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Lizzie corrugò la fronte. Discutere la faceva sentire meno impotente. — Ma i robot ormai non funzionano bene da molto tempo, loro. Guarda quanti coni rovinati…

— Non da così tanto tempo. Abbiamo trovato dei coni funzionanti nello strato più alto di casse, ricordi?

— E come facciamo a sapere, noi, che questi coni funzionano davvero? — chiese Lizzie. Si sedette in posizione eretta, ne tirò fuori uno dal sacco e lo accese. Il cono irradiò immediatamente calore. Lo portò nella posizione per ottenere luce, quindi in quella intermedia che forniva luce e calore insieme. — Funziona.

— Benissimo.

— Forse chi arriverà ci permetterà di tenere questi pochi coni.

Vicki si limitò a guardarla. La sensazione di impotenza si impadronì nuovamente di Lizzie. No, era ovvio che non avrebbero permesso loro di tenere i coni. Erano Muli. Avrebbero arrestato lei e Vicki per effrazione, furto e qualsiasi altra cosa avessero deciso e lei e Vicki sarebbero finite in prigione. Il suo bambino sarebbe nato in prigione. La tribù non avrebbe avuto di che scaldarsi in inverno, e così sarebbe migrata a sud, come aveva già fatto la maggior parte delle altre tribù. Be’, non sarebbe stato così grave: a sud il clima era caldo e non erano rimaste moltissime persone dopo le terribili Guerre del Cambiamento, quindi non è che non ci fosse posto. Ma Billy e la madre di Lizzie non sarebbero partiti. Non se Lizzie si trovava in galera lì a nord. L’avrebbero richiusa lì? A volte mandavano la gente in prigioni lontane. I poliziotti Muli potevano spedirla ovunque.

— Ci controllano ancora, loro, non è vero? — disse in preda alla depressione. — A dispetto del Cambiamento, del Depuratore Cellulare e… di tutto.

Vicki non rispose. Restò semplicemente seduta lì, un Mulo rinnegato lei stessa, che viveva con i Vivi, a guardare il muletto impazzito che sollevava, trasportava e ammassava aria fina mentre i coni danneggiati rotolavano a terra, finendo sbattuti negli angoli.

Aspettarono tutta la notte, dormendo qualche ora sul pavimento della fabbrica. Verso l’alba, un cono rotolò fino a Lizzie facendola passare dai sogni frammentati a un frammentato stato di veglia. Lei scansò il cono e prese in considerazione l’ipotesi di disattivare il muletto. Ma perché darsi tanta pena? Si accucciò attorno alla massa ancora poco familiare del pancione. Il pavimento della fabbrica era freddo. Al suo fianco, Vicki russava delicatamente, ma Lizzie non riuscì a riprendere sonno.

Si sedette. Durante la notte un’altra parte della tunica si era consumata. La cintura che indossava legata sotto e che le correva sulla pancia, era fatta di una sostanza sintetica non organica in uso prima del Cambiamento. Da quella pendeva una sacca dello stesso materiale, che conteneva i suoi attrezzi. Se soltanto avesse avuto una sega laser! Le avrebbe fatte uscire da lì in un istante. Ma soltanto i Muli possedevano seghe al laser. Era così già ai tempi delle Guerre del Cambiamento, quando c’erano stati pesanti saccheggi ai depositi, combattimenti e quella che Vicki chiamava "la monumentale rivolta civile di un ordine morente". I Muli erano rimasti nelle loro impenetrabili enclavi e le seghe laser erano restate esattamente lì con loro. Inoltre, una sega laser non le avrebbe fatte passare attraverso lo scudo di sicurezza esterno. Nulla, a parte un’arma nucleare, era in grado di infrangere uno scudo a energia-Y.

Le luci dello stabilimento erano rimaste accese tutta la notte. Probabilmente erano programmate in quel modo qualora l’edificio evidenziasse la presenza di esseri umani. Nel debole bagliore, i robot continuavano ad affaccendarsi, sbagliando tutto. Stupide macchine.

Ma non più stupide di quanto non fosse stata Lizzie, lei.

