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— Di che cosa parla?

— Non la conosci? È una storia molto vecchia. È successa molto tempo fa, quando vivevamo come il Popolo dell’Ambra. Le nostre case erano tende e noi seguivamo la mandria. C’era una donna che si allontanò nel periodo dell’accoppiamento. Ci fu un terribile uragano quell’anno. I cornacurve fuggirono in preda al panico e gli uomini li inseguirono. Di conseguenza questa donna non trovò un uomo. La smania finì. Lei tornò al villaggio. Dopo un po’ di tempo si vide chiaramente che era gravida. Verso la fine dell’inverno ebbe una figlia. Era la figlia del vento. Nessuno riusciva a vedere la neonata ed era difficile da trovare. Quando aveva fame, andava dalla madre a poppare. Allora, toccandola, la madre apprese che era una femmina e coperta di soffice pelliccia. Ma per la maggior parte del tempo la bambina era irrequieta. Correva nella tenda della madre. Correva per il villaggio. Un giorno fuggì dal villaggio nella pianura. Non ritornò mai più. Sua madre sapeva che sarebbe successo. Compose una canzone per la figlia prima che se ne andasse. Fa così:

"Hola!

mia piccina.

Hola!

mia figlia del vento.

"Adesso turbini

nella mia tenda

Adesso fai svolazzare

i tendaggi.

"Presto te ne andrai

nell’immensa pianura

per sempre."

"È questa la canzone che la vecchia cantò quando allontanammo dal villaggio il ragazzo. Tutti s’infuriarono, soprattutto la madre del ragazzo. Una donna ha numerosi rituali nella sua vita. Un uomo ne ha soltanto uno: la cerimonia di addio. E la vecchia l’aveva rovinata. Ne aveva fatto una triste ricorrenza. Ma che cosa possiamo fare? Non è facile trovare una brava sciamana, e questa è eccellente. E gli spiriti mandano la pioggia per i nostri orti quando lei glielo chiede. Prendi ancora da bere."

Bevemmo. Eshtanabai mi raccontò della vecchia sciamana, quella che avevano avuto prima di questa. Era una donna avida.

— Aiya! Aveva una casa piena di oggetti. Più diventava vecchia, più pretendeva. Chiedeva più di quanto valessero le cerimonie. Noi glielo davamo. Eravamo costrette. Nessuno desiderava la malasorte o la collera degli spiriti. Ma gli spiriti si adirarono ugualmente. Le cerimonie non funzionavano.

— Perché?

Eshtanabai aggrottò la fronte. — Perché davamo troppo. Guarda. Io riempo la tua ciotola. Sono generosa. La riempio fino all’orlo. Questo è un dono adeguato. Tu ne hai abbastanza e ciò ti rende contenta. Io so che mi darai qualcosa in cambio e ciò mi rende contenta. Ma se continuo a versare e il bara trabocca, se ti bagna le mani e si rovescia sui tuoi indumenti e sul pavimento, non è un dono opportuno. È un insulto e un pasticcio.

"Un dono è un legame. Ma soltanto uno sciocco lega una corda forte a un pezzetto di cordoncino. Devi legare fra loro solo cose simili, altrimenti il nodo si scioglierà o si spezzerà."

— Ne sei sicura?

Eshtanabai batté le palpebre. — Quello che so è che gli spiriti non ascoltavano quella donna. I suoi rituali non ci facevano ottenere niente. Trovammo una nuova sciamana, una che prende ciò che è giusto e dà ciò che è giusto, anche se è mezza matta e parla dei propri figli. Ecco. Lascia che ti faccia vedere di nuovo. — Versò dell’altro liquido. — Fino all’orlo e non di più. Che cosa mi darai, o senzapelo?

Mi recai dov’era il mio zaino, tirai fuori una collana e gliela diedi. Lei mi offrì altro bara. Le diedi un braccialetto scolpito ricavato da un legno indigeno e intarsiato con i denti di una specie di pesce locale. Era stato Derek a fare il braccialetto. Era un eccellente artista. Era ormai il crepuscolo e il cielo a occidente era di un rosa arancione. Alta nel cielo c’era una delle lune: un brillante punto luminoso. Pensai che stavano succedendo troppe cose e non ne avevo più il controllo. Oh, bene. Andai nella parte posteriore della casa e crollai addormentata su un mucchio di pellicce.

