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Theresa appoggiò a terra le gambe e allungò le mani per prendere le stampelle. Il roboinfermiere le fluttuò a lato. — Ha bisogno di aiuto, signorina Aranow? Non preferirebbe usare la padella?

— No. Disattivare — disse Theresa, e la parte di lei che era ancora Theresa… c’era sempre quella parte, soltanto che se ci pensava troppo le faceva perdere la parte che non lo era, si accorse dell’espressione decisa del tono. Il tono di Cazie con la voce ancora roca di Theresa.

"Non pensarci."

Lottò per uscire dalla camicia da notte e per infilarsi un vestito. Le pendeva sul corpo scheletrico. Scarpe, giacca. Nell’ingresso colse un’occhiata di se stessa allo specchio.

"No." Oh, Dio, no. Quella testa calva, era sua? Occhi infossati, pelle bruciata sopra il cranio: tutto suo? Riprese a piangere.

No. Cazie non avrebbe pianto. Cazie avrebbe saputo che si trattava di una cosa temporanea, che stava guarendo. Lo diceva sempre Jackson: Cazie si sarebbe messa un cappello. Theresa ne prese uno di Jackson e se lo calzò fin sopra le orecchie.

— Prigione di Manhattan Est, verificare coordinate — disse al robotaxi che l’edificio aveva chiamato per lei; assunse un’espressione truce come quella di Cazie. Aveva aspettato il robotaxi per quasi un quarto d’ora ma era riuscita sempre a rimanere Cazie.

— Sì, signorina Aranow — rispose il robotaxi. Theresa oscurò i finestrini e chiuse gli occhi per non vedersi nel riflesso dei vetri.

Il robotaxi la lasciò davanti a un edificio vicino alla parete orientale dello scudo dell’enclave. Qualche persona che stava camminando in fretta si fermò sul marciapiede, fissandola. Theresa ignorò tutti. Mento in alto, mani serrate strette insieme, disse all’analizzatore di retina nell’atrio deserto: — Sono Theresa Aranow. Sono qui per vedere un… un prigioniero. Lizzie Francy. Oppure chiunque sia il responsabile, qui.

— Lei non è registrata come avvocato, signorina Aranow — rispose l’edificio. — E nemmeno come parente stretta del prigioniero.

— No, io sono… potrei parlare con un essere umano, per favore?

— Mi dispiace, siamo in stato di emergenza. Tutto il personale della Patterson Protect è stato stanziato altrove. Vuole aspettare?

Stato di emergenza. Ovvio. L’attacco al Rifugio. Le persone avevano paura che la bomba successiva cadesse su New York. Se lei non avesse oscurato i finestrini del robotaxi si sarebbe accorta di tutta la gente che abbandonava l’enclave in volo. Non c’era da meravigliarsi che al suo edificio fosse occorso tanto tempo per procurarle un robotaxi. E forse anche la gente dall’aria sconcertata che aveva visto all’esterno non era stata colpita tanto dal suo aspetto bizzarro quanto dalla propria paura. La cosa le tirò su il morale.

— Non voglio aspettare — ribatté. — Voglio portare fuori da qui Lizzie Francy. Cosa devo fare?

— Vuole collegarsi agli Atti Pubblici?

— Sì. — Davvero? Perché no?

— Questa è una registrazione degli Atti Pubblici — disse un sistema diverso. — Come posso esserle di aiuto?

— Io voglio… io voglio portare a casa Lizzie Francy. Con me.

— Francy, Elizabeth, cittadina ID CLM-03-9645-957 — recitò il sistema. — Catturata alle 4.45 pomeridiane. 18 maggio 2121 al 349 Est della 96.ma Strada dal robot poliziotto della Patterson Protect numero di serie 45296, con l’autorizzazione per l’Enclave di Manhattan Est di effettuare operazioni ufficiali all’interno della cupola dell’enclave. Posta in stato di detenzione al quartier generale della Patterson Protect alle 5.01 pomeridiane, personale di guardia, agente Karen Ellen Foster. Motivo della carcerazione: effrazione e violazione di domicilio. Attuale stato legale: operazione limitata all’enclave, non notificata alla NYPD. Attuale stato della detenuta: in custodia, nessun avvocato registrato.

Theresa ripeté in maniera cocciuta, perché non sapeva cosa altro dire: — Voglio portarla a casa.

— La detenuta non è in stato d’arresto da parte della NYPD. La Patteroan Protect non ha diritti di detenzione prolungata senza che ci sia notifica alla nypd. Non è stata inoltrata alcuna notifica per Francy, Elizabeth, cittadina ID CLM-03-9645-957. Tuttavia la persona arrestata non è autorizzata a rimanere all’interno dell’Enclave di Manhattan Est a meno che sia accolta da un cittadina residente.

