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Theresa era fragile. Non tanto nel corpo modificato geneticamente per essere slanciato, quanto nella mente. Jackson credeva in cuor suo che durante il procedimento di ingegneria embrionale qualcosa fosse andato storto, come succedeva a volte. La modificazione genetica era un processo complicato e, una volta che lo zigote si trasformava in blastomeri, non era più possibile alcun ulteriore intervento permanente. Non da parte di alcuno sulla Terra, quanto meno.

Da bambina, Theresa aveva odiato andare a scuola, aggrappandosi alla madre sconcertata e piangendo disperata. Non le piaceva giocare con gli altri bambini. Per giorni interi rimaneva chiusa nella sua stanza, disegnando o ascoltando musica. A volte diceva che avrebbe voluto avvolgersi nella musica e sciogliervisi finché non fosse esistita più alcuna Theresa. I test medici avevano mostrato una forte reattività nel suo sistema di risposta agli ormoni dello stress: alti livelli di cortisolo, ghiandole adrenaliniche ingrossate, battito cardiaco, motilità intestinale e morte di cellule nervose associati a depressione presuicida. La sua soglia di risposta limbico ipotalamica era bassissima: trovava intensamente minaccioso tutto ciò che era nuovo.

In un’epoca di ammine biogene tecnologicamente adattate, nessuno doveva essere fragile. Per tutta l’infanzia, Theresa era stata costretta a sottoporsi a trattamenti di neurofarmaci per riequilibrare la sua chimica cerebrale. Il Depuratore Cellulare avrebbe reso problematiche le cure, visto che distruggeva tutto quello che riteneva non appartenere direttamente al corpo, non adeguarsi agli schemi del DNA o alla serie approvata di molecole immagazzinate nei suoi minuscoli, inimmaginabili computer a base proteica piazzati nelle e fra le cellule umane. Quando però il Cambiamento aveva portato il Depuratore Cellulare, non aveva avuto più alcuna importanza. A tredici anni Theresa dichiarò… no, quello era un termine troppo forte per Theresa, lei non "dichiarava" mai nulla… disse che aveva chiuso con i neurofarmaci "per sempre".

A quel punto, i suoi genitori erano morti in un incidente aereo e Jackson era divenuto il tutore di sua sorella. Jackson aveva discusso con lei, aveva cercato di ragionare, l’aveva implorata. Non era servito a nulla. Theresa non voleva essere aiutata. Non ribatté alle discussioni: il dibattito intellettuale la confondeva. Si rifiutò semplicemente di accettare una soluzione medica per i suoi problemi medici.

Quanto meno, comunque, non tentò il suicidio, la più grande paura di Jackson. Si fece sempre più appartata e più elusiva, una di quelle dolci e pallide donne di un secolo completamente diverso. Theresa ricamava. Studiava musica. Stava compilando, impresa del tutto irrilevante, una biografia della martire Insonne, Leisha Camden, altra donna interamente eclissata da una diversa generazione femminile priva di scrupoli.

Quando era avvenuto il Cambiamento, Theresa era stata l’unica persona che Jackson conoscesse ad aver rifiutato l’iniezione. Non poteva nutrirsi del terreno. Si infettava per virus e batteri. Poteva restare avvelenata dalle tossine. Poteva venirle il cancro.

A volte, quando era di cattivo umore, lui pensava che l’elusiva fragilità neurologica di sua sorella, così staccata dalla sua intelligente dolcezza, fosse il motivo per cui lui era diventato medico. Solo negli ultimi tempi si era reso conto che le fragilità di Theresa erano anche il motivo per cui aveva sposato una persona come Cazie.

Osservando sua sorella che si versava dell’altro succo di frutta, non beveva mai allucinogeni, alcolici o bevande a base di endorfine sintetiche come l’Endorbacio, Jackson pensò che fosse sbagliato lasciarsi condizionare la vita in quel modo da una sorella minore dolcemente, cocciutamente e scioccamente pazza. Pensò di essere un debole per aver permesso che ciò accadesse. E che sentirsi forte vicino a Theresa, probabilmente in confronto, era a sua volta un modo da debole di considerare la situazione.

— Le persone come Ellie Lester — disse Theresa — non sono complete.