L’indomani mattina tornai a casa della sciamana. Nia era seduta e mangiava una ciotola di poltiglia. — Perché hai difficoltà a camminare? — mi domandò.

— Ho fatto una cosa stupida. Ohi, la mia testa! — Mi sedetti.

— Non sei più tornata ieri.

— La sciamana mi ha detto che avevi bisogno di riposo. — Vedevo Nia sfocata. Mi fregai gli occhi.

— Non mi hai dato una risposta. — Nia mise giù la sua ciotola. C’era un grumo di poltiglia sul fondo. Lei lo raccolse con un dito e se lo mise in bocca. — Ho ragione io? Oppure ha ragione Hua?

— Che cosa?

— Sono una pervertita?

Mi massaggiai il collo. — Come faccio a saperlo? Ma posso dirti questo: le persone hanno usanze diverse. Ci sono posti in cui gli uomini e le donne vivono insieme come facevate tu ed Enshi. Ci sono posti in cui la gente direbbe che ciò che ti ha fatto il vecchio è stata una cosa orribile.

— Ah! — esclamò Nia. — Dove sono quesi posti?

— Molto lontano da qui.

— Forse un giorno andrò in un posto così.

Non dissi una parola. Il mio mal di testa stava peggiorando e avevo difficoltà a concentrarmi.

Nia si grattò il naso. — Ma forse non mi piacerebbe un posto simile.

— Forse no.

Alla sera mi recai al fiume. Faceva molto caldo ed era umido e afoso laggiù. L’aria brulicava di insetti. Feci una chiamata a Eddie e gli raccontai la storia di Enshi.

— Interessante. Sembra che abbiano inventato la monogamia. Mi riferisco a Nia e a Enshi.

— E il vecchio ha inventato lo stupro.

— Uhu. — Non disse più nulla per un minuto o due. Lo stupro era un argomento che rendeva nervosa la maggior parte degli uomini. Finalmente parlò. — Abbiamo fatto un altro rilevamento col satellite. Non ci sono città. Nemmeno una. Secondo Tony, la cosa ha senso. Gli uomini non possono sopravvivere in un’area urbana. E gli uomini devono essere vicini alle donne. Altrimenti l’accoppiamento sarebbe difficile, forse impossibile. L’intera specie è ferma a uno stadio di sviluppo pre-urbano, e lo sarà sempre.

Un insetto mi volò su per il naso. Sbuffai e tossii. Un secondo insetto mi volò in bocca. Lo sputai fuori. — Eddie, non posso restare qui. Ci sono insetti dappertutto.

— Okay. Harrison vuole che ti informi sulla guerra. Non crede che esista su questo pianeta.

— Okay. — Corsi al villaggio. Il cancello era chiuso. Dovetti gridare e picchiare sul legno finché non arrivò qualcuno che mi fece entrare.

Il giorno seguente parlai con Eshtanabai. Lei non aveva mai sentito parlare di violenza organizzata. — Come potrebbe accadere una cosa del genere? Capita talvolta che due uomini si incontrino e nessuno dei due accetti di cedere. Allora si battono. E ci sono donne folli che litigano con le loro vicine. Ma nessuno si schiererà con una donna litigiosa. E nessuno prenderà mai le parti di un uomo.

Mmm, pensai. Mi trovavo su un pianeta dove non esistevano guerre, né città, né amore sessuale. Era un bene o un male? Non avrei saputo dirlo.

Eshtanabai mi tese una scodella. — Prendi un po’ di bara. Beviamo e parliamo di qualcosa che abbia senso.

Dopo un po’ domandai: — Perché avete palizzate attorno al vostro villaggio?

— Ci sono animali sulla pianura. Assassini. Seguono la mandria. E quando la mandria arriva a sud, si aggirano in cerca di prede. Cercano qualsiasi cosa si possa mangiare. Rifiuti. Bambini. La palizzata è per tenerli fuori.

— Aiya!

— Inoltre, a noi piacciono le palizzate. Ci sentiamo più a nostro agio quando ci guardiamo attorno e vediamo che siamo rinchiuse.

La cosa aveva un significato logico per me. Ero cresciuta su un’isola. Il vasto oceano non mi disturbava, ma non mi ero mai sentita del tutto felice nella pianura centrale americana. Ce n’era troppa. Non mi sentivo a mio agio ritta su un pezzo di terra che si estendeva, apparentemente, senza fine.

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