— Lei è… mia ospite. — Era abbastanza? Cazie lo avrebbe ritenuto sufficiente. Theresa disse, con maggiore fermezza: — Mia ospite. Mia. Di Theresa Aranow.

— Mi consenta di mettere agli atti che, in assenza di notifiche alla nypd da parte della Patterson Protect, la detenuta Elizabeth Francy. cittadina ID CLM-03-9645-957 è stata rilasciata sotto richiesta della cittadina Theresa Katherine Aranow, cittadina ID CGC-02-8735-341. Grazie per il sostegno dato alla Patterson Protect.

Theresa si fece prendere improvvisamente dal panico. — E il bambino! Mi lasci portare a casa anche il bambino, il bambino di Lizzie, non mi ricordo il nome… il bambino!

Il sistema non rispose. Theresa chiuse gli occhi, lottando per mantenere il controllo. Cazie non si sarebbe fatta prendere dal panico. Cazie avrebbe aspettato di vedere se Lizzie fosse uscita da una di quelle porte tenendo in braccio il bambino. Cazie avrebbe aspettato e poi deciso cosa fare… "Lei era Cazie."

— Signorina Aranow? — disse Lizzie. — "Theresa?" Theresa riaprì gli occhi. Lizzie era lì, senza il bambino. La stava fissando con occhi sbarrati e Theresa ricordò che aspetto dovesse avere. Disse: — Dov’è… dov’è il piccolo?

— Il piccolo? Il mio bambino, vuoi dire? A casa con mia madre, lui. Perché?

— Pensavo…

— Che cosa ti è successo?

In quel momento, Theresa crollò. Non era Cazie. Dal momento che c’era qualcun altro, un estraneo, che Lizzie aveva rammentato a Theresa che aspetto avesse, che lei era riuscita a fare uscire Lizzie non era più Cazie. Era Theresa Aranow e sentiva il respiro affannarsi e vedeva il braccio ossuto aggrapparsi alla scompigliata ragazzetta Viva che, per quanto ne sapeva Theresa, poteva anche essere l’unico altro essere umano in un’enclave prossima a essere colpita da una bomba atomica. Theresa gemette.

— No, non qui — disse Lizzie da una certa distanza. — Dio, è proprio come Shockey, vero? E non hai mai inalato un neurofarmaco. Vieni, non cadere, appoggiati a me. No aspetta, ho bisogno di recuperare il mio terminale. Sistema dell’edificio! Voglio lo zaino, io, quello che avevo quando sono arrivata qui!

Le gambe indebolite di Theresa cedettero. Le sue stampelle caddero a terra e lei insieme con loro. In seguito quanto tempo dopo? si sentì mezzo trascinare, mezzo portare all’esterno. Infilare in un robotaxi. Tenere fermamente attorno alle spalle.

— Forza, ragazza mia, va tutto bene. Forza piccola — stava dicendo Lizzie in continuazione. — Non fare così, tu. Non puoi fare così, io ho bisogno di te!

"Ho bisogno di te." Quella frase le penetrò nel cervello. "Ho bisogno di te." Come la gente aveva bisogno di Cazie, come la gente aveva bisogno di Jackson, ma non di Theresa. La gente non aveva mai avuto bisogno di Theresa perché lei era sempre stata quella bisognosa.

Non quella volta.

Si sforzò ancora una volta di diventare Cazie. Il suo respiro rallentò, le strade si misero a fuoco nuovamente, le dita si staccarono da Lizzie. Le scattò di nuovo qualcosa nel cervello.

Lizzie la fissava sbalordita. — Come hai fatto?

— Non posso… spiegarlo.

— Be’, allora non farlo, tu. Abbiamo cose più importanti di cui occuparci. Dove puoi fare andare questo aggeggio per poter parlare?

— A casa!

— No. Probabilmente è sotto controllo. Cos’è tutto quel bosco?

— Central Park. Ma non possiamo…

— Robot — disse Lizzie — scendi al Central Park e fermati in un luogo appartato. Devono esserci un sacco di alberi e niente persone nel giro di cento metri.

Il robotaxi sfrecciò attraverso le strade dell’enclave, entrò nel parco e si fermò sotto un immenso acero presso l’East Green. Con una mano, Lizzie trascinò Theresa fuori dal robotaxi. Con l’altra teneva uno zaino color porpora che aprì sull’erba per estrarre un terminale. Il robotaxi sparì.

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