Per quello che ricordava, Lizzie si era sempre sentita come due persone separate. Una aveva sempre posto domande, asfissiando sua madre, Billy e poi Vicki, saccheggiando il patetico software educativo a scuola, smontando robot tutte le volte che ne aveva l’occasione, ascoltando, ascoltando, ascoltando. C’erano così tante cose che voleva "sapere". Fino all’arrivo di Vicki e del Cambiamento, non aveva avuto modo di scoprire niente. Così, quando Vicki aveva lasciato le enclavi ed era andata ad abitare con i Vivi, fornendo a Lizzie un buon terminale e una biblioteca di cristallo, lei aveva avuto tutto da imparare. Lizzie, una delle due Lizzie, era diventata quasi frenetica, lavorando al terminale ogni minuto in cui era sveglia, cercando di recuperare il tempo perduto. E quando aveva imparato a usare la Rete, poi a dominarla e alla fine a saccheggiare tutte le informazioni di cui aveva bisogno, da qualunque parte, si era sentita quasi ubriaca: ubriaca di potere, di cose da fare. Lei aveva progettato il robot tessitore per la tribù e saccheggiato tutti i depositi non protetti da scudi alla ricerca delle parti necessarie per costruirlo; lei aveva localizzato la fabbrica abbandonata che sarebbe servita come casa per l’inverno ed era rimasta incinta di un ragazzo che non aveva più visto e di cui non aveva alcun bisogno. Lizzie Francy aveva deciso che voleva un bambino, proprio come aveva deciso che voleva un robot tessitore, quindi lo aveva avuto. Lei poteva farlo, poteva fare qualsiasi cosa, ed era meglio che nessuno glielo impedisse!

Ma in ogni istante, sotto sotto, c’era una Lizzie completamente diversa che nessuno vedeva, che era perennemente impaurita, che sapeva che, alla fine, avrebbe combinato solo dei gran casini: era soltanto questione di tempo. A quel punto tutti avrebbero saputo che lei era soltanto un inganno, che non sapeva fare nulla in modo corretto e che non era adeguata. Quella seconda Lizzie era terrorizzata dal trafugare dati da importanti multinazionali come la TenTech e impaurita, una volta nato il suo bambino, di non essere in grado di prendersene cura, ossessionata dall’idea che Vicki, Billy e sua madre potessero andare via, lasciandola da sola. Da sola con un bambino, cosa che altre due ragazze della sua età nella tribù, Tasha e Sharon, gestivano alla perfezione ma che Lizzie Francy non avrebbe saputo fare. Perché Lizzie, quest’altra Lizzie, voleva soltanto rannicchiarsi, smettere di essere la persona a cui tutta la tribù si riferiva per ottenere risposte rubate da quella Rete che lei, dopo tutto, non possedeva affatto. La possedevano i Muli, come sempre.

Seduta con la schiena appoggiata contro la fredda parete in cemespugna, guardando i robot che distruggevano i coni a energia-Y, improvvisamente lei non fu più in grado di accettare le due Lizzie che aveva dentro. Le stavano serrando la gola e premendo sul cuore. "So fare tutto! Non so fare bene niente!" Le stringevano il petto. Doveva alzarsi, scappare da tutt’e due.

Lasciò Vicki che dormiva. Vicki era bellissima quando dormiva, era sempre bellissima. Modificata geneticamente. Lizzie non sarebbe mai stata così bella: era troppo bassa, aveva un buffo mento e i capelli neri e crespi le sparavano in tutte le direzioni perché lei li tirava sempre quando era intenta a consultare banche dati. Ma Vicki stava dormendo e Lizzie no, quindi stava a lei "fare" qualcosa per la loro situazione. Qualcosa, qualsiasi cosa.

Irrequieta, misurò il perimetro della stanza immensa, dove c’erano meno coni a rotolarle davanti ai piedi. Superò le porte principali, davanti alle quali, la sera prima, aveva sprecato un’intera futile ora tentando di aprirle. Superò il pannello sopra i piccoli condotti dei filtri dell’aria, che Vicki era riuscita ad aprire: il sistema di filtraggio dell’aria era effettivamente saltato insieme al resto della programmazione. I piedi nudi di Lizzie lasciavano impronte sporche sul pavimento.

Sulla parete opposta, notò qualcosa che, in preda alla stanchezza e allo scoraggiamento, le era sfuggito la sera prima. A due metri e mezzo circa dal pavimento c’era un pannello di metallo quadrato, dello stesso identico colore delle pareti in cemespugna.

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