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Derek

Attraversammo a guado il fiume. Sull’altra sponda Nia trovò una pista. La seguimmo, inerpicandoci su per la scogliera e superandola, e arrivammo sulla pianura. Davanti a noi la pista conduceva verso l’orizzonte occidentale.

— Chi è stato a batterla? — domandai.

— Le donne. Quelle che portano i doni al Popolo dell’Ambra e riportano a casa altri doni. — Nia fece schioccare le redini. Il suo animale si lanciò in avanti. Il mio lo seguì e io cambiai posizione, cercando di mettermi comoda.

La giornata si fece torrida, non tradendo le aspettative. I nostri animali procedevano con passo lento verso occidente. Nia era silenziosa e io passai il tempo a osservare. Non c’era molto da vedere. La pianura era monotona, quasi priva di interesse. Il cielo era limpido e non vidi alcun animale all’infuori degli insetti.

A mezzogiorno ci fermammo e smontammo. Io feci i miei esercizi di stretching, poi bevvi un po’ d’acqua dalla ghirba di Nia. L’acqua era calda e aveva un gusto strano.

— Come ti senti? — mi domandò Nia.

— Indolenzita. Ma posso proseguire.

— È una fortuna. — Bevve e si asciugò la bocca con il dorso della mano. — Anch’io sono dolorante. Sono anni che non cavalco. Ci fermeremo presto questa sera.

Nel pomeriggio inoltrato ci fermammo presso un basso monticello. Smontai di sella, mi stiracchiai e gemetti.

— Mi occuperò io degli animali — disse Nia.

— Ne sei sicura?

Nia fece il gesto dell’affermazione. — È evidente che tu non sai niente di cornacurve.

Feci il gesto dell’assenso e salii sul monticello. Nel cielo sopra di me un unico uccello si muoveva in un ampio e lento cerchio. Feci la mia ginnastica, poi meditai. Ero talmente irrigidita che riuscii a stento a mettermi nella posizione del semiloto.

Nia finì di accudire gli animali e si allontanò gironzolando. Tornò con le braccia piene di roba. Era rotonda, grigia e friabile.

— Sterco — mi spiegò. — È rimasto dalla primavera, quando sono passate le mandrie.

Accese un fuoco, usando lo sterco come combustibile. Cenammo con pane e un pezzo di carne che aveva l’aspetto e il gusto del cuoio. Finito di mangiare, restammo sedute a osservare il fuoco.

Mi informai sulla sua caviglia.

— Fa male. E anche le altre ferite. — Fece una breve pausa. — Mi sono sentita peggio. Sopravviverò.

La parola che usò significava "durare", "mantenersi", "restare utilizzabile", "non esaurirsi".

— Bene. — Lanciai un’occhiata al monticello. Non mi dava l’idea di essere naturale. Sembrava artificiale. Che cosa ci faceva lì da solo nel bel mezzo della pianura? — Da chi è stato fatto? — Lo indicai col dito.

— Non lo so. Non è opera di animali. È troppo grande. Forse l’hanno fatto delle donne. O dei demoni. Gli spiriti non costruiscono. — Sembrava disinteressata. Che la sua gente non avesse il senso della storia? Oppure Nia era soltanto stanca?

— Dove andremo? — m’informai.

Nia corrugò la fronte. — C’è un posto nel quale desideri andare?

— Un altro villaggio. Voglio imparare altre parole e usanze.

— Le popolazioni che vivono a ovest di qui viaggiano tutte e in questo momento i loro villaggi si trovano su a nord. Ma se andiamo sempre avanti dovremmo riuscire a incontrare il Popolo del Ferro quando torna verso sud. — Esitò. — Mi è venuto in mente che mi piacerebbe vedere i miei figli.

— Ma quelle persone ti hanno scacciata. Non è probabile che lo facciano di nuovo?

— Probabilmente lo farebbero, se arrivassi da loro da sola. Ma tu sei una straniera. Chi potrebbe mai essere più estraneo? E loro sanno, assai meglio del Popolo del Rame, ciò che è dovuto agli stranieri.

— Che cosa? — domandai.

Nia parve sorpresa. — Cibo. Un posto dove dormire. Aiuto, se è necessario. Racconti e doni. Non è mai corretto scacciare una straniera, a meno che non sia violenta.

— Ma è giusto scacciare un membro del proprio villaggio?

— Sì. Che danno può venire da qualcuno di passaggio? Se un’estranea di passaggio ha idee insolite, è una cosa prevedibile. Se si comporta in modo strano, se ne andrà comunque abbastanza presto. Ma se un’abitante del villaggio è pervertita, litigiosa o pazza… Ah! Questo è un problema serio!

Uno splendido ragionamento. Sorrisi.

— Tu stai mostrando i denti — osservò Nia. — Sei arrabbiata?

— No. La mia gente mostra i denti quando è contenta.

— Aiya! Il Popolo del Ferro ci lascerà sicuramente entrare!

Il giorno successivo fu uguale al primo, e il terzo giorno fu uguale al secondo. Il tempo si manteneva caldo e sereno. La pianura si estendeva sempre piatta e coperta di pseudo-erba, e neppure questa era cambiata. Restava alta circa un metro, verde, verdeazzurra e gialla. La forma predominante di vita animale erano gli insetti. Svolazzavano e ronzavano tutt’attorno a noi.

Come faceva la storia?

Un vescovo chiedeva a un biologo: "Che cosa ti hanno insegnato i tuoi studi sul Creatore?".

E il biologo rispondeva: "Che nutre un amore smodato per gli insetti".

Dopo quattro giorni ci imbattemmo in un nuovo tipo di vegetazione: una pianta di un verde brillante che sembrava erba o pseudo-erba, se non che era alta cinque metri. Costituiva un muro che si spingeva a nord e a sud fin dove l’occhio poteva arrivare.

— Qui c’è dell’acqua — disse Nia. — Questa roba cresce presso le rive dei fiumi.

Cavalcammo verso nord lungo quella barriera. Non c’era modo di attraversarla. Gli steli crescevano troppo vicini fra loro, e le foglie avevano bordi ruvidi.

— Tagliano — mi spiegò Nia. — Ecco quello che cercavo. — Tirò le redini dell’animale e indicò col dito. — Un sentiero.

Smontammo. Io mi lamentai come sempre, ma il dolore incominciava a diminuire. Nia s’incamminò lungo il sentiero. La seguii, conducendo il mio animale, che mi sollecitava. Doveva aver fiutato l’acqua. — Finiscila! — Diedi una pacca sul muso della creatura, che sbuffò.

— Fa’ silenzio — mi ordinò Nia. — Non si può mai dire che cosa stia in attesa vicino a un fiume.

La vegetazione finì. Ci trovavamo sulla riva del fiume. Di fronte a noi uno stretto rivolo serpeggiava su un ampio letto sabbioso. Sull’altra sponda cresceva ancora quell’erba enorme. Più a valle c’era una pozza d’acqua.

— Aiya! - esclamò Nia.

Nella pozza c’era un uomo. Era nudo ed era privo di pelliccia. La sua pelle era bruna, i lunghi capelli biondi. Sulla schiena aveva un tatuaggio: un complesso disegno geometrico. Raffigurava le forze cosmiche dentro e attorno la Balena Grigia. La balena, o meglio il disegno della balena, era il totem della sua capanna. Forse avrei dovuto usare la sua terminologia. Era il mandala della sua eco-nicchia.

Aveva una canna da pesca e la stava lanciando con tutta la sua consueta abilità.

— Ho una domanda per te — fece Nia. — Sai che cos’è quello?

— Una persona. Un mio amico.

Lui si guardò attorno e tirò su la lenza, poi si avvicinò sguazzando alla riva. La barba e i peli pubici erano di un bruno rossiccio. Sul torace e le braccia aveva le cicatrici dell’iniziazione. La canna da pesca che portava era fatta a mano. Era lunga, molto lunga, e priva di mulinello.

— Come va? — chiesi in inglese.

— La canna da pesca? Non molto bene. — Sorrise. — Ma ho dei pesci. — Posò a terra la canna. — Tu sei Nia — disse nel linguaggio dei doni. — Io sono Derek. Appartengo alla tribù degli Angelinos. La casa a cui appartengo è la casa de… — Esitò un momento. — Del grande pesce. Il nome che mi sono guadagnato è Colui-che-lotta-nel-mare. Ed è meglio che te lo dica, sono un uomo.

— L’avevo pensato — replicò Nia. — Benché sia difficile sentirsi sicuri di qualcosa quando si ha a che fare con persone così diverse. Sei santo? Come la Voce della Cascata? È per questo che sei nudo?

— No. Torno subito. — Si allontanò lungo il fiume, muovendosi rapidamente, e in un attimo sparì alla vista.

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