— Che intendi dire? — Non voleva saperlo realmente, avrebbe potuto portare a un’altra arrancante e tortuosa discussione di Theresa sulla spiritualità, ma l’allucinogeno nel suo drink stava avendo su di lui un effetto gradevole. Le ossa si stavano rilassando, i muscoli si scioglievano, gli alberi sottostanti ronzavano formando uno sfondo armonioso senza pretese. Non voleva parlare. Certo non delle informazioni su Ellie Lester controllate appena tornato a casa, che includevano la scoperta che lei avrebbe ereditato l’immensa fortuna del bisnonno. Che chiacchierasse Tessie. Lui sarebbe rimasto seduto nel ronzante imbrunire senza ascoltare.

Però tutto quello che disse Theresa fu: — Non so cosa voglio dire. So soltanto che non sono completi. Tutti quanti. Tutti noi.

— Ummmmm.

— Qualcosa non va in noi. Io ci credo Jackson. Ci credo davvero.

Non suonava proprio come se ci credesse. Appariva insicura come al solito, col suo modo di parlare esitante e delicato e il suo vestito a fiori. A Jackson venne in mente che, in una enclave dove le feste terminavano spesso con tutti i partecipanti nudi che si nutrivano in comune, lui non aveva più visto la forma del corpo di sua sorella da anni.

A quel punto però Theresa prese a parlare in modo impetuoso. — Ho letto qualcosa di malvagio oggi. Davvero "malvagio". Ho inviato Thomas nei database della biblioteca per il mio libro. Per qualcosa che Leisha Camden scrisse nel 2045.

Jackson si fece forza. Theresa inviava spesso il suo sistema personale, Thomas, a setacciare i database storici e spesso interpretava male quello che quello vi trovava, oppure si indignava, o altrimenti piangeva.

— Thomas mi ha riportato una frase di un medico famoso che conosceva Leisha. Hans Dietrich Lowering. Ha detto: "La mente non esiste. C’è soltanto un insieme di attività elettriche e fisiologiche che tutti chiamiamo cervello." Ha detto una cosa simile!

Jackson si sentì soffocare dalla pietà. Lei appariva così agitata, così inutilmente indignata, davanti a quella non-notizia vecchia e per nulla sconvolgente. La sua pietà, tuttavia, era intrecciata all’inquietudine. Non appena Theresa aveva pronunciato la parola "malvagio", Jackson aveva avuto un flash improvviso di Ellie Lester, più alta di lui, che mostrava i denti in preda alla furia che non poteva permettersi di far trapelare nella linea ufficiale medica. Lei era apparsa malvagia, una malvagia, bella gigantessa e, nella morsa dell’allucinogeno, Jackson poté ammettere quello che aveva negato in precedenza: lui l’aveva voluta. Anche se lei non era stata realmente malvagia ma soltanto avida; non veramente bella ma soltanto ovvia. E non più gigante dell’ologramma in miniatura del Vequod che affondava accanto ai pesci d’oro morti nella vasca dell’atrio.

Spostò a disagio il peso sulla sedia e bevve un altro sorso della bevanda.

— È malvagio negare l’esistenza della mente — stava dicendo Theresa. — Figuriamoci poi l’anima.

— Tessie…

Lei si sporse in avanti, una chiazza pallida e indistinta nell’oscurità, con la voce prossima alle lacrime. — "È malvagio", Jackson. Noi non siamo soltanto sensori, processori e cablaggi, come i robot. Siamo umani, tutti noi.

— Calmati, tesoro. Era soltanto una frase scritta moltissimo tempo fa. Dati ammuffiti in un vecchio file.

— Allora la gente oggi non crede più che sia vero? I medici non ci credono?

Certo che ci credevano. Soltanto Theresa poteva restare così sconvolta per un’affermazione standardizzata vecchia settantacinque anni, basata su altre standardizzazioni vecchie duecento anni.

— Tessie, piccola…

— Noi abbiamo "anime", Jackson!

Un’altra voce: — Oh, Cristo, non un’altra sparata sulle anime!

Lei entrò sorridendo, canzonando, riempiendo la grande sala con la sua ancor più grande presenza da un metro e cinquanta e dall’estrema vitalità. Cazie Sanders. La sua ex moglie che si rifiutava di uscire dalla sua vita, essendo il divorzio che aveva ottenuto da lui soltanto una cosa in più da trascurare con disinvoltura adesso che l’aveva. Con la scusa di essere amica di Theresa, Cazie entrava e usciva dall’appartamento degli Aranow come più le aggradava, prendeva e mollava gli Aranow come più le girava, si gratificava sempre.

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