madre Terra.
Pensai a Derek. Sapeva essere mite, ma era una finzione. Sotto la superficie era come un tricheco maschio. Sapeva ciò che voleva, ed era disposto a lottare per ottenerlo. Era consapevole di com’era stato da bambino? Era per questo che aveva abbandonato la sua gente? Sarebbe stato un fallimento, frustrato e collerico, fra individui in grado di stare seduti per ore a osservare un condor nel cielo e sentirsi felici.
— "È qui che sta il senso", mi aveva spiegato uno di loro, una maga che indossava solo un perizoma e aveva il corpo pieno di tatuaggi. "La Madre Terra e il Padre Cielo, le cose che vivono: le piante e gli animali. Tutti gli antichi misteri di cui parlavano i profeti. Alce Nero e il Buddha. Gesù e Madre Carità. Tutti ci dicono la stessa cosa. Per quanto lottiate e vi sforziate, non lascerete mai questo mondo vivi. Perché lottare, dunque? E perché sforzarsi? Fa’ ciò che devi. Prendi ciò di cui hai bisogno. Sii grata e sii mite."
Okay, dissi a quel vecchio ricordo. Chiusi gli occhi e la rividi: la faccia piena di rughe e i lunghi seni piatti. C’era… c’era stata… una falce di luna sulla sua fronte. Fra i seni aveva un ciondolo, una scure a doppio taglio scolpita in una conchiglia. Una vecchia saggia. Chissà se Derek l’aveva conosciuta. Improbabile. Apparteneva a una tribù diversa. Erano una popolazione di montagna, i Bernadinos.
Mangiai un altro pezzo di carne, poi mi addormentai e mi svegliai nel cuore della notte. La luna era sparita e il cielo era pieno di stelle. Mi sollevai a sedere. Il fuoco era ormai solo un mucchio di tizzoni che rosseggiavano ancora leggermente. Mi guardai attorno. Nia era sdraiata accanto a me e russava. Più in là vidi un altro corpo. Doveva essere l’oracolo.