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Chiacchierammo di altre cose. Mi mantenni più o meno sobria. Eshtanabai era chiaramente confusa. Aveva forse un problema con le sostanze inebrianti? In questo caso, perché? La tensione di fare la mediatrice? Oppure c’era qualche altro problema, psicologico o fisico, del quale non sapevo nulla?

Dormimmo. Mi svegliai con la luce del sole. Nia venne a farmi visita, zoppicando e appoggiandosi a un bastone.

— Sono pronta a partire — dichiarò. — Questo posto mi rende irrequieta, e la sciamana mi rivolge delle occhiatacce molto brutte.

— Riesci a camminare a stento — le dissi.

— A questo proposito so che cosa fare. Non pensare di restare qui ancora per molto tempo.

Si allontanò zoppicando. Mi diressi verso la casa accanto. C’era un’anziana donna che sapeva tutto quello che c’era da sapere sui rapporti di parentela. Così almeno mi aveva detto la mia ospite.

Nia tornò nel tardo pomeriggio. Io ero seduta fuori dalla porta, accanto all’anziana donna. Mi stava spiegando gli obblighi fra sorelle e i figli delle sorelle.

Nia si fermò e si appoggiò al suo bastone, un rozzo pezzo di legno. Aveva ancora la corteccia e vicino alla parte superiore spuntava un ramoscello. — Partiamo domani. Ho dato i miei attrezzi alla lavoratrice del rame. Lei mi ha dato in cambio due cornacurve. Possiamo cavalcare.

L’anziana donna si accigliò. — Mi stai interrompendo. Stavo per spiegare chi offre i doni a un ragazzo quando è pronto a lasciare il villaggio. Questa persona senza pelo è sorprendente. Non sa niente di niente. Ma è disposta ad ascoltare, e non interrompe.

Nia emise un suono iroso. — Me ne vado. Ma sta’ pronta, Li-sa. Voglio partire all’alba. — Se ne andò zoppicando.

La vecchia terminò la sua spiegazione. Le diedi una collana fatta di perline di legno. Il legno veniva da un’isola dell’oceano occidentale, un luogo freddo e piovoso che mi faceva pensare a Ecotopia nel Nord America. Questo… il legno, non Ecotopia… era rosso e di grana molto sottile, pieno di pieghe e volute. La superficie lucidata luccicava.

— Aiya! - esclamò l’anziana donna. — Questa farà colpo su tutti. — Si mise la collana.

Torni a casa di Eshtanabai. La mia ospite era fuori; ritenni che stesse lavorando nel suo orto. Mi sedetti. A suo tempo tornò.

— State per partire.

Feci il cenno dell’assenso.

— Bene.

— Che cosa?

— La sciamana è furiosa. Se restate, ci sarà un litigio, molto brutto. Non c’è niente di peggio di una sciamana adirata.

— Immagino che tu abbia ragione. — Riflettei un momento. — Che cosa è successo alla vecchia sciamana? Quella avida? Doveva essere furiosa quando avete trovato qualcuno per sostituirla.

— Era furiosa. Ma non aveva potere. Gli spiriti avevano cessato di ascoltarla. Se ne è andata via sulla pianura. Con ogni probabilità è morta. O ha trovato un altro villaggio. — Eshtanabai sembrava totalmente disinteressata.

Erano gente fredda. Era forse perché non amavano come noi? Poi mi ricordai di Hakht e di Nia. Nessuna delle due era fredda.

— Questa sera mangeremo bene — disse Eshtanabai. — Pesce del fiume e un uccello grasso. Domani vi darò del cibo per il viaggio.

— Grazie.

Mangiammo bene. Il pesce era farcito di verdure e arrostito. L’uccello era cotto in umido. Bevemmo un sacco di bara. Venne gente a farci visita e a guardarmi fissamente. La vecchia della porta accanto fece sfoggio della sua collana. Uno dei bambini di Eshtanabai suonò un flauto. Un altro batté su un tamburo. Tutt’a un tratto Eshtanabai balzò su. Afferrò un ramo dal fuoco e lo fece roteare attorno alla testa. Poi corse fuori dalla casa. Tutti noi la seguimmo. Fuori nella strada la mia ospite danzava, girava e agitava la sua torcia. Le altre donne gridavano: — Hola! — I due bambini continuavano a suonare il flauto e il tamburo. Eshtanabai cantava nella sua lingua, che io non comprendevo. Incedeva impettita avanti e indietro. Le altre donne facevano gesti di approvazione e affermazione.

Che cosa stava succedendo? Mi guardai attorno. Nia era appoggiata contro la parete di una casa. Teneva le braccia conserte e la fronte aggrottata.

— Che cos’è? — domandai.

— Non so dirti le parole, ma so che cosa significano. Lei si sta vantando. Sta dicendo: "Io sono saggia. Sono prudente. Posso appianare ogni lite". Dice loro: "Io sono generosa. Voi avete mangiato il mio cibo. Io ho trovato un modo per liberarci da queste strane persone che ci hanno messe tutte a disagio. Vedrete tutto il bene che faccio per voi". È questo che sta dicendo.

Era un discorso politico. Osservai con interesse. Comparvero altre torce. Adesso danzavano tutte all’infuori di me e di Nia. I bambini si arrampicavano in cima alle case, saltavano fra il fogliame e gridavano. Eshtanabai proseguiva nella sua cantilena.

Dopo un po’ Nia disse: — Il Popolo del Rame è sempre lo stesso. Fa sempre troppo baccano. Me ne vado a dormire. — Se ne andò zoppicando.

La festa finì all’incirca un’ora più tardi. Non era rimasto più niente da bere né da mangiare. Eshtanabai aveva detto tutto quello che aveva da dire. Andammo tutti a dormire. All’alba arrivò Nia e mi svegliò scrollandomi. Io brontolai e mi girai dall’altra parte.

— Muoviti — mi sollecitò Nia.

Andai incespicando fino alla latrina. Quando tornai, Eshtanabai si era alzata. Raccolsi le mie cose e lei mi diede un sacco pieno di cibo.

— Addio, senzapelo.

Risposi con il gesto del congedo, seguito dal gesto della gratitudine.

Nia disse: — Andiamo.

La seguii fuori. In quel momento l’aria era fresca, ma somigliava alle mattine d’estate nel Minnesota o nel Wisconsin. La giornata sarebbe stata molto calda. Nia mi guidò attraverso il villaggio. Non aveva il bastone, e faceva fatica a camminare. Alla fine l’aiutai io. Arrivammo al cancello. Lei l’aprì e uscimmo. In lontananza, verso est, il sole stava sorgendo, nascosto dal villaggio. La sua luce illuminava il cielo. C’erano due animali legati presso il cancello: quadrupedi, ed erbivori, ne ero quasi certa. Avevano zampe lunghe e un ampio torace, e la coda era simile a quella dei cervi. Le loro corna erano sottili e ricurve come quelle delle antilopi. Uno degli animali mosse di scatto la testa e sbuffò; l’altro batté una zampa.

— Questi sono cornacurve — mi spiegò Nia. — Sono in condizioni abbastanza buone, sebbene uno stia invecchiando. Non sono in grado di dire granché delle selle. Dovrebbero durare finché non arriveremo ovunque stiamo andando.

Slegò uno degli animali e montò in sella. Io esitai, poi slegai l’altro animale. Questo si mosse.

— Aspetta un minuto — dissi. Misi un piede nella staffa, mi aggrappai alla sella e mi tirai su. L’animale si mosse di nuovo, facendo un passo e agitando la testa. In qualche modo riuscii a issarmi in sella, ma lasciai cadere il sacco del cibo.

— Non sai cavalcare — osservò Nia.

— Non molto bene.

Lei sollevò la gamba sopra la sella con un movimento agile e naturale come se stesse scendendo da un parapetto. Quando toccò il suolo, fece una smorfia e si lamentò. Brontolò fra sé e allungò la mano per afferrare il sacco. Un attimo dopo era di nuovo in sella al suo animale. — Sarà un lungo viaggio — mi disse